Verso la fine delle concertazioni, giochi di palazzo

Editoriale Congo Attualità n. 196 – a cura della Rete Pace per il Congo

Ci si sta avvicinando alla fine delle concertazioni nazionali e le idee e proposte si moltiplicano.

Quelle che maggiormente circolano si riferiscono a una certa “democrazia consensuale” che permetterebbe, in un periodo di crisi, di formare un “governo consensuale” o di “unità nazionale” sorto da una “nuova maggioranza parlamentare” frutto, a sua volta, di un “patto repubblicano”.

“Governo consensuale”: una medicina senza diagnosi

Data la esiguità delle informazioni sui contenuti dei lavori in corso nei gruppi tematici, non è facile capire da chi provengano e a chi giovino queste idee. L’opposizione, infatti, sospetta l’attuale maggioranza di voler ampliare il suo spazio parlamentare e la maggioranza, a sua volta, accusa l’opposizione di volere accedere al potere.

Secondo un documento di lavoro intitolato ”Scheda Tecnica – Fase 2”,  l’idea di una “democrazia consensuale” troverebbe il suo fondamento nel fatto che la crisi di legittimità consecutiva al caos elettorale del 2011 (contestazione di una maggioranza ottenuta attraverso evidenti brogli elettorali) e necessita di una specie di “patto repubblicano” tra le principali forze politiche del paese. Questo “patto repubblicano” implicherebbe un accordo su un programma di governo e disposizioni capaci di garantire la stabilità del governo (certamente la ricomposizione di una maggioranza parlamentare). Se l’obiettivo è di risolvere la “crisi di legittimità” politica delle persone che la commissione elettorale e la corte suprema di giustizia hanno dichiarato elette nel 2011, nonostante i brogli elettorali, esso non può essere raggiunto se non affrontando il problema di fondo che è quello dei risultati elettorali proclamati che, secondo gli osservatori elettorali, non corrispondono né alla verità, né alla giustizia. Affrontare questa questione significa dire ciò che è accaduto, portarvi rimedio e prendere le misure necessarie affinché ciò non si ripeta mai più. Limitarsi a formare una nuova maggioranza parlamentare, in vista di un governo di cosiddetta unità nazionale, ricuperando alla causa alcuni partiti di una certa opposizione e senza riuscire ad ottenere l’adesione dei partiti dell’opposizione maggiormente penalizzati dalla frode elettorale, risulta essere un semplice giochetto di palazzo che non contribuirà per nulla alla coesione nazionale degli elettori.

“Patto repubblicano”: verso un nuovo partito unico?

Per quanto riguarda un eventuale “patto repubblicano” in vista di un accordo su un programma comune di governo, va ricordato che vi si fa ricorso, e a volte diventa inevitabile, quando non c’è una maggioranza chiara in parlamento ma, nell’attuale situazione, esso non appare affatto necessario, perché l’attuale maggioranza parlamentare è già molto ampia e ha tutte le possibilità di far passare qualsiasi provvedimento che essa ritenga necessario.

Il rischio di una nuova maggioranza parlamentare più ampia dell’attuale è di annientare l’opposizione, di imporre al Paese una specie di pensiero unico che potrebbe riportare il Paese verso il modello politico del partito unico nella sua modalità di partito-stato. Inoltre, secondo certe informazioni, i sostenitori della democrazia consensuale riterrebbero che la coesione nazionale sorta dalle concertazioni imporrebbe un nuovo contesto politico in cui il consenso scaturito tra le parti politiche partecipanti alle concertazioni dovrebbe prevalere su testi (giuridici e legislativi) e scadenze (elettorali). Secondo questa versione, la formazione di un governo di unità nazionale, frutto di consenso, renderebbe quindi indispensabile che si negoziasse un nuovo calendario elettorale, il che farebbe inevitabilmente slittare la prossima scadenza elettorale del 2016.

E la questione dell’Est occupato?

Infine, è del tutto deplorevole che la questione della “crisi politica” abbia preso il sopravvento su un’altra crisi ben più drammatica, quella della guerra di aggressione e di occupazione dell’est del Paese da parte di eserciti stranieri, ruandese ed ugandese, in violazione della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale del Paese. Il rischio è di terminare le concertazioni nazionali a Kinhasa (RDCongo) con delle semplici “conclusioni e proposte” non vincolanti, mentre le trattative tra il governo e il gruppo armato del Movimento del 23 marzo (M23) in corso a Kampala (Uganda) termineranno, quasi sicuramente, con un “accordo” firmato e delle “decisioni” vincolanti.

In questa situazione, solo uomini e donne più responsabili e capaci di superare gli interessi personali, per privilegiare l’interesse superiore della collettività, potranno garantire la sopravvivenza della Nazione e contribuire al ritorno della pace.