QUANDO IL RICORSO ALLA RICONCILIAZIONE DIVENTA ABUSIVO

Congo Attualità 175 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

QUANDO IL RICORSO ALLA RICONCILIAZIONE DIVENTA ABUSIVO

Valutazione di un accordo.

Il 6 febbraio, secondo un comunicato stampa del facilitatore del dialogo tra la delegazione del governo congolese e quella del Movimento del 23 marzo (M23), le due delegazioni hanno esaminato e adottato il rapporto sulla valutazione dell’accordo firmato il 23 marzo 2009, a Goma, tra Kinshasa e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP). Secondo il comunicato, sui 35 punti dell’accordo di Goma, il governo ne ha pienamente realizzati quindici, otto sono stati parzialmente realizzati e dodici mal applicati o non realizzati. Il comunicato è troppo breve (solo mezza paginetta) per potere capire i contenuti della valutazione, le responsabilità delle diverse parti e le proposte presentate per portare a termine la realizzazione delle disposizioni dell’accordo del 2009.

Il facilitatore del dialogo, il Ministro ugandese della Difesa, Crispus Kiyonga, ha dichiarato che la firma di questo primo documento è un passo importante per continuare il dialogo, affermando che: «Il dialogo si sta svolgendo in uno spirito di riconciliazione» e che «i leader di entrambe le parti si sono impegnati a continuarlo». Già, il facilitatore del dialogo si è lasciato scappare, in modo consapevole o no, la parola fatidica “riconciliazione”. Si tratta di una parola positiva che però, nel contesto in cui è stata pronunciata, può avere conseguenze molto pericolose per la RDCongo.

Il contesto.

Il 9 febbraio, in un’intervista rilasciata alla radio La Voix de l’Amerique, Sultani Makenga, capo militare dell’M23, aveva affermato che, nel caso di un esito positivo del dialogo di Kampala, l’M23 avrebbe un suo partito politico. In questo caso, un atto di magia trasformerebbe un movimento politico militare iscritto sulla lista del Comitato per le sanzioni dell’Onu in un partito politico legalmente riconosciuto.

In una lettera dell’11 gennaio e indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, il presidente ugandese Yoweri Museveni Kaguta scrive che, per risolvere il problema dell’est della RDCongo, ci sono tre aspetti critici che dovrebbero essere tenuti in considerazione: 1) il rispetto del diritto dei Tutsi Banyaruanda alla cittadinanza congolese, 2) la soluzione della questione delle forze negative che continuano a utilizzare il territorio della RDCongo come piattaforma per destabilizzare i Paesi vicini, 3) la priorità della ricerca della pace sulle esigenze della giustizia.

Probabilmente è proprio questa lettera che ha bloccato e rinviato a una data ulteriore la firma di un accordo per la pace nell’est della RDCongo, prevista per il 24 gennaio ad Addis Abeba, in occasione del vertice dell’Unione Africana, cui aveva partecipato lo stesso Segretario Generale dell’Onu, Ban ki Moon. Tale accordo prevedeva anche il dispiegamento di una forza internazionale neutra per combattere e disarmare i gruppi armati attivi nell’est della RDCongo, compreso l’M23.

Il vero motivo per cui si è rimandato la firma di tale accordo appare in un’intervista del 31 gennaio rilasciata al settimanale francese Jeune Afrique, dall’ex vice-presidente del Senato ruandese, Prosper Higiro, che ha affermato che, se a Kampala si arrivasse ad un accordo prima del dispiegamento della forza internazionale neutra, essa non dovrà più combattere contro l’M23, perché non sarebbe più considerato come forza negativa, ma solo contro gli altri gruppi armati (Fdlr, Lra, Mai-Mai).

 

Conseguenze della valutazione.

Alcuni componenti della delegazione dell’M23 hanno subito affermato che, se il governo congolese si è impegnato a continuare il dialogo, questo vuol dire che ha cessato di considerare l’M23 come gruppo terroristico. Come per magia, dopo avere fatto ricorso alle armi per difendere i suoi privilegi e costretto all’erranza 500.000 persone, l’M23 ha la spudoratezza di presentarsi come partner privilegiato del governo per porre fine ad una guerra di cui esso stesso è il primo responsabile. Qualificato come forza negativa dalla CIRGL, dall’UA e dall’ONU, l’M23 si propone ora come forza positiva per disarmare e rimpatriare le forze negative straniere (le FDLR, l’ADF-Nalu, l’LRA, l’FNL) e combattere i gruppi nazionali armati (Maï-Maï).

Poiché tra le rivendicazioni dell’M23 è iscritta anche la sua integrazione politica a livello provinciale e nazionale, se fosse riconosciuto come partito politico, non sarebbe da escludere che il nuovo partito chiedesse un rimpasto del governo centrale ed esigesse che gli sia attribuito un ministero, per esempio quello della difesa. Chi sarebbe il nuovo ministro? L’attuale responsabile politico dell’M23, Jean Marie Runiga, oggetto di sanzioni (interdizione di viaggiare all’estero e congelamento dei beni) da parte dell’Onu?

L’M23 chiede un’amnistia per gli atti di guerra e di insurrezione commessi dal 7 maggio 2009. Ma finora non c’è stata alcuna “dichiarazione di guerra”, né alcuna “insurrezione popolare”. Nel caso dell’M23 si tratta, invece, di militari che hanno disertato l’esercito nazionale per difendere, con le armi rubate allo Stato, i loro interessi militari e commerciali e che, quindi, vanno arrestati e processati secondo la legge. Concedere loro un’eventuale nuova amnistia rinforzerebbe ancora una volta il principio dell’impunità.  Reintegrarli nell’esercito, magari affidando loro dei posti di responsabilità, sarebbe tradire le aspettative del popolo e porre le premesse per ulteriori conflitti. D’altronde, chi sarebbe il nuovo Capo di Stato maggiore Generale dell’esercito Congolese? Il generale Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale? Chi sarebbe il nuovo Capo di Stato Maggiore della Regione militare del Nord Kivu? Il generale Sultani Makenga, oggetto di sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu?

 

L’uso della parola “riconciliazione” è inadeguato e abusivo.

In questo contesto, l’uso della parola “riconciliazione” è inadeguato, abusivo, pericoloso e illegittimo. La delegazione del governo congolese a Kampala non può permettersi il minimo errore, sotto pena di ipotecare il futuro della Nazione.