Congo Attualità n. 210

INDICE

EDITORIALE: Un’ennesima legge sull’amnistia

1. IL TIMORE D’UNA RIPRESA DELL’M23

a. Il ritorno di alcuni complici dell’M23

b. L’M23 si riorganizza a partire dai Paesi vicini

2. L’ESERCITO INIZIA LE OPERAZIONI CONTRO I RIBELLI UGANDESI DELL’ADF

3. DIVERGENZE TRA LE FARDC E LA MONUSCO? PRIORITÀ DIVERSE

4. L’INCHIESTA SULL’ASSASSINIO DEL COLONNELLO MAMADOU NDALA

5. IL PROGETTO DI LEGGE SULL’AMNISTIA

a. L’iter parlamentare

b. Alcune note

 

EDITORIALE: Un’ennesima legge sull’amnistia

1. IL TIMORE DI UNA RIPRESA DELL’M23

 

a. Il ritorno di alcuni complici dell’M23

L’8 gennaio, l’amministratore del territorio di Nyiragongo, Dominique Bofondo, ha rivelato che certi Congolesi che avevano collaborato con l’M23 durante il periodo dell’occupazione stanno gradualmente e clandestinamente ritornando nel territorio di Nyiragongo. Queste persone avevano abbandonato la zona dopo la sconfitta dell’M23 lo scorso novembre. Dominique Bofondo ha aggiunto di aver ricevuto dal Governatore della provincia, Julien Paluku, le istruzioni sull’accoglienza e la registrazione di queste persone. «Per noi non c’è alcun problema, sono nostri fratelli congolesi e Nyiragongo è il loro territorio, perché vi sono nati e cresciuti. Però è necessario che cambino atteggiamento», ha dichiarato l’amministratore che ha anche spiegato cosa devono fare queste persone che tornano nel loro territorio: «La prima cosa è quella di presentarsi presso l’ufficio amministrativo del territorio che li orienterà verso i servizi competenti, in questo caso il dipartimento dello stato civile, per essere registrati. Altri servizi li manterranno sotto controllo, monitorando i loro spostamenti». La società civile di Nyiragongo ha chiesto alle autorità provinciali di ben identificare queste persone che ritornano. Alcuni abitanti di Rutshuru temono che sia difficile accettare una convivenza con questi ex collaboratori dell’M23. L’amministratore del territorio invita tutti alla calma e assicura che queste persone possono ritornare, ma sotto controllo delle autorità amministrative e della sicurezza.[1]

Il 12 gennaio, nel corso di una conferenza stampa a Beni, Julien Paluku, governatore della provincia del Nord Kivu, ha dichiarato: «Li avevamo visti con quelli dell’M23, quando avevano preso la città di Goma il 20 novembre 2012. E quando si è riusciti a cacciare l’M23 da Goma, sono scomparsi anche loro. Ora stanno tornando uno ad uno. Alcuni dall’Uganda e altri non si sa da dove, ma li conosciamo» e ha confermato che, «essendo dei Congolesi, sono a casa loro. Ma è necessario controllarli e seguirli per almeno 3-6 mesi. Ogni venerdì dovranno presentarsi presso l’ufficio dello stato civile, in modo che si sappia se sono presenti e cosa fanno».[2]

b. L’M23 si riorganizza a partire dai Paesi vicini

Il 13 gennaio, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, ha riferito al Consiglio di Sicurezza, di essere in possesso di informazioni credibili, secondo cui l’M23 ha continuato a reclutare nuove leve, anche dopo la firma della dichiarazione di Nairobi nel mese di dicembre, ed è di nuovo attivo nell’Ituri (nord-est del Congo). Ha poi assicurato che la Monusco non permetterà che l’M23 riprenda le sue attività di gruppo armato. Martin Kobler ha esortato i governi ugandese e ruandese a fare di tutto per evitare che membri dell’M23 trovino rifugio o si riorganizzino sul loro territorio. L’ambasciatore ruandese ha reagito con forza a queste affermazioni, denunciando “accuse infondate “.[3]

Il 15 gennaio, nel corso di una conferenza stampa a Kinshasa, il Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Wafy Abdullah, ha condannato la ripresa di attività militari dell’ex M23. Egli ha chiesto ai Paesi vicini della RDCongo, dove è segnalata la presenza di alcuni ribelli, di rispettare l’accordo di Addis Abeba. Wafy Abdullah ha ricordato che l’M23 non esiste più, perché ha ufficialmente firmato una dichiarazione che mette fine alla sua ribellione. Nonostante ciò, si constata che sta riprendendo nuove attività militari, incluso tra gli elementi che erano fuggiti da Chanzu verso i paesi vicini. Ha anche citato il caso di Sultani Makenga: «In Uganda, Sultani Makenga è libero di spostarsi come vuole. Dovrebbe invece essere arrestato perché è un criminale di guerra. È un ricercato dalla giustizia. Ci sono dei mandati di arresto contro di lui, c’è una richiesta di estradizione. Ci sono degli impegni presi con l’accordo di Addis Abeba. È necessario che tutti i paesi li rispettino», ha insistito il Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo.[4]

Il 15 gennaio, in un comunicato stampa emesso a Ginevra (Svizzera), l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, ha chiesto ai Capi di Stato della regione dei Grandi Laghi di non dare asilo alle persone sospettate di aver commesso crimini internazionali e gravi violazioni dei diritti umani. «Invito gli Stati a cogliere l’opportunità che rappresenta il vertice della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), per affrontare la questione della cooperazione giudiziaria e garantire che i responsabili di crimini internazionali e di gravi violazioni dei diritti umani commessi nella regione rendano conto davanti alla giustizia», ha affermato Pillay. «Per citare un esempio recente, il Ruanda e l’Uganda ospitano attualmente alti graduati del gruppo ribelle M23, annoverati tra i peggiori autori di violazioni dei diritti umani nella RDCongo, tra cui omicidi, violenze sessuali e reclutamento di bambini soldato. Se continuano a sfuggire alla giustizia negli stati vicini, costituiranno certamente una minaccia per la sicurezza, la pace e lo sviluppo nella regione», ha aggiunto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite.[5]

Il 26 gennaio, a Goma, l’inviato speciale degli Stati Uniti nella regione dei Grandi Laghi, Russ Feingold, ha affermato che «gli Stati Uniti d’America si oppongono ad ogni tentativo di riorganizzazione dell’M23 a partire dai paesi vicini della RDCongo». Il diplomatico statunitense ha sottolineato la necessità di disarmare gli ex- ribelli dell’M23 e di integrare nella vita nazionale coloro che ne riuniscano le condizioni. Ha ricordato che non ci potrà essere alcuna amnistia per tutti coloro che sono sospettati di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Secondo l’ambasciatore, «i membri dell’M23 che hanno commesso gravi crimini devono essere consegnati alla giustizia» e quelli che potranno essere reintegrati nella società dovranno firmare individualmente un documento in cui si impegnano a non aderire più ad alcun movimento ribelle.[6]

2. L’ESERCITO INIZIA LE OPERAZIONI CONTRO I RIBELLI UGANDESI DELL’ADF

La posizione de l’ADF (Forze Democratiche Alleate) più vicina a Beni si trova nel villaggio di Kambi ya Miba, a circa 35 chilometri dalla città, nel settore di Beni-Mbau. Dei quattro raggruppamenti che compongono questo settore, tre sono quasi interamente occupati dai combattenti ugandesi. Nel settore di Rwenzori, l’ADF è presente a Kavuwavuwa, Ntoma, Kisima e Kikingi. Quest’ultimo villaggio è una delle basi più importanti dei ribelli ugandesi. A sud del territorio di Beni, nella collettività di Bashu, l’ADF è presente a Mwalika. Questo villaggio è considerato come uno dei centri di formazione dei ribelli. Nel raggruppamento di Bambuba – Kisiki, il più colpito da sequestri di persone civili, i ribelli ugandesi sono presenti in più di nove villaggi, fra cui Chuchubo, Makoyova e Makembi, considerati roccaforti dell’ADF. La presenza di questi ribelli è segnalata anche in ventuno delle venticinque località che compongono la collettività di Watalinga. Secondo fonti amministrative e della società civile, dal 2010 i ribelli hanno rapito più di 800 persone, tra cui tre sacerdoti della diocesi di Butembo-Beni nelle mani dei loro rapitori da ottobre 2012.[7]

Il 14 gennaio, il capo della collettività di Watalinga, Mwami Sambili Bamukoka, ha chiesto alle autorità provinciali e nazionali di meglio garantire la sicurezza dei capi locali del territorio Beni. Infatti, negli ultimi sei mesi, cinque di loro sono stati uccisi da uomini armati identificati come ribelli ugandesi dell’ADF. L’amministratore del territorio evoca uno sterminio “pianificato” dei capi tradizionali locali. L’ultimo ad essere ucciso è quello della località di Kahondo, ucciso a casa sua da quattro uomini armati il 10 gennaio. Fonti locali indicano che gli aggressori erano dei ribelli ugandesi dell’ADF. Il capo della località di Bunkoko era stato ucciso due settimane prima. Il capo del villaggio di Kitimba 4 è stato ucciso il 13 dicembre. Prima di loro, ne erano stati uccisi altri due capi. L’amministratore di Beni conferma i fatti e chiede operazioni militari urgenti contro i ribelli ugandesi.[8]

Il 16 gennaio, le forze armate della RDCongo (FARDC) hanno iniziato le operazioni militari per disarmare i ribelli ugandesi dell’ADF presenti nel territorio di Beni (Nord Kivu). Il primo combattimento tra l’esercito congolese e i ribelli dell’ADF ha avuto luogo a Kamango, vicino Oicha. Un soldato è stato ucciso e un ostaggio è stato liberato. Il portavoce dell’esercito nel Nord Kivu, il colonnello Olivier Hamuli, ha detto che, per il momento, l’obiettivo è di distruggere le loro basi di Nadui, Mwalika e Makolova e ha invitato tutti i congolesi che sono nelle file dell’ADF di deporre le armi.[9]

Il 18 gennaio, l’esercito congolese ha cacciato i ribelli ugandesi dell’ADF da tre località da essi occupate da diversi mesi. La più grande posizione dell’ADF conquistata dall’esercito è Mamundioma, un villaggio a circa 45 chilometri a nord-est della città di Beni. Il villaggio era ritenuto una posizione strategica che i ribelli ugandesi occupavano da quasi due anni. Prima di prendere il controllo su Mamundioma, le FARDC avevano riconquistato Kambi ya Mabi, la postazione ribelle più vicina alla città di Beni. La terza località presa dall’esercito è Kalemi, situata a circa 40 chilometri da Beni. Fonti della sicurezza e della società civile indicano che la ripresa di questo paese apre la strada verso Mateba, considerato una delle roccaforti più importanti dell’ADF. La Monusco appoggia l’esercito congolese anche in questa operazione contro l’ADF. Il suo portavoce militare, il colonnello Felix Basse, evoca un supporto nella logistica e nella raccolta di informazioni. Egli spiega che «la Monusco è presente con la brigata d’intervento, ma anche con la brigata del Nord Kivu e con il battaglione nepalese dispiegato nel Nord del Nord-Kivu».[10]

Il 18 gennaio, il portavoce delle FARDC, il generale Leon Kasonga, ha dichiarato che «le operazioni militari in corso contro i ribelli ugandesi dell’ADF non sono operazioni congiunte tra l’esercito congolese e l’esercito ugandese». Egli ha affermato che l’attuale operazione denominata “Sokola” [pulire] contro l’ADF sarà condotta dai militari congolesi dall’inizio fino alla fine. Il generale Leon Kasonga ha dichiarato che tali operazioni si estendono anche agli altri gruppi armati attivi nella zona e ha aggiunto che «l’operazione è condotta contemporaneamente nel settore di Ruwenzori, nel sud della provincia del Nord-Kivu e nella provincia del Sud-Kivu per quanto riguarda le FDLR». Il generale Kasonga ha anche annunciato che l’esercito congolese ha preso il controllo anche di Mwalika, considerato uno delle più importanti roccaforti dell’ADF.[11]

Il 20 gennaio, quattro giorni dopo l’inizio dell’operazione “Sokola” [pulire] da parte delle FARDC, fonti locali indicano un movimento dei ribelli ugandesi dell’ADF verso la Provincia Orientale. Tali spostamenti  sono in corso da due giorni. I ribelli ugandesi lasciano l’est e si dirigono verso la parte occidentale del territorio di Beni. L’esercito congolese assicura che sono state prese tutte le misure necessarie per bloccare l’avanzata e impedire qualsiasi spostamento dell’ADF verso altre province. Il sindaco di Beni, Nyonyi Bwanakawa, ha chiesto alla popolazione di segnalare ogni presenza sospetta di ribelli ugandesi ADF. Egli teme, infatti, che si infiltrino tra gli sfollati civili che arrivano in città.[12]

Il 21 gennaio, fonti locali hanno riferito che i ribelli ugandesi dell’ADF stanno rinforzando le loro posizioni in diverse località della zona di Watalinga, tra cui Vutakali, Vudovudo e Gunza, a circa 90 km dalla città di Beni. Secondo le stesse fonti, i ribelli stanno preparando la loro resistenza all’operazione di disarmo intrapresa contro di loro dalle FARDC.[13]

3. DIVERGENZE TRA LE FARDC E LA MONUSCO: PRIORITÀ DIVERSE

Il 13 gennaio, l’ambasciatore ruandese presso le Nazioni Unite e membro non permanente del Consiglio di Sicurezza ha accusato la Monusco di non intraprendere alcuna operazione militare contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, ha risposto che, per la Monusco, lo smantellamento delle FDLR rimane una priorità, anche se risulta difficile agire contro di esse, perché sono organizzate in piccoli gruppi sparsi all’interno di una densa foresta, a differenza dell’M23 che disponeva di un piccolo esercito, molto strutturato e molto visibile.[14]

Il 15 gennaio, nella conferenza stampa settimanale della Monusco, il generale Abdullah Wafi, Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite responsabile dell’est della RDCongo, ha dichiarato che la Monusco inizierà le operazioni militari contro i ribelli ruandesi delle FDLR dopo aver ottenuto informazioni precise sulla loro localizzazione. «Le FDLR non sono un gruppo militare organizzato e strutturato come i ribelli dell’M23 e dell’ADF/Nalu. Si tratta piuttosto di vari gruppi militari che vivono con donne e bambini, in villaggi improvvisati situati in zone spesso di difficile accesso. Abbiamo bisogno di avere informazioni precise sui luoghi dove si trovano», ha affermato il generale Wafi. Secondo lui, le operazioni militari contro le FDLR non possono avere la stessa modalità di quelle intraprese contro l’M23 e l’ADF/Nalu, perché una tale modalità rischierebbe di mettere in pericolo anche donne e bambini. Il generale Wafi ha perciò chiesto la collaborazione di tutti coloro che possono aiutare a identificare i luoghi esatti in cui si trovano i ribelli delle FDLR.[15]

Il 18 gennaio, l’inviato speciale degli Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi, Russ Feingold, ha chiesto alla Monusco di “aumentare gli sforzi” nella lotta contro i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) presenti nell’est della RDCongo. Egli ha affermato che «contro le FDLR, è necessario adottare lo stesso programma che si è utilizzato contro l’M23».[16]

Il 22 gennaio, rispondo ai giornalisti che gli chiedevano il motivo per cui la brigata d’intervento della Monusco non sia stata attivamente implicata nell’offensiva lanciata dalle FARDC, il 16 gennaio, contro l’ADF, il capo della forza militare della Monusco, il generale Carlos Alberto dos Santos Cruz, ha dichiarato che l’esercito congolese è in grado di combattere da solo contro i ribelli ugandesi dell’ADF, senza che le forze della Monusco prendano parte attiva negli scontri, come invece avrebbe voluto Kinshasa. «Questa operazione è condotta unicamente dalle FARDC», ha affermato Dos Santos Cruz, sottolineando che la Monusco fornisce, tuttavia, un appoggio tattico e logistico (carburante, munizioni, cibo, evacuazioni mediche). Il generale Dos Santos ha anche dichiarato che vari battaglioni della brigata d’intervento della  Monusco sono già mobilitati in operazioni contro altri gruppi armati, tra cui i ribelli hutu ruandesi delle FDLR. Infatti, l’ONU ha fatto della neutralizzazione delle FDLR una priorità, anche se le sue truppe, autorizzate a ricorrere alla forza in certi casi, non hanno ancora intrapreso alcuna operazione offensiva contro tale gruppo armato.[17]

Il 26 gennaio, in una dichiarazione alla stampa, il coordinatore della piattaforma della Coalizione per un Vero Dialogo (CVD), Jean-Bertrand Ewanga, ha chiesto alla Monusco di implicarsi nell’operazione militare contro i ribelli ugandesi dell’ADF. Ewanga ha espresso la sua preoccupazione per l’assenza dei contingenti della Monusco e ha chiesto di continuare la stessa strategia che ha permesso di sconfiggere il gruppo ribelle dell’M23, affinché questa nuova operazione contro l’ADF produca i risultati desiderati. In questo senso, egli ha affermato che «ciò che preoccupa è che sembra che non ci sia una sintonia tra le Forze Armate della RDCongo (FARDC) e la Monusco». Anche il portavoce del punto focale dell’opposizione politica del Nord Kivu, Jean-Paul Lumbu Lumbu, ha fatto notare che «l’opposizione politica del Nord Kivu apprezza l’operazione militare delle FARDC contro l’ADF perché, da tale operazione, si aspetta la liberazione delle 800 persone tenute in ostaggio da questi ribelli ugandesi». Inoltre, egli ha chiesto alle autorità ugandesi di organizzare un dialogo inter- ugandese, per ascoltare questi ribelli e trovare le soluzioni alle loro richieste, al fine di arrivare ad una pace duratura nella regione dei Grandi Laghi.[18]

Il 29 gennaio, nella conferenza stampa delle Nazioni Unite a Kinshasa, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RDCongo, Martin Kobler, ha dichiarato che, sul piano militare, la priorità della Monusco per il 2014 è di combattere contro i ribelli ruandesi delle FDLR, senza trascurare i ribelli ugandesi dell’ADF. Le FDLR sono attive nelle province del Maniema, del Nord Kivu e del Sud Kivu e commettono molte atrocità contro le popolazioni civili, come stupri, omicidi, sequestri di persone e saccheggi.[19]

4. L’INCHIESTA SULL’ASSASSINIO DEL COLONNELLO MAMADOU NDALA

Nel quadro dell’inchiesta condotta dalle autorità congolesi sull’attentato contro il colonnello Mamadou Ndala, morto il 2 gennaio in un agguato, il colonnello Tito Bizuru, Comandante del 1° Battaglione dell’808° Reggimento,  è attualmente detenuto come primo sospettato. Ma il superiore diretto di Tito Bizuru è il colonnello Thomas Murenzi. Entrambi sono dei Tutsi provenienti dal CNDP. Il loro ex superiore, il Col. Richard Bisamaza (Comandante del 1° Settore – FARDC, anche lui un Tutsi ex-CNDP), aveva disertato l’esercito nel mese di agosto 2013 per integrare l’M23. Tuttavia, i reggimenti e i battaglioni erano rimasti con gli stessi comandanti militari e le stesse truppe. Secondo alcuni militari che hanno chiesto l’anonimato, se il Col. Dieudonné Muhima era stato nominato comandante dell’808° battaglione, in sostituzione del colonnello disertore Richard Bisamaza, in realtà, non era che un cambio apparente. Secondo diverse fonti, la presenza di Mamadou N’Dala avrebbe rappresentato una minaccia per l’esistenza dei reggimenti mono-etnici tutsi e l’affarismo che prevaleva tra alcuni alti ufficiali militari di questa zona.[20]

Il 18 gennaio, il capitano Moïse Banza, aiutante di campo del colonnello Mamadou Ndala, è stato arrestato poco prima di mezzogiorno, in strada e in un quartiere molto frequentato della capitale, Kinshasa. Secondo il portavoce del governo, Moïse Banza era ricercato da circa una settimana, per non aver obbedito all’ordine di ritornare a Beni e di presentarsi alla giustizia militare. Moïse Banza gestiva la comunicazione di Mamadou Ndala. La giustizia militare voleva interrogarlo nel quadro dell’inchiesta sulla morte del colonnello Mamadou e su una denuncia per furto di oggetti personali del suo ex capo. Stretto collaboratore di Mamadou Ndala, nelle ultime settimane Moïse Banza si diceva minacciato a causa della sua vicinanza al suo ex capo. Infatti, aveva fatto richiesta di asilo politico presso varie ambasciate. L’arresto di Moïse Banza è avvenuto mentre dei giornalisti di RFI e di France 24 erano sul luogo perché il capitano Moïse Banza aveva dato loro appuntamento per un intervista sulla morte del colonnello Mamadou Ndala. Uomini armati in abiti civili hanno preso d’assalto il veicolo in cui si trovavano Moïse Banza e i due giornalisti. Moïse Banza è sceso dall’auto, cercando di fuggire. Sparando alcuni colpi d’arma, gli uomini armati, tra cui alcuni in uniforme militare, l’hanno catturato e percosso. Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha tentato di giustificare un tale comportamento delle forze di sicurezza, affermando che Moïse Banza aveva opposto resistenza e che, quindi, doveva essere padroneggiato.[21]

Il 23 gennaio, Reporter senza frontiere ha condannato le recenti manovre di alcune autorità militari e amministrative del Nord Kivu per impedire la ricerca e la diffusione di informazioni relative all’assassinio del colonnello Mamadou Ndala. «Condanniamo con forza le minacce di alcuni ufficiali militari e funzionari civili contro i giornalisti che hanno lavorato sull’assassinio del colonnello Ndala e sull’inchiesta in corso. I mezzi di comunicazione devono poter svolgere il loro lavoro di investigazione e di informazione con tutta libertà, senza essere ogni giorno molestati», ha dichiarato Reporter senza frontiere.

Il 15 gennaio, il colonnello Olivier Amuli, portavoce dell’esercito congolese nel Nord Kivu, aveva pubblicamente minacciato Austere Malivika, corrispondente di Voice of America, e Keny Katomb , corrispondente di Reuters. Li aveva accusati di “ficcare il naso dove non dovevano”, soprattutto nel caso delle operazioni dell’esercito nazionale contro i ribelli ugandesi dell’ADF. Li ha minacciati di subire la stessa sorte di Moussa Kakà imprigionato in Niger, o di Ghislaine Dupont e di Jean Hélène, assassinati rispettivamente in Mali e in Costa d’Avorio. Questa minaccia in pubblico faceva seguito a diversi tentativi di intimidazioni telefoniche da parte del colonnello Amuli, che voleva impedire la diffusione delle immagini filmate pochi minuti dopo l’attacco al convoglio del colonnello N’Dala. Contattato da Reporter senza frontiere, il portavoce dell’esercito ha smentito di aver proferito qualsiasi tipo di minaccia e ha assicurato la sua collaborazione con i giornalisti. Anche il colonnello Dieudonné Muhima aveva chiesto al sindaco di Beni di fare in modo che i giornalisti locali non interferissero in questa materia.

Il 7 gennaio, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku Kahongya, aveva chiesto ai giornalisti della regione di non parlare dell’assassinio del colonnello N’Dala perché «la diffusione di notizie su tale tema avrebbe potuto ostacolare l’inchiesta». Si era poi ritrattato nel corso di una conferenza stampa tenuta il 9 gennaio dopo una conversazione con Reporter senza frontiere.

Il 4 gennaio, un giornalista freelance, Alain Wandimoyi e un corrispondente dell’Agence France Presse (AFP), Albert Kambale, erano stati minacciati dagli agenti dell’Agenzia Nazionale dei servizi segreti (ANR) a Butembo, che avevano loro imposto di consegnare loro il materiale prodotto.[22]

Laurent Touchard, esperto in terrorismo e storia militare, ha fatto una dettagliata analisi del video girato pochi minuti dopo l’attentato in cui Mamadou Ndala è stato ucciso.

Prima di tutto, egli ha fatto notare che sul bordo destro (rispetto alla direzione del veicolo di Ndala) del tratto di strada in cui si è verificato l’agguato (la “kill zona”), c’è una fitta vegetazione. La posizione non è quindi stata scelta a caso.

Laurent Touchard traccia poi una possibile sequenza degli eventi. Il colonnello Mamadou alloggia all’hotel Albertine. Il 2 gennaio, deve andare ad Eringeti, per studiare l’area di dispiegamento delle truppe sotto suo comando e il terreno delle future operazioni contro l’ADF-Nalu. Il viaggio fino ad Eringeti sarà effettuato con tre veicoli 4×4. Tutti e tre i veicoli sembrano dotati di una mitragliatrice pesante DShKM (o la sua copia cinese Tipo 54) e a bordo di ciascuno di essi ci sarebbero stati una decina di militari. Mamadou Ndala si trovava nella cabina di una Toyota bianca. Sull’antenna era stata fissata una bandiera rossa. Se essa indicava ai suoi uomini che quello era il veicolo del comando, essa costituiva anche un segnale importante per eventuali nemici. Per chiunque avesse voluto tendere un agguato era dunque impossibile sbagliare obiettivo.

Mamadou Ndala e la sua scorta hanno lasciato l’hotel Albertine, a Boikene, prima di mezzogiorno, in mezzo a molti curiosi entusiasti di vedere il loro eroe. Ma tra coloro che osservavano la partenza del convoglio, probabilmente c’era qualcuno che ha passato l’informazione della partenza a qualcun altro. Infatti, lungo il percorso, altre persone poste a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra potrebbero aver continuato a spiare l’avanzamento del convoglio e averne tenuto progressivamente informato il gruppo incaricato di eseguire l’agguato, soprattutto circa la posizione del veicolo di Ndala: l’ultimo del convoglio.

I primi due veicoli passano. I loro occupanti non si accorgono di nulla, il che lascia pensare che gli aggressori stessero aspettando il veicolo di Ndala, nascosti nella boscaglia. Gli aggressori erano probabilmente due. Uno con l’RPG -7 (o la sua copia cinese Tipo 69) . L’altro con un fucile d’assalto e alcuni razzi supplementari. Con la sua arma automatica, il secondo copre il tiratore RPG ed è pronto a ricaricare il lanciarazzi se necessario. Arriva il terzo veicolo, quello di Ndala. Concentrati, i killer sanno che è a bordo di quel veicolo e che il colpo sarà relativamente semplice, perché è l’ultimo veicolo: alla fine del convoglio, il bersaglio è più vulnerabile. Avranno più tempo per fuggire dopo aver concluso l’operazione. Si tratterebbe di un’operazione lampo tipo “hit and run”, “mordi e fuggi”. La Toyota è ormai di fronte, a meno di venti metri. A questa distanza era quasi impossibile non centrare l’obiettivo. Gli aggressori non hanno preso di mira la cabina, ma il motore, perché sanno che l’impatto con una massa di metallo come quella di un motore rende massimo l’effetto di un proiettile a carica cava. L’esplosione, il fumo, i feriti, la confusione … Gli assassini sono già fuggiti dalla “Kill zona” verso l’interno della fitta boscaglia circostante.

Secondo Laurent Touchard, l’arma usata potrebbe essere un semplice razzo PG -7 (o la copia cinese). A differenza di ciò che generalmente si dice, un razzo anti blindato a carica cava non sempre trasforma un veicolo non blindato in un ammasso di metallo. Un proiettile a carica cava può perforare il lato di una cabina di un camion, di un pick-up o di un’auto, senza farli esplodere. Può semplicemente perforare il metallo, senza produrre altri effetti. Dopo il lancio, un razzo PG-7, proiettile a carica cava, si trasforma in un jet che costituisce un vero e proprio dardo di metallo fuso che può raggiungere la velocità di 10 km/secondo (36 mila km/ora), una temperatura di 700°. Contro un veicolo leggero, gli effetti di una carica cava sono dunque massimi quando essa colpisce la parte più “densa”, cioè il blocco motore. Ciò permette al dardo di “aprirsi un varco” verso la cabina, proiettando verso il suo interno schegge di metallo del motore e  gocce  di metallo fuso che possono infiammare tutto ciò che è combustibile. Per quanto riguarda il carburante, l’incendio sarà più o meno intenso a seconda della velocità del veicolo (con, quindi, più o meno carburante nel circuito di alimentazione). Tutto ciò spiega il motivo per cui la Toyota di Mamadou N’Dala è rimasta relativamente intatta all’esterno.

Per quanto riguarda l’attentato, esso è stato innegabilmente ben preparato nei suoi diversi aspetti: raccolta delle informazioni, l’organizzazione tattica e la scelta dei tiratori. L’azione degli assassini è stata però facilitata dalla mancanza di provvedimenti cautelari (alloggiare in un posto meno frequentato, partire all’alba piuttosto che in pieno giorno, viaggiare in un veicolo simile agli altri, senza simbolo di comando e posto al centro del convoglio). Tuttavia, queste constatazioni non sono affatto sufficienti per identificare gli esecutori dell’attentato e, tanto meno, i mandanti. Le FARDC, ma anche tutti gli altri gruppi armati utilizzano gli RPG-7 Tipo 69 e i razzi PG-7. Di fatto, se si sta privilegiando la pista di un regolamento di conti interno alle FARDC, non si dovrebbero escludere le altre: quelle di alti responsabili della gerarchia militare, dei ribelli ugandesi dell’ADF – Nalu o di membri dell’M23. D’altra parte, l’una non esclude l’altra. Ciò che è certo è che chi ha ucciso Mamadou N’Dala ha beneficiato di complicità all’interno delle forze di sicurezza.[23]

5. IL PROGETTO DI LEGGE SULL’AMNISTIA

a. L’iter parlamentare

Il 7 e il 9 gennaio, il Senato ha esaminato il progetto di legge sull’amnistia per atti insurrezionali, atti di guerra e infrazioni politiche. Il ministro della Giustizia, Wivine Mumba Matipa, ha risposto alle preoccupazioni dei senatori relative tale progetto di legge.

La ministra della Giustizia ha dapprima definito l’amnistia come l’atto in cui si afferma che gli errori del passato dovranno essere dimenticati e che vieta a chiunque di ricercarli o di evocarli, sotto pena di sanzioni. Ha aggiunto che le disposizioni di amnistia servono, una volta terminato il conflitto, ad evitare che la ricerca di nuove rimostranze riaccenda le ostilità tra i belligeranti. Si tratta, quindi, di una misura che permette di creare, alla fine di un conflitto, un clima di pacificazione. Secondo il ministro, gli obiettivi del disegno di legge sull’amnistia sono, tra altri: attenuare, in modo definitivo, il clima di tensione che, in precedenza, ha prevalso nei rapporti tra Stati, tra Stato e individui o tra gli individui stessi; affermare la volontà di un ritorno alla normalità e riconciliare la società nel suo insieme, essendo l’amnistia vista come un mezzo per continuare a vivere insieme dopo il conflitto. Secondo la ministra, l’amnistia è un atto legislativo che esclude la possibilità di aprire le procedure giudiziarie, arresta quelle in corso e annulla le condanne esistenti, nell’interesse della coesione, della pace e della democrazia. «Il disegno di legge è stato elaborato per facilitare la coesione tra connazionali. È la coesione nazionale che si cerca in primo luogo», ha precisato la ministra. Secondo Wivine Mumba Matipa, questa legge è in linea con le raccomandazioni formulate in occasione delle concertazioni nazionali e con gli impegni assunti dalla RDCongo mediante l’accordo quadro di Addis Abeba e le dichiarazioni unilaterali di Nairobi.

Il progetto di legge è redatto in sette articoli e copre alcune infrazioni commesse nella RDCongo da Congolesi residenti sul territorio o all’estero. Tuttavia, la legge esclude dal suo campo di applicazione i crimini di genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, tra cui l’arruolamento di bambini soldato, il ricorso alla tortura, i trattamenti crudeli, inumani o degradanti, gli stupri e altre violenze sessuali. La legge esclude inoltre i reati di tradimento, di appropriazione indebita di fondi pubblici, di traffico di droga e di truffa nel cambio di divise. Non potranno beneficiare della legge nemmeno i condannati fuggitivi o latitanti.

Si applicherà questa legge solo alle infrazioni oggetto di amnistia, la cui procedura giudiziaria non sia ancora iniziata o che, in virtù della legge stessa, non possa più essere aperta. Se la procedura è già in corso, dice la legge, essa cessa immediatamente. Possono usufruire dell’amnistia anche le persone non ancora accusate. Tutte le condanne non ancora passate in giudicato vengono annullate e quelle diventate irrevocabili sono considerate come se non fossero mai state pronunciate.

Ma se i fatti amnistiati perdono la loro natura di reati, ha spiegato il Ministro, rimane però intatta la responsabilità civile dei loro autori, che sono tenuti alla riparazione dei danni subiti dalle loro vittime. Ogni vittima di infrazioni commesse dai beneficiari della legge sull’amnistia ha la possibilità di rivolgersi ai tribunali statali territorialmente e materialmente competenti per ottenere un risarcimento, in base all’articolo 258 del codice civile congolese. Però sono le vittime stesse, o i loro avvocati, che dovranno dimostrare l’esistenza dei fatti, i danni subiti, il nesso di causalità, o di causa ed effetto, tra il reato commesso e il danno subito.

Secondo l’opinione pubblica congolese, diversi candidati all’amnistia sono recidivi. La domanda che ci si pone è se è possibile commettere tanti crimini senza essere consegnati alla giustizia e poter beneficiare dell’amnistia concessa in nome della coesione nazionale. Secondo Wivine Mumba Matipa, nel particolare contesto di questo disegno di legge, il governo non ha voluto affrontare la nozione di recidiva perché, se avesse preso in considerazione il caso dei recidivi, molti membri di ex gruppi ribelli non avrebbero potuto usufruire del beneficio dell’amnistia. Tuttavia, uno degli effetti positivi di questo disegno di legge è quello di affermare che, nel futuro, la recidiva non sarebbe più tollerata. Gli autori, i coautori e i complici dei reati oggetto di amnistia dovranno, infatti, impegnarsi formalmente a non ricadere più nelle stesse infrazioni.

Secondo alcuni senatori, il disegno di legge è selettivo. Vi sono, infatti, dei connazionali che non hanno commesso atti di tradimento così gravi come quelli commessi dai ribelli dell’M23, ma che non sembra possano beneficiare di questa legge. «Come si può non amnistiare tanti detenuti che non hanno ucciso come hanno fatto i ribelli dell’M23?», si chiede qualche senatore.[24]

Il 23 gennaio, con 67 voti a favore, nessuno contrario e 5 astensioni, il Senato ha approvato il progetto di legge sull’amnistia. Altre tre leggi erano state promulgate in passato. Un decreto – legge n. 03-001 del 15 aprile 2003 su amnistia per atti di guerra e infrazioni politiche e di opinione fu sostituito dalla legge n. 05/023 del 19 dicembre 2005 su amnistia per atti di guerra, infrazioni politiche e di opinione commesse dal 20 agosto 1996 al 20 giugno 2003, data quest’ultima considerata come inizio della transizione. La legge n. 09/003 del 7 maggio 2009 concedeva l’amnistia per atti di guerra e di insurrezione commessi nelle province del Nord Kivu e del Sud Kivu da giugno 2003 al 7 maggio 2009.[25]

Le trenta persone processate e condannate nel gennaio 2003 per l’omicidio, nel gennaio 2001, del presidente Laurent Désiré Kabila, si sono dette preoccupate per essere state lasciate fuori dal progetto di legge sull’amnistia. Secondo l’avvocato Eric Miza, che rappresenta diciotto delle persone condannate, in nome dell’unità nazionale i senatori avrebbero dovuto includere anche questi condannati. Spera che i deputati correggano il tiro in occasione di una seconda lettura del testo.[26]

Il 30 gennaio, la Commissione politico-amministrativa e giuridica (PAJ) dell’Assemblea Nazionale dei Deputati ha esaminato in seconda lettura il progetto di legge sull’amnistia approvato dal Senato. L’articolo primo ha diviso i membri della Maggioranza Presidenziale (MP) da quelli dell’opposizione. In esso si afferma: «Sono amnistiati gli atti di insurrezione, gli atti di guerra e le infrazioni politiche commesse sul territorio della RDCongo dal 1° Luglio 2003 al 20 dicembre 2013». Nel dibattito sono emerse due tendenze. Pur sostenendo il progetto approvato dal Senato, l’opposizione chiede che il carattere di infrazione e la dimensione penale vengano estesi con effetto retroattivo a taluni reati commessi a partire dal 2001, invece che dal 2003 (come approvato dal Senato). La maggioranza presidenziale chiede che il periodo coperto dall’amnistia sia compreso dal 2009 fino ad oggi. Quaranta deputati dell’opposizione politica, tra cui i deputati del gruppo parlamentare UDPS e alleati, hanno sospeso la loro partecipazione ai lavori della Commissione PAJ. Tra loro: Alexis Lenga wa Lenga, Jean-Claude Vuemba, Lubaya Claudel André, Franck Diongo, Martin Fayulu, Albert Fabrice Puela, Omer Egwake, Eve Bazaiba, Clement Kanku, Lumeya-dhu-Maleghi, Laurent Batumona, Mayo Mambeke …

«Non vogliamo una legge selettiva che, privilegiando i ribelli dell’M23, non condurrà all’unità nazionale, tanto meno alla coesione nazionale», ha affermato Emery Ukundji, deputato dell’opposizione, auspicando che la legge sull’amnistia «contribuisca non solo a porre fine alla guerra, ma anche a riconciliare tutte le parti sociali e politiche della RDCongo». Da parte loro, i deputati della Maggioranza Presidenziale hanno respinto l’accusa di selettività della legge. Essi ritengono che il periodo di amnistia proposto dalla maggioranza sia la conseguenza normale delle altre leggi sull’amnistia già promulgate nel 2005 e nel 2009.

«Non si amnistiano le persone. Sono i fatti che vengono amnistiati e le persone ne sono i  beneficiari. Per la Maggioranza, ciò che sembra plausibile è che il periodo coperto dall’amnistia sia compreso tra l’8 maggio 2009 fino al 20 dicembre 2013», ha dichiarato Jean Kimbunda, deputato della Maggioranza, spiegando che altre due leggi erano state promulgate, una nel 2005 e un’altra nel 2009, che copriva il periodo fino al 7 maggio 2009. Passando sotto silenzio il fatto che la legge del 2009 si limitava ai reati commessi solo nel Nord Kivu e del Sud Kivu, egli non ha voluto ammettere che l’attuale legge va a vantaggio dei ribelli dell’M23.[27]

Il 3 febbraio, la Camera dei Deputati a approvato la legge sull’amnistia che coprirà il periodo compreso tra l’1 gennaio 2006 e il 31 dicembre 2013.[28]

b. Alcune note

In linea di principio, una legge sull’amnistia non è possibile che quando “la guerra sia finita”. Tuttavia, nel caso dell’M23, se n’è ancora ben lontani. L’ultimo rapporto degli esperti delle Nazioni Unite indica chiaramente che il Ruanda e l’Uganda continuano a rafforzarlo militarmente. Da parte sua, il capo della Monusco, Martin Kobler, ha affermato che l’M23 sta facendo nuove incursioni nell’est della RDCongo, in particolare nel distretto dell’Ituri. Pertanto, il disegno di legge approvato dal Senato congolese a favore di un gruppo armato ancora attivo suona come una promessa di un’amnistia già accordata in anticipo, data per scontata comunque vadano le cose. Alcuni combattenti dell’M23 sarebbero alla loro quinta aggressione contro il Congo, per aver aderito alle file dell’AFDL (Prima guerra del Congo), del RCD (Seconda Guerra del Congo), dell’UPC di Lubanga, del CNDP di Laurent Nkunda e ora dell’M23. Tuttavia, benché recidivi, essi potranno beneficiare della legge di amnistia e convincersi, quindi, che la RDCongo rimane ancora quello stesso “stato debole” che avevano conosciuto prima che cominciassero a temerlo dopo la recente offensiva “robusta” delle FARDC appoggiate dalla brigata d’intervento della Monusco.[29]

La legge sull’amnistia approvata in Senato è vista da molti cittadini come un testo redatto su misura, per soddisfare le esigenze dell’M23, riportate nelle due “Dichiarazioni di Nairobi” firmate separatamente dallo stesso M23 e dal governo congolese il 12 dicembre 2013.

Va ricordato che il firmatario della Dichiarazione dell’M23 non era altri che Bertrand Bisimwa, uno dei responsabili dell’M23 iscritto sulla lista redatta e diffusa, a suo tempo, dal governo congolese e, quindi, escluso dall’amnistia. Inoltre, il Senato approva questo disegno di legge proprio quando il colonnello Sultani Makenga e i suoi uomini stanno riprendendo le ostilità nel Nord Kivu, sotto lo pseudonimo dei ribelli ugandesi dell’ADF. Ci si chiede quale valore giuridico e politico possa avere una legge già infranta dagli ex ribelli dell’M23, ancora prima della sua promulgazione da parte del Capo dello Stato.

Gli ex ribelli dell’M23 sono ora protetti da un testo che assolve i loro crimini, integrandoli nel pacchetto degli “atti di guerra”, un termine generico che semina molta confusione nella mente della gente. Non è normale parlare di “atti di guerra” per i membri di un movimento insurrezionale come l’M23, responsabili per diciotto mesi di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità, di violenze sessuali, di furti, di torture, di saccheggio di minerali, di reclutamento di bambini soldato, di distruzione delle infrastrutture di base, di incendi di villaggi brucia … La concessione dell’amnistia a compatrioti e a falsi Congolesi che hanno preso le armi contro la Repubblica è un insulto alla memoria delle loro vittime. È come un premio speciale concesso agli autori di attentati contro la sicurezza interna dello Stato, di rivolta armata contro le Istituzioni, di disobbedienza alla gerarchia militare, di saccheggio del patrimonio collettivo. Allo stesso tempo, la legge dimentica i milioni di concittadini morti, violentati, torturati, mutilati, derubati. Eppure, secondo il diritto, il legislatore avrebbe dovuto chiedere per loro o per i loro familiari, una compensazione finanziaria per i danni fisici e morali subiti. A tal fine, le ricchezze accumulate dagli ex ribelli dell’M23 con il contrabbando dei minerali sarebbero dovute essere utilizzate per compensare le loro vittime.[30]


[1] Cf Radio Okapi, 08.01.’14

[2] Cf Xinua – Kinshasa, 13.01.’14

[3] Cf Radio Okapi, 13.01.’14; Karim Lebhour – RFI – New York, 14.01.’14

[4] Cf Radio Okapi, 15.01.’14

[5] Cf Radio Okapi, 16.01.’14

[6] Cf ACP – Goma, 27/01/2014 (via mediacongo.net)

[7] Cf Radio Okapi, 18.01.’14

[8] Cf Radio Okapi, 14.01.’14

[9] Cf Radio Okapi, 17.01.’14; AFP – Goma, 18.01.’14

[10] Cf Radio Okapi, 18.01.’14

[11] Cf Radio Okapi, 19.01.’14

[12] Cf Radio Okapi, 20 e 21.01.’14

[13] Cf Radio Okapi, 22.01.’14

[14] Cf Radio Okapi, 13.01.’14; Karim Lebhour – RFI – New York, 14.01.’14

[15] Cf Xinua – Congoforum, 16.01.’14

[16] Cf Radio Okapi, 18.01.’14

[17] Cf AFP – Kinshasa, 22.01.’14

[18] Cf Pana – Kinshasa, 28.01.’14

[19] Cf Radio Okapi, 29.01.’14

[20] Cf Jean Jeacques Wondo – Desc-Wondo, 17.01.’14

[21] Cf RFI, 20.01.’14

[22] Cf Congo24.net, 27.01.’14

[24] Cf La Prospérité – Kinshasa, 08.01.’14 (via mediacongo.net); L’Avenir Quotidien – Kinshasa – Africatime, 10.01.’14

[25] Cf Stéphane Etinga – Le Potentiel – Kinshasa, 24.01.’14

[26] Cf RFI, 27.01.’14

[27] Cf Radio Okapi, 31.01.’14; Forum des As – Kinshasa, 31.01.’14; Le Phare – Kinshasa, 31.01.’14

[28] Cf Radio Okapi, 03.02.’14

[29] Cf Boniface Musavuli – Desc-Wondo, 15.01.’14

[30] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 24.01.’14