SE SI VUOLE, SI PUÒ!

Congo Attualità n. 166 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

 

Un silenzio inquietante.

In una recente intervista, Charles Onana afferma di avere constatato che, «in Europa, è molto difficile parlare delle vittime congolesi e del saccheggio delle risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), nonostante i numerosi rapporti delle Nazioni Unite su questi temi». Secondo Onana, «i media e i politici europei affrontano la problematica congolese semplicemente attraverso il prisma delle FDLR e dei Mai-Mai, ignorando completamente le vere forze di occupazione. Parlare, per esempio, del ruolo del Ruanda e della sua ingerenza nella RDCongo un tabù per le istituzioni europee e, addirittura, per le organizzazioni per la difesa dei diritti umani. C’è una forma di censura che non si giustifica. È quindi necessario rompere la legge del silenzio». Secondo Onana, «la tragedia vissuta dal popolo congolese nell’Est del Paese è il risultato di una deliberata politica di furto e asservimento, in cui le grandi potenze occidentali, le multinazionali e i gruppi mafiosi svolgono un ruolo di primo piano. I Paesi limitrofi alla RDCongo, ritenuti come “patrocinatori dell’aggressione del Congo”, il Ruanda e l’Uganda in particolare, sono piuttosto al servizio dei grandi interessi occidentali».

 

Maschere che nascondono il volto dello sfruttamento.

L’apparizione, nel maggio scorso, nell’Est della RDCongo, del movimento del 23 Marzo (M23), un nuovo gruppo armato appoggiato militarmente e logisticamente dal Ruanda e dall’Uganda e responsabile di numerosi crimini contro l’umanità, costringe a una riflessione più approfondita e a interrogarsi sulla sua origine.

Se si prende in considerazione la sua composizione, l’M23 si colloca nella scia di altri gruppi armati precedenti, puntualmente armati e appoggiati dallo stesso regime ruandese. Ripercorrendo a ritroso la storia della RDCongo negli ultimi sedici anni, tra questi gruppi si ritrovano il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), creato nel 2006, il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) nelle sue varie ramificazioni, apparso nel 1998 e, all’inizio della catena, l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo-Zaire (AFDL), nato nel 1996.

I signori della guerra che detenevano il comando militare di questi gruppi amati sono diventati generali e colonnelli dell’esercito nazionale. I dirigenti dei dipartimenti politici di questi movimenti ribelli sono ora in Parlamento, nel Governo e nell’amministrazione territoriale.

Nel corso degli anni, si è assistito alla consolidazione di un sistema basato sull’AFDL-RCD-CNDP-M23 e uno sfruttamento illegale delle risorse naturali della RDCongo che ha, come suo epicentro, il vicino Ruanda, ma le cui conseguenze di morte e impoverimento si ripercuotono sulla RDCongo.

È da tutti noto che questo sistema dipende dal regime ruandese: Kinshasa riceve le direttive da Kigali, in particolare dal Presidente Paul Kagame, dal ministro della Difesa ruandese James Kabarebe e dalla ministro degli Esteri ruandese Louise Mushikiwabo.

 

La strada c’è ed è politica.

Il popolo congolese vuole un cambiamento radicale. Ma come realizzarlo? Come opporsi a quel sistema dell’AFDL-RCD-CNDP-M23 che detiene il potere e le armi? Alcuni propongono manifestazioni di piazza o un sollevamento popolare o il ricorso alle armi. Il rischio è quello di una repressione spietata da parte del potere e il popolo ne sarebbe ancora la vittima principale.

Una possibile alternativa è quella di mettere fine agli appoggi che il sistema riceve dall’esterno, in particolare dal regime ruandese. Occorre mettere Kigali nell’impossibilità di continuare a pilotare il sistema dell’AFDL-RCD-CNDP-M23, come fa tuttora, appoggiando l’M23. È questo il senso delle sanzioni che, con insistenza, la Società Civile congolese chiede al Consiglio di Sicurezza e all’Unione Europea nei confronti del regime ruandese, pur tenendo conto dell’esigenza di evitare conseguenze nefaste sulla popolazione ruandese. Le sanzioni potrebbero comprendere una lunga serie di misure, come un embargo sulle importazioni di armi e l’esportazione dei minerali saccheggiati in Congo ed etichettati in Ruanda, la sospensione della collaborazione militare, l’emissione di mandati di cattura internazionali e il congelamento dei beni delle persone ed entità implicate nel conflitto e citate nei rapporti dell’Onu. È indebolendo l’attuale regime ruandese che si può mettere fine al sistema dell’AFDL-RCD-CNDP-M23 nella RDCongo. Sarebbe un’operazione rapida, a costo zero e, probabilmente, molto più efficace dell’intervento di un’ipotetica “forza internazionale neutra”. Basterebbe un minimo di volontà politica.

Contemporaneamente, l’ONU e l’UE dovrebbero esercitare una forte pressione su Kinshasa, soprattutto nei settori della democratizzazione del Paese (la riforma della commissione elettorale), del rispetto dei diritti umani (processo Chebeya), della sicurezza (cambiamento del comando dell’esercito e della polizia, una degna rimunerazione dei militari), della lotta contro l’impunità e la corruzione (riforma della giustizia) e del settore minerario (lotta contro lo sfruttamento delle risorse naturali del Paese). A queste condizioni, è ancora possibile sperare in un futuro di pace per la RDCongo.