Si vede o non si vuol vedere?

Editoriale Congo Attualità n. 193 – a cura della Rete Pace per il Congo

Nell’azione militare la gente spera la fine di un incubo

Le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno annunciato di avere, il 30 agosto, cacciato i combattenti del Movimento de 23 marzo (M23) dalla collina denominata delle “tre antenne”, una zona strategica nei pressi di Kibati, perché apre loro la via verso Kibumba e Rutshuru, più a nord.

Si tratta di una prima vittoria conseguente ad una certa ristrutturazione del comando e della logistica dell’esercito stesso, ma anche al tanto atteso appoggio da parte della nuova brigata d’intervento della Missione dell’Onu nella RDCongo (Monusco). Ansiosa di mettere fine all’incubo dell’M23, la popolazione si aspettava il proseguimento delle operazioni militari fino alla totale sconfitta di questo gruppo armato, per impedire un’ennesima amnistia che renda possibile un’ennesima reintegrazione dei suoi membri nell’esercito nazionale e nelle istituzioni politiche ed amministrative, sia a livello provinciale che nazionale. «Ciò che la popolazione di Goma non vuole assolutamente è un cessate il fuoco o qualsiasi altro tipo di cessazione delle ostilità», ha dichiarato Julien Paluku, governatore del Nord Kivu.

Tornare a dialogare, dice la Comunità internazionale

Nel frattempo, una delegazione internazionale, guidata dall’inviata speciale del Segretario Generale dell’Onu per la Regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson, si è recata nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), in Uganda e in Ruanda. Durante la permanenza nella RDCongo, prima tappa della visita, la delegazione ha apprezzato i risultati militari ottenuti, ma ha anche indicato che la via militare, seppur necessaria in alcuni momenti, non è sufficiente e che deve essere completata dalla via del dialogo politico. Secondo la delegazione, la soluzione definitiva non sarà di tipo militare, ma politico.

È in questo contesto che si è tenuto a Kampala un vertice dei Capi di Stato dei Paesi membri della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) cui ha partecipato anche la delegazione internazionale. Tale vertice “Ordina che il Dialogo di Kampala (tra governo congolese e M23) riprenda entro tre giorni dalla fine del vertice stesso e che si concluda entro un termine massimo di 14 giorni, durante i quali le diverse parti interessate sono chiamate ad osservare un massimo di moderazione, per consentire di concludere il dialogo rapidamente; … Ordina all’M23 di cessare tutte le attività militari, le attività di guerra e le minacce di rovesciare il governo legittimo della RDCongo. Chiede alla brigata d’intervento della Monusco di continuare ad esercitare pressioni sull’M23 e su tutte le altre forze negative che operano nell’est della RDCongo, affinché mettano fine alla guerra».

L’M23 non è autorizzato ad esistere

A proposito della Dichiarazione di Kampala, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha fatto notare che non c’è stata alcuna imposizione di un cessate il fuoco. Dunque si tratta di un primo successo. Inoltre, i Capi di Stato hanno ordinato all’M23 di cessare tutte le attività militari e belliche. Ciò significa che, dopo la decisione dei Capi di Stato, l’M23 cessa di esistere come movimento militare. Egli non può più sentirsi autorizzato a trasferire, per esempio, le sue truppe da Rumangabo a Kibumba, né da Bunagana a Kiwanja, perché ogni attività militare violerebbe la dichiarazione dei Capi di Stato. In tal caso, sarà necessario far ricorso ad un’altra decisione del vertice della CIRGL che chiede alla Brigata d’intervento della Monusco di continuare ad esercitare la pressione sull’M23, al fine di porre fine alla guerra. Ma tutti sanno che una brigata militare non può esercitare una pressione se non con il linguaggio delle armi.

Il grande tabù: nessuno tocchi il Ruanda!

Sintomatico è il fatto che la dichiarazione dei Capi di Stato della CIRGL non faccia alcun riferimento agli impegni presi dai Paesi firmatari dell’accordo di Addis Abeba che chiedeva loro di non interferire nella vita interna dei Paesi limitrofi, di non fornire alcun tipo di appoggio ai gruppi armati e di rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale dei Paesi della Regione. E tuttavia, secondo fonti dell’Onu, il Ruanda ha continuato ad appoggiare anche in questi ultimi giorni l’M23, fornendogli materiale bellico e inviando truppe del suo esercito regolare in territorio congolese per combattere a fianco dell’M23. Attraverso la sua diretta ed evidente implicazione nel conflitto dell’est della RDCongo, il Ruanda sta violando palesemente l’accordo di Addis Abeba, ma i Capi di Stato della CIRGL non hanno voluto pronunciarsi. Ancor più imbarazzante è l’ambiguità della delegazione internazionale in occasione della sua visita a Kigali, in Ruanda, quando si è semplicemente limitata a riferire certe «preoccupazioni circa un possibile appoggio ai gruppi armati in generale» e a porre «la questione di forti percezioni e sensazioni di appoggio all’M23 notate nel Nord Kivu in seno alla popolazione e tra le autorità congolesi», senza tuttavia mai menzionare le accuse dell’ONU contro il Ruanda e, anzi, mettendo in rilievo «il presunto sostegno della RDCongo alle FDLR». Sono affermazioni, queste, che lasciano scettici i Congolesi circa la reale implicazione della comunità internazionale nella risoluzione politica della crisi nell’est della RDCongo, una comunità internazionale che non sembra capace di sanzionare il regime di Kigali la cui implicazione nella crisi congolese è palese, secondo le prove che l’Onu stessa afferma di detenere.

Ridurre la soluzione al problema della guerra nell’Est della RDCongo alla ripresa dei negoziati tra il governo congolese e l’M23 è semplicemente ignorare l’implicazione del Ruanda e dell’Uganda nella guerra stessa. Questo è il nocciolo del problema. Per porre fine alla guerra, occorre una soluzione politica a livello regionale, quella indicata dall’accordo di Addis Abeba e relativa agli impegni assunti dai Paesi firmatari. Se non la si può ottenere con il dialogo attraverso le vie normali della diplomazia, occorrerà cercarla mediante altri mezzi, incluso quelli coercitivi, come possono essere sanzioni precise, concrete e adeguate.