Congo Attualità n. 158

SOMMARIO:

EDITORIALE: La fine della dittatura in Ruanda, una necessità per la pace nella RDCongo

1. LE NOTIZIE DAL FRONTE

2. VERSO UNA “VALUTAZIONE” DELL’ACCORDO DEL 23 MARZO 2009?

3.LA «MARCIA DELLA SPERANZA» CONTRO LA BALCANIZZAZIONE DELLA    R.D.CONGO

4. LA DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

5. IL VERTICE DEI PAESI MEMBRI DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLA REGIONE DEI GRANDI LAGHI

6. LA LETTERA DI UNDICI PARLAMENTARI AMERICANI A PAUL KAGAME

7. CONTINUA LA PRESSIONE SUL REGIME RUANDESE

 

EDITORIALE: La fine della dittatura in Ruanda, una necessità per la pace nella RDCongo

 

1. LE NOTIZIE DAL FRONTE

Il 25 luglio, l’M23 ha ripreso il controllo delle località di Kiwanja e Rutshuru-centro. La missione delle Nazioni Unite in RDCongo (MONUSCO) ha affermato che l’M23 ha attaccato una base dei caschi blu nella città di Kiwanja, 80 chilometri a nord di Goma. Nella sparatoria è rimasto ferito un militare indiano della Monusco ed è stato ucciso un bambino la cui età non è stato rivelata. Un soldato delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), è morto poco dopo per le ferite riportate. Secondo un portavoce dell’esercito nazionale, il colonnello Richard Leon Kasongo, le FARDC hanno poi ripreso il controllo su diversi villaggi a nord di Kibumba e Rugari, da cui si erano ritirati, il giorno prima, in seguito a un’offensiva dell’M23.[1]

Il 27 luglio, l’M23 e gli alleati ruandesi e ugandesi hanno recuperato il campo militare di Rumangabo e ripreso tutta la località. Intervistato per telefono, un responsabile dell’M23 ha dichiarato che le loro forze sono ormai a un chilometro da Kibumba, circa 30 km a nord est di Goma. Il tenente Olivier Hamuli, portavoce dell’esercito nazionale, ha riconosciuto che dei combattimenti sono in corso a nord di Kibumba che, secondo lui, è ancora sotto il controllo dell’esercito regolare. Le FARDC avevano guadagnato terreno, ma sembra che l’abbiano perso di nuovo. Secondo una fonte diplomatica intervistata a Kinshasa, le FARDC sono state costrette a ritirarsi a causa della mancanza di munizioni, sia per gli elicotteri che per i carri armati. I ribelli controllano ormai le località di Ntamugenga, Rubare, Kiwanja, Rutshuru-centro e Rumangabo.[2]

Il 28 luglio, in un’intervista con alcuni giornalisti, il presidente congolese Joseph Kabila ha dichiarato che si stavano esaminando le varie strategie per riportare la pace nell’est del Paese e ha evocato soluzioni di vario tipo, “politico, militare e diplomatico, o tutti e tre contemporaneamente”. Ma il presidente non ha menzionato alcuna possibilità di negoziati con i ribelli dell’M23. A proposito del sostegno del Ruanda all’M23, il presidente ha affermato che si tratta, senza alcun dubbio, di “un segreto di Pulcinella“. Il presidente congolese ha menzionato anche l’appoggio ugandese all’M23. Ha spiegato che il governo congolese aveva chiesto alle autorità ugandesi alcuni chiarimenti su tale questione. La risposta è stata che esse non avrebbero niente a che vedere con il deterioramento della sicurezza nella parte orientale della RDCongo.[3]

Il 29 luglio, interrogato sull’avanzata delle truppe del M23 verso Goma, la capitale provinciale del Nord Kivu, il colonnello Kayima, dell’M23, ha spiegato che l’intenzione dell’M23 è di arrivare a Kibumba, l’ultima cittadina ancora occupata dall’esercito regolare. «Da lì, circonderemo la città (Goma) e faremo pressione sulle FARDC finché non se ne vadano. Poi prenderemo la città senza sparare un colpo», ha dichiarato.[4]

Il 31 luglio, in un rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza, il rappresentante speciale dell’ONU per la RDCongo, Roger Meece, ha espresso seri dubbi sulla capacità delle FARDC di resistere all’avanzata dell’M23 verso Goma, capitale della provincia del Nord Kivu. «Le truppe governative sono prive di munizioni e abbandonano i villaggi nelle mani del M23», ha ammesso un diplomatico, citando il rapporto di Meece. «L’M23 sembra molto meglio equipaggiato dell’esercito regolare e, nelle ultime settimane, i suoi effettivi sono aumentati», ha affermato un alto funzionario delle Nazioni Unite, che ha richiesto l’anonimato.[5]

Dal 4 agosto, l’M23 ha istituito una propria amministrazione nel territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu. Si tratta di comitati locali di sicurezza costituiti da funzionari, autorità tradizionali e capi di comunità locali. Questi ultimi, secondo il movimento ribelle, hanno il compito di garantire la sicurezza delle persone e l’amministrazione corrente. Secondo alcune fonti, tre comitati di sicurezza locali sono già in funzione, in particolare a Rutshuru-centro, a Kiwanja-Mabenga e a Rubare-Kalengera-Biruma. Ogni comitato è costituito da nove membri, compresi i responsabili di quartiere e di cellula e altre entità di base.

Sul piano della sicurezza, i responsabili locali hanno il compito di organizzare delle pattuglie notturne, formate da giovani del quartiere, per garantire la sicurezza della popolazione e denunciare i casi di eventuali abusi. Questi comitati collaborano con la polizia e il settore armato dell’M23 e fanno loro rapporto. Per l’amministrazione, i capi di raggruppamento, di località e di quartiere sono tenuti a proseguire la loro funzione amministrativa nei loro rispettivi uffici, come di solito. Nella zona occupata dall’M23, sono stati istituiti tre posti di blocco, a Mabenga, Kiwanja e Katale. Accompagnati da “militari dell’M23”, vari agenti impongono tasse sui veicoli commerciali in transito. Pochi giorni prima, l’Associazione dei Camionisti del Congo (ACCO) aveva denunciato l’imposizione di tali tasse ritenendole, tra l’altro, esorbitanti. Secondo la stessa fonte, ogni camion che trasporta derrate alimentari dovrebbe pagare 500 dollari e 1.000 dollari se trasporta legname. Il 31 luglio, quasi 30 camion di marca Fusso erano bloccati nella cittadina di Kirumba, nel territorio di Lubero, nel Nord Kivu. I proprietari di questi veicoli si erano opposti al pagamento del pedaggio imposto dall’M23 al posto di blocco di Kiwanja.[6]

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (OCHA) ha dichiarato, in una nota, che il numero degli sfollati interni (PDI) è passato da 2.017.898 al 31 marzo a 2.240.254 il 30 giugno 2012, ciò che rappresenta un incremento di oltre 220.000 persone nel solo secondo trimestre. «Rispetto al totale di 1.776.663 del 31 dicembre 2011, la popolazione sfollata della RDCongo è cresciuta di oltre 460.000 persone in soli sei mesi», ha dichiarato Ocha. Gli sfollati del Nord Kivu, che rappresentano quasi un terzo della popolazione sfollata a livello  nazionale, sono aumentati di oltre il 24%. Il Sud Kivu, con 851.700 sfollati a fine giugno, è la provincia più colpita da questo fenomeno. Le due province del Kivu ospitano oltre il 68% della popolazione sfollata della RDCongo.[7]

2. VERSO UNA “VALUTAZIONE” DELL’ACCORDO DEL 23 MARZO 2009?

Prese di posizione.

Il 28 luglio, rispondendo ad una domanda della società civile, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha affermato che il governo sarebbe favorevole a una valutazione dell’accordo del 23 marzo 2009, firmato tra il governo e gli ex ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), di cui l’M23 denuncia un’applicazione erronea da parte del governo. Ma, secondo Julien Paluku, questa valutazione non può che essere fatta se non da un comitato di monitoraggio internazionale. Secondo lui, a causa del conflitto armato in corso nel Nord Kivu, questa valutazione non può essere effettuata dai soli firmatari dell’accordo. «Per poter valutare l’accordo con maggiore obiettività, occorre un meccanismo internazionale, al di fuori del governo e delle altre parti nazionali», ha dichiarato, affermando che un tale meccanismo è già previsto dall’accordo del 23 marzo 2009.

L’articolo 15 di tale accordo prevede, in effetti, che le Nazioni Unite, l’Unione Africana e la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), che costituiscono il comitato internazionale di monitoraggio, possono valutare il percorso dell’attuazione dell’accordo. «Il comitato internazionale di monitoraggio effettuerà valutazioni periodiche per misurare i progressi registrati nell’attuazione dell’accordo. Potrà anche aiutare il governo a mobilitare l’appoggio regionale e internazionale per l’attuazione del presente accordo», ricorda il secondo comma di questo articolo. Il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha confermato le dichiarazioni del Governatore Paluku. Il portavoce dell’M23 si dice soddisfatto di questa posizione, ma aggiunge due nuovi elementi: la verità delle urne e la questione sociale dei Congolesi.[8]

Il 30 luglio, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del governo, Lambert Mende Omalanga, ha in primo luogo sottolineato che, «nella sua replica al rapporto delle Nazioni Unite, il Ruanda, che noi consideriamo come parte essenziale del problema della continua insicurezza all’Est del Paese e della sua soluzione, ha manifestato la sua volontà di essere coinvolto nel processo di ricerca di soluzioni durature ai problemi dell’est che definisce, a torto, come problemi politici. A questo scopo, il Ruanda ha proposto come piste di soluzione il dialogo con i gruppi armati, la reintegrazione e la neutralizzazione e/o il rimpatrio delle forze negative che attualmente operano nella regione». Lambert Mende ha inoltre precisato che, «come le FDLR, anche l’M23 fa parte delle forze identificate come forze negative dalla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi e dall’Unione Africana» e che «non è quindi possibile alcun un dialogo con tale movimento di pseudo-ammutinamento che non è altro che una strategia per occultare un’aggressione straniera».

Tuttavia, il ministro Mende ha sottolineato che, «il governo considera positiva la richiesta del governatore del Nord Kivu circa una valutazione degli accordi del 23 marzo 2009, firmato dal governo congolese e i gruppi armati nazionali presenti nel Kivu». Tuttavia, egli ha precisato che nella richiesta del governatore del Nord Kivu non vi è alcuna proposta di negoziare con una qualsiasi forza negativa. Egli ha spiegato che «in realtà, le proposte del Governatore Paluku fanno parte della realizzazione della Dichiarazione di Addis Abeba, firmata, il 15 luglio2012, dagli 11 Capi di Stato membri della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), che si erano incontrati per un vertice straordinario sulla situazione dell’insicurezza all’est della RDCongo». In effetti, la decisione 11 dei capi di Stato, sulla «immediata istituzione di un meccanismo di controllo attraverso la riattivazione del gruppo degli inviati speciali (…) per trovare le cause profonde del conflitto all’est della RDCongo e per proporre una soluzione duratura», si iscrive anche nelle disposizioni dell’articolo 15, paragrafo 2, dell’accordo del 2009, che prevede la creazione di un comitato internazionale di sorveglianza.[9]

Un’analisi.

Una rilettura dell’accordo del 23 marzo 2009 offre l’opportunità di vedere quanto è pesante il conto da pagare per una pace rimasta finora illusoria nel Nord Kivu. Per due anni, migliaia di Congolesi sono morti o sono stati gettati sulla strada dell’esilio, all’estero o all’interno del Paese, in nome di un compromesso politico che ha fatto più male che bene alla patria. Per due anni, la parte orientale del Paese è stata saccheggiata senza scrupoli da una moltitudine di forze negative, con complicità congolesi. A causa della continua insicurezza del Nord Kivu, ingenti risorse finanziarie sono state impegnate nello sforzo bellico bloccando, in tal modo, molti progetti di sviluppo previsti per i settori della sanità, istruzione, infrastrutture di base, agricoltura, allevamento, pesca, estrazione mineraria, petrolio e gas, trasporti, telecomunicazioni, ecc.

Con l’accordo del 23 marzo 2009, il governo congolese è chiaramente caduto nella trappola del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Il movimento ribelle, che si era impegnato a trasformarsi in partito politico, aveva vinto una prima tappa, quella dell’integrazione automatica dei suoi militari e ufficiali nelle FARDC, con rispettivi gradi, funzioni e amnistia generale.

L’accordo del 23 marzo 2009 ha permesso al CNDP di instaurare all’est del Paese una sua organizzazione parallela a quella dello Stato, sia a livello dell’amministrazione territoriale, del comando militare e della giustizia. In breve, la comunità ruandofona congolese era stata eretta a minoranza speciale, con il diritto di usufruire di favori speciali sul piano politico, militare e sociale.

Ora che l’accordo del 23 marzo 2009 ha mostrato tutti i suoi limiti, è il momento di trarre alcune conclusioni. La prima è che, se il progetto dell’accordo presentato al governo congolese prima della firma fosse stato ampiamente discusso, per esempio in Parlamento, è certo che qualcuno si sarebbe accorto di quelle clausole pregiudizievoli per gli interessi vitali della Nazione. L’avere privilegiato delle trattative sottobanco ha indebolito la nazione. Bisogna ora evitare che la storia si ripeta. Occorre evitare ogni negoziato segreto e fare, quindi, pressione sulle autorità congolesi, affinché tutti i conflitti siano risolti in Parlamento, tenendo sempre informata l’opinione pubblica.

La seconda è che l’accordo del 23 marzo 2009 è da considerarsi superato, a causa dell’entrata in scena di un fantasma non firmatario, cioè l’M23. Inoltre, il CNDP si era impegnato a difendere le sue rivendicazioni sul piano politico e con mezzi pacifici, ciò che non è il caso attualmente. La terza è che la classe politica, il governo e la gerarchia militare non possono continuare a rinviare la riforma dell’esercito e dei servizi nazionali della sicurezza.[10]

3. LA «MARCIA DELLA SPERANZA» CONTRO LA BALCANIZZAZIONE DELLA R.D.CONGO

Il 1° agosto, a Kinshasa, dopo la messa mattutina delle ore 6.30 nelle varie parrocchie, è iniziata la “marcia della speranza” per la pace e contro la balcanizzazione del Paese. La marcia è stata organizzata in ciascuno dei quattordici decanati dell’Arcidiocesi di Kinshasa. Uno solo era il messaggio per tutte le parrocchie: “No alla balcanizzazione della RDCongo, No al saccheggio delle nostre risorse naturali”.

Con una fascia bianca in testa, in segno di pace, con bibbia, rosario e crocifisso in mano, migliaia di fedeli delle parrocchie dell’Arcidiocesi di Kinshasa hanno riaffermato la loro volontà di rivendicare la pace per il Nord Kivu, garanzia di unità nazionale. Uniti e decisi, i fedeli cattolici hanno detto: «Vogliamo l’unità, la pace e l’integrità territoriale della RDCongo». A mezzogiorno, i manifestanti e altri fedeli cattolici hanno osservato un minuto di silenzio per «ricordare coloro che hanno versato il loro sangue per il Paese». Alla fine di questo minuto di silenzio, in ogni parrocchia si sono suonate le campane, per «svegliarci e costruire un Congo unito», come affermato da Padre Leonard Santedi, segretario generale della  Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco). Secondo gli organizzatori della marcia, vi hanno aderito quasi 200.000 persone (100.000 secondo i servizi della polizia).

«Non voglio più vedere i miei fratelli soffrire e morire. Spero che la comunità internazionale e tutti coloro che hanno il compito di mantenere la pace combattino contro questa guerra di aggressione», ha affermato un manifestante. «L’obiettivo delle nostre azioni è quello di sensibilizzare il popolo congolese, affinché dimostri a livello internazionale che non vuole questa guerra, né la balcanizzazione del suo Paese, la RDCongo, che è una e indivisibile», ha affermato P. Léonard Santedi. Nei giorni di preparazione della marcia, egli aveva invitato tutti gli uomini di buona volontà, anche i fedeli di altre religioni, ad unirsi nella fraternità e nell’unità per la pace. «Questa non è una marcia di un partito politico, è la marcia dell’unità del popolo congolese per dire no alla balcanizzazione del nostro Paese. Invitiamo i nostri fedeli cattolici ad essere vigilanti, per individuare tutti coloro che verranno per disturbare o provocare il disordine», aveva detto.

La marcia è stata organizzata anche nel resto del paese e con una buona partecipazione, soprattutto a Bukavu, capitale del Sud Kivu. A Lubumbashi, Kalemie, Mbandaka, Matadi, Kikwit, Kananga, … migliaia di cattolici hanno partecipato a marce organizzate a livello locale. Secondo fonti attendibili, solo le diocesi di Kisangani e Goma non hanno potuto organizzare alcuna manifestazione. «Non abbiamo potuto organizzare alcuna marcia, perché non eravamo sicuri di potere controllare eventuali incidenti provocati da certi gruppi che avrebbero potuto approfittare di tale occasione per rompere e rubare», ha affermato un responsabile della Chiesa cattolica a Goma. A Kisangani, è l’autorità provinciale che ha vietato la manifestazione, per “non essere stata informata dalle sue autorità superiori”.

Con questa marcia, nell’atteggiamento dei Congolesi di fronte ai problemi del loro paese, si è aggiunto un nuovo dato. Il popolo congolese comincia ad appropriarsi, poco a poco, del suo destino. Riscrive la propria storia a prezzo di sofferenze e di sangue. All’Est, il Paese è vittima di un’aggressione da parte del Ruanda, che semina morte e distruzioni. Questa aggressione è la manifestazione di un piano di balcanizzazione del paese con l’obiettivo di prendere il controllo militare sull’est del territorio nazionale. Dal 1° agosto 2012, nulla sarà omai deciso senza la partecipazione del popolo congolese. Di fronte agli atteggiamenti ambigui, mutevoli, ipocriti, irresponsabili e complici della classe politica, la marcia dei cattolici è la dimostrazione perfetta della rabbia di tutta la nazione decisa a prendere in mano il controllo del suo destino. La delega del potere ai governanti e alla classe politica non è più un assegno in bianco. Con la marcia della speranza, la gente ha dimostrato di voler essere coinvolta nella ricerca delle soluzioni ai grandi problemi dell’intera nazione. Qualsiasi iniziativa che cercherà di ignorare l’opinione pubblica e l’insieme della popolazione congolese nella sua diversità è destinata al fallimento. La gente ha camminato. Ora spetta al governo trovare la migliore soluzione per porre fine alla guerra.[11]

4. LA DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU

Il 2 agosto, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha messo in guardia l’M23, affinché ponga fine alla sua avanzata verso Goma. Il Consiglio ha inoltre condannato i paesi che sostengono l’M23, senza tuttavia nominare esplicitamente il Ruanda. La messa in guardia è rivolta all’M23, ma è il Ruanda e, in misura minore, l’Uganda che, sono i destinatari finali di tale richiamo all’ordine, espresso dal Consiglio di Sicurezza con la designazione generica di “appoggi esterni”. Implicitamente, i membri del Consiglio di Sicurezza ammettono che non ci sono dubbi sull’appoggio fornito dal Ruanda all’M23, ma hanno preferito non accusare direttamente Kigali e, tanto meno, parlare di sanzioni nei suoi confronti. La strategia è stata piuttosto quella di far pressione sul Ruanda, affinché cessi il suo appoggio all’M23 e ponga fine alle operazioni militari.

In un comunicato stampa, «i membri del Consiglio di Sicurezza ribadiscono la loro ferma condanna nei confronti dell’M23 e delle violenze commesse e ancora una volta esigono che esso cessi immediatamente ogni attività di destabilizzazione, compresa la sua avanzata verso la città di Goma.

I membri del Consiglio di Sicurezza ribadiscono la loro ferma condanna di qualsiasi appoggio esterno all’M23, soprattutto da parte di altri paesi ed esigono che sia immediatamente interrotto. Chiedono, inoltre, a tutti i paesi della regione di cooperare attivamente con le autorità congolesi, per lo smantellamento e la smobilitazione dell’M23.

I membri del Consiglio di Sicurezza esprimono la loro soddisfazione per il fatto che il Presidente Kagame e il presidente Kabila si siano recentemente incontrati per risolvere la crisi, soprattutto nel quadro della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). Essi auspicano un dialogo tra le più importanti autorità, sia a livello bilaterale che regionale e la piena attuazione dei meccanismi regionali esistenti, per potere risolvere il problema dell’insicurezza nell’est della RDCongo e trovare una soluzione politica durevole. In tal senso, essi riaffermano l’importanza del prossimo vertice della CIRGL che si terrà a Kampala il 7 agosto 2012.

I membri del Consiglio di Sicurezza chiedono con insistenza all’M23 e a tutti i gruppi armati di cessare ogni violenza, compresa la violenza sessuale e il reclutamento di bambini soldato. Chiedono alle istituzioni interessate di fare in modo che tutte le violazioni dei diritti umani siano oggetto di inchieste giudiziarie e che i responsabili di tali atti siano chiamati a rispondere delle loro azioni. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, ha recentemente citato cinque comandanti militari implicati in atrocità commesse in passato e che costituiscono ancora una grave minaccia per la popolazione civile: Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale, Sultani Makenga, Baudouin Ngaruye, Innocent Zimurinda e Innocent Kaina».[12]

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha, ancora una volta, esaminato il caso della RDCongo. Come al solito, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza hanno condannato con fermezza la tragedia che ha colpito ancora una volta l’est del Paese dove, negli ultimi mesi, è in atto una nuova guerra di occupazione sotto la bandiera dell’M23.

Benché severo nella sua dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza si è fermato a metà strada. Non è andato fino alla fine della sua logica, che dovrebbe comprendere l’applicazione di misure forti, capaci di dissuadere tutti coloro che sono i primi responsabili delle tensioni che, ormai da oltre 15 anni, indeboliscono questa parte della RDCongo. Quelli che appaiono come più evidenti sono, senza dubbio, il Ruanda e l’Uganda, due Paesi vicini che non hanno mai rinunciato alla loro volontà di impossessarsi delle ricchezze e del territorio della RDCongo. La mancanza di fermezza da parte del Consiglio di Sicurezza fa sorgere alcuni dubbi, tanto più che le informazioni di cui è in possesso gli sono state fornite dalla stessa MONUSCO e dal gruppo dei suoi esperti per la RDCongo, in un rapporto redatto in seguito ad un’inchiesta sul luogo. Il rapporto pubblicato indica in modo inequivocabile l’appoggio del Ruanda alla nuova ribellione sorta dal CNDP con il nuovo nome di M23. Nonostante questo, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza non hanno voluto citare alcun nome preciso. Al contrario, usano un linguaggio eccessivamente diplomatico e ipocrita. Temono forse qualcuno o qualcosa?

Evitando di parlare chiaramente, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dà l’impressione di essere oggetto di un certo tipo di pressione al suo interno, al punto da essere preso in ostaggio da alcuni membri che potrebbero essere complici con gli aggressori della RDCongo. In ogni caso, data la stranezza del suo atteggiamento, non sarebbe da escludere una tale eventualità. Soprattutto quando si constata una chiara tendenza ad ignorare la verità o, se necessario, a soffocarla.

I 15 membri del Consiglio di Sicurezza si sono limitati a esortare i paesi della regione a cooperare con le autorità della RDCongo per smantellare e smobilitare gli ex ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), conosciuti ora con l’appellativo M23. È troppo semplicistico, sostengono alcuni osservatori che, con sorpresa, constatano che il Consiglio non fa altro che chiedere ai piromani di spegnere il fuoco che hanno acceso. Sembra proprio una manovra diplomatica per consolidare la posizione di Kigali e di Kampala che continuano a smentire e a negare i fatti che pure sono evidenti. Sembra che New York abbia posto anche le premesse per costringere il governo congolese a negoziare con l’M23, entrambi considerati sullo stesso piano.

È semplicemente scandaloso e vergognoso. L’umiliazione ha dei limiti che non dovrebbero essere oltrepassati. Sembra che si stia ritornando al punto di partenza. Come successo con il RCD-Goma e, più tardi, con il CNDP, due ex movimenti ribelli creati e appoggiati da Kigali, si vorrebbe che Kinshasa integrasse nelle attuali istituzioni dello Stato (Parlamento e Governo), dei rappresentanti dell’M23. Essendo questi ultimi al servizio del Ruanda e dell’Uganda, questi due regimi saranno così alla testa delle massime istituzioni congolesi per meglio controllarle. Si sta facendo di tutto per ricondurre di nuovo la RDCongo in quel circolo vizioso dell’accordo di Lusaka stipulato nel 1999, ultimato nel 2003 con l’approvazione dell’accordo globale inclusivo in Sud Africa e aggiornato dall’accordo del 23 marzo 2009 con il CNDP, recentemente trasformato in M23.

Come altre volte, si vorrebbe limitare la guerra del Kivu al solo territorio della RDCongo, escludendo il contesto regionale, in cui alcuni Paesi limitrofi alla RDCongo, chiaramente identificati, intervengono per appoggiare in vari modi l’M23. È giunto il momento in cui il Consiglio di Sicurezza dovrebbe abbandonare il linguaggio diplomatico che sottilmente nasconde il vero problema.

Ciò che i membri del Consiglio di Sicurezza dovrebbero capire è che la guerra condotta dall’M23 non può essere considerata un problema prevalentemente congolese. Questa guerra è la conseguenza della volontà belligerante di Kigali e di Kampala per mantenere il caos permanente nella parte orientale della RDCongo, che permette loro di saccheggiare le risorse naturali di questa regione, servendosi dell’M23 come marionetta. Per non essere corresponsabile della guerra ingiusta che infuria nella parte orientale della RDCongo, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe prendere le distanze da un atteggiamento allo stesso tempo colpevole e complice.[13]

5. IL VERTICE DEI PAESI MEMBRI DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE DELLA REGIONE DEI GRANDI LAGHI

Il 6 agosto, i ministri della difesa e degli affari esteri dei paesi membri della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) si sono riuniti a Kampala (Uganda), per discutere di nuovo sulla situazione dell’insicurezza nella parte orientale della RDCongo e preparare il vertice dei capi di Stato previsto il 7 agosto. L’obiettivo dell’incontro è quello di concretizzare le misure approvate ad Addis Abeba (Etiopia), compresa la creazione di una forza internazionale neutrale. Secondo alcune indiscrezioni, i ministri dei Paesi della CIRGL non sono pervenuti ad un consenso sulla composizione della forza militare da dispiegare sul confine tra RDCongo e Ruanda. Infatti, anche dopo difficili discussioni, gli esperti congolesi e ruandesi hanno mantenuto punti di vista diversi. Per questo, la bozza del loro rapporto riporta le due versioni, cioè quella della creazione di una forza militare regionale composta di truppe fornite dagli Stati membri della CIRGL, come proposto dal Ruanda e quella dell’ampliamento del mandato della MONUSCO per consentirle di combattere efficacemente contro le forze negative, come proposto dalla RDCongo.

In effetti, la Monusco è già una forza internazionale neutrale che opera nella zona già da un decennio. Si tratta di una delle più grandi missioni dell’ONU in tutto il mondo.

Per queste divergenze, le due delegazioni hanno rimandato la stesura definitiva della dichiarazione finale. Il testo di Addis Abeba parla chiaramente di una “forza internazionale” neutrale. Perché allora il Ruanda ha proposto ora il concetto di “forza regionale”? La delegazione congolese, che si è vista in trappola, sa che questa è una manovra di Kigali per avere la possibilità di inviare altre sue truppe nella RDCongo e infiltrarvi altre forze negative. Le cose si stanno chiarendo.[14]

Il 7 agosto, a Kampala, capitale dell’Uganda, il congolese Hamuli Kabaruza, coordinatore nazionale della CIRGL, ha dichiarato che «il dopo Kampala non deve essere come prima di Kampala. C’è un’urgenza e la forza internazionale neutra deve essere rapidamente dispiegata. Però il Ruanda e l’Uganda non dovrebbero essere inclusi nella sua composizione». Hamuli Kabaruza ha condannato l’atteggiamento dell’M23 che continua le ostilità nel Nord Kivu anche «dopo la firma dell’accordo del 15 luglio ad Addis Abeba (Etiopia)».

La società civile del Nord Kivu chiede agli Stati membri della CIRGL di condannare apertamente il Ruanda e tutti coloro che appoggiano l’M23. «Uganda, Ruanda e Burundi, che hanno gli stessi interessi, non possono far parte di questa forza internazionale neutrale, ma gli altri stati che sono disponibili possono farlo», ha affermato il presidente di tale organizzazione, Thomas d’Aquin Mwiti.[15]

Al vertice di Kampala, sono tre le opzioni in esame: una forza regionale composta di militari della regione dei Grandi Laghi e finanziata dai suoi Stati membri e dai “partner internazionali”, una forza “internazionale e regionale incorporata nella Monusco” il cui mandato – limitato attualmente alla protezione dei civili – sarebbe rafforzato; un mandato ad interim affidato a MONUSCO, in attesa della creazione di una “forza internazionale neutrale”.

Poco prima dell’apertura della riunione, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, in visita a Pretoria (Sud Africa), ha invitato gli Stati dell’Africa centrale, “compreso il Ruanda”, a cooperare per privare l’M23, uno dei principali gruppi armati dell’est della RDCongo, di ogni tipo di sostegno. «Esortiamo tutti gli stati della regione, compreso il Ruanda, a lavorare insieme, per togliere ogni appoggio ai ribelli dell’M23, disarmarli e portare i loro capi davanti alla giustizia», ha dichiarato Hillary Clinton.[16]

I negoziati in corso a Kampala si sono dunque inciampati sulla questione della composizione della forza internazionale neutrale da dispiegare al confine tra la RDCongo e il Ruanda. Per la delegazione ruandese, questa forza dovrebbe essere composta di militari della regione dei Grandi Laghi. Secondo tale ipotesi, sarebbero compresi solo dei militari provenienti dai Paesi membri della CIRGL, tra cui il Ruanda e l’Uganda, entrambi considerati come Paesi aggressori della RDCongo, secondo le testimonianze raccolte dai servizi delle Nazioni Unite e da varie ONG internazionali presenti nella regione.

La delegazione congolese, invece, ha difeso la possibilità di rafforzare la missione della Monusco nella sua attuale configurazione. Secondo Kinshasa, con i suoi 17.000 militari, la Monusco è ben posizionata per sorvegliare la frontiera. Ciò che il Ruanda rifiuta categoricamente. Date queste posizioni, risulta difficile arrivare ad un accordo. Un’altra opzione, ancora in sospeso, è quella relativa alla creazione di una Forza ad interim, in attesa di quella  dell’Unione Africana.[17]

L’8 agosto, si è concluso a Kampala il vertice dei Capi di Stato dei Paesi della Regione dei Grandi Laghi. Secondo la dichiarazione finale, non si è raggiunto alcun accordo sulla futura “forza internazionale neutrale”, proposta per “smantellare” i gruppi armati operanti nell’Est della RDCongo, particolarmente l’M23 e le FDLR. Secondo la dichiarazione finale,

«Considerando che il grave deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria della RDCongo è causato dall’attività armata del Movimento, del 23 marzo (M23), determinati a cercare soluzioni locali ai problemi che esistono nella regione dei Grandi Laghi attraverso gli attuali meccanismi regionali, i capi di Stato e di governo degli Stati membri della CIRGL, hanno deciso di:

1. Intraprendere azioni vigorose capaci di arrestare definitivamente i combattimenti nella parte orientale della RDCongo, senza escludere la possibilità di decretare sanzioni nei confronti di coloro ostacolano il processo di pace;

2. Sostenere gli sforzi forniti dal governo della RDCongo per il ripristino della pace e della sicurezza nella parte orientale del suo territorio, in particolare nella provincia del Nord Kivu;

3. Istituire un sottocomitato dei ministri della difesa dei seguenti stati membri: Angola, Burundi, Congo, RDCongo, Ruanda, Uganda e Tanzania;

– Il mandato del sottocomitato è quello di concordare interventi urgenti al fine di fare cessare definitivamente i combattimenti nella parte orientale della RDCongo e di operare per il consolidamento della pace, della sicurezza e della stabilità;

– La sottocommissione fornirà anche dettagli specifici sulla operatività della forza internazionale neutrale;

4. Dare al sottocomitato un periodo di due settimane per presentare una relazione intermedia al Presidente della CIRGL e un periodo di quattro settimane per presentare il suo rapporto finale al prossimo vertice dei Capi di Stato della CIRGL».[18]

6. LA LETTERA DI UNDICI PARLAMENTARI U.S.A. A PAUL kAGAME

Il 3 agosto, un gruppo di undici parlamentari statunitensi, democratici e repubblicani, hanno scritto la seguente lettera indirizzata a Paul Kagame, presidente del Ruanda:

«Signor Presidente,

Le scriviamo per esprimerle la nostra profonda preoccupazione per il recente conflitto nell’Est della RDCongo. La violenza nell’Est della RDCongo ha gravi conseguenze sulle popolazioni locali, pone a rischio i progressi che il Ruanda ha compiuto nel corso degli ultimi 18 anni per quanto riguarda la stabilità del Paese e il livello di vita, destabilizza la RDCongo e impedisce a tutta l’Africa Centrale di avanzare sulla strada di quel progresso di cui ha tanto bisogno.

Ancora più sconcertante è il ruolo del Ruanda nell’ultima ondata di violenza nell’est del Congo. L’appoggio del Ruanda alla ribellione nell’est del Congo è stato ben documentato dalle Nazioni Unite. Tale evidenza è stata confermata anche da importanti rapporti provenienti da altre fonti, comprese le rivelazioni di testimoni oculari imparziali. Tutto questo ci porta a essere assolutamente convinti che il Ruanda è implicato nel sostenere i disordini constatati nelle province del Kivu. Tuttavia, il suo governo continua a insistere sul fatto che questi dati sono poco affidabili. È necessario porre immediatamente fine alla pretesa secondo cui il Ruanda non sta facilitando i ribelli dell’est del Congo e a ogni appoggio ai gruppi armati, per poter intraprendere un cammino costruttivo verso il futuro. Nessun dialogo costruttivo può aver luogo tra i governi ruandese e congolese, finché continua l’appoggio alle milizie.

Siamo soddisfatti dell’accordo raggiunto in occasione del Vertice dell’Unione Africana tenutosi all’inizio di questo mese e relativo alla creazione di una forza internazionale per sorvegliare la frontiera tra Ruanda e RDCongo. Si tratta di un primo passo importante, anche se non è ancora chiaro come questa forza sarà attuata, per potere finalmente affrontare i problemi sottostanti tra Ruanda e RDC e nell’intera regione.

Crediamo che un percorso costruttivo comprenda diversi passaggi successivi e che la leadership del Ruanda e del Congo sia essenziale in questo sforzo. In primo luogo, la sovranità della Repubblica Democratica del Congo deve essere rispettata e sostenuta. In secondo luogo, le legittime preoccupazioni per la sicurezza di tutti i gruppi etnici nella parte orientale del Congo devono essere affrontate, mettendo l’accento su iniziative non militari. In terzo luogo, i legami economici legittimi che il Ruanda e altri paesi intrattengono con l’est del Congo devono essere facilitati. Infine, l’attività economica illegale, tra cui il contrabbando a partire dalla RDCongo, che viola la legge congolese e gli accordi internazionali deve finire. La trasparenza e la regolamentazione del settore minerario e una riforma agraria che rispetti i diritti di proprietà sarebbero vantaggiose per tutte le parti interessate.

Tuttavia, nessuna di queste misure può essere presa finché lei e il Presidente Kabila non vi sediate per discuterne. Vi invitiamo caldamente a dialogare, per iniziare a risolvere tali dispute che perdurano da lungo tempo. Continuare a cercare di raggiungere i vostri obiettivi attraverso altri mezzi sta causando enormi sofferenze umane, vasti spostamenti di popolazioni civili e il ritardo della crescita economica in tutta la regione.

Il conflitto dell’Est del Congo e il ruolo del Ruanda causano un profondo malessere in molti membri del Congresso. Crediamo che ostacolare continuamente le potenzialità dei popoli e dei paesi dell’Africa Centrale sia una perdita per l’intera comunità internazionale. Le azioni che violano il diritto internazionale, fomentano la violenza e ostacolano il progresso non solo sono inaccettabili, ma anche autolesioniste.

Tenuto conto delle prove di cui siamo in possesso, dovremo adottare uno sguardo critico prima di proseguire l’aiuto bilaterale. Inoltre, la totale mancanza di trasparenza da parte del governo ruandese, per quanto riguarda la RDCongo, nonché più in generale, ci porterebbe a iscrivere le nostre preoccupazioni nelle sedi internazionali, tra cui le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. Sosteniamo le azioni che il Dipartimento di Stato americano ha adottato finora, compresa la sospensione del Foreign Military Assistance in Ruanda e l’appello a un dialogo tra il Ruanda e la RDCongo.

Il Ruanda è stato un grande partner degli Stati Uniti in materia di sicurezza in tutta la regione e dello sviluppo. Non vogliamo che il conflitto crescente nella RDCongo metta a repentaglio questa partnership. Crediamo sia giunto il momento per un dialogo aperto e per una tabella di marcia per la stabilità deve essere creato, guidato dal presidente Kabila, Lei e altri leader eletti dell’Africa Centrale e con il coinvolgimento delle comunità locali delle province del Kivu. Sostenitori della riforma democratica e dell’autodeterminazione pacifica dei popoli dell’Africa Centrale, vi sosterremo in questo sforzo e continueremo a vigilare da vicino sugli ulteriori sviluppi tra il Ruanda e la RDCongo».[19]

7. CONTINUA LA PRESSIONE SUL REGIME RUANDESE

Dopo gli Stati Uniti, l’Olanda, il Regno Unito e la Germania, in seguito alla pubblicazione del dell’allegato al rapporto delle Nazioni Unite sul sostegno del Ruanda all’M23, anche la Svezia ha deciso di sospendere il finanziamento di progetti bilaterali in collaborazione con le istituzioni statali del Ruanda. La Svezia ha anche contribuito a far differire la decisione sul sostegno della Banca Africana per lo Sviluppo (BAD) al Governo ruandese e su un importante aiuto del comitato di sostegno del Fondo Europeo per lo Sviluppo (FED) da parte dell’Unione Europea (UE). Il ministro svedese per la cooperazione allo sviluppo, Gunilla Carlsson, ha affermato che la cooperazione svedese allo sviluppo in Ruanda ammonta annualmente a circa 180 milioni di corone (circa 20.690.000 €) e mira, tra l’altro, a promuovere la democrazia, il rispetto dei diritti umani e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali povere.[20]

Volendo andare oltre la tappa inoffensiva delle denunce, delle condanne e dei semplici comunicati stampa, il 17 agosto 2012, alcuni Ruandesi e Congolesi presenteranno, insieme, una formale denuncia alla Corte Penale Internazionale (CPI), per chiedere al Procuratore di iniziare una procedura penale contro il presidente ruandese Paul Kagame e i suoi complici. I due principali partiti dell’opposizione ruandese in esilio, le Forze Democratiche Unificate (FDU – Inkingi) e il Congresso Nazionale Ruandese (RNC) si basano sul contenuto dei vari rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu, istituito in seguito alla risoluzione n. 1533 (2004) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, del Rapporto Mapping sulle maggiori violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, commesse sul territorio della RDCongo tra marzo 1993 e giugno 2003 e dell’annesso (Addendum) al rapporto intermedio del gruppo degli esperti dell’Onu (S/2012/348), relativo alle violazioni dell’embargo sulle armi da parte del governo del Ruanda. L’iniziativa è promossa in collaborazione con Jambo Asbl, il Centro per la lotta contro l’impunità e l’ingiustizia in Ruanda (CLIIR) e la Rete Internazionale delle Donne per la Democrazia e la Pace (RIFDP / Olanda e Belgio).[21]


Note:

[1] Cf RFI, 25.07.’12; AFP – Kinshasa, 26.07.’12

[2] Cf AFP – Goma, 28.07.’12; Radio Okapi, 27.07.’12 ;

[3] Cf Radio Okapi, 29.07.’12

[4] Cf Belga . Rtl.be, 29.07.’12

[5] Cf AFP – New York, 01.08.’12

[6] Cf Radio Okapi, 07.08.’12

[7] Cf Lucien Dianzenza – Les Dépêche de Brazzaville – Kinshasa, 31.07.’12

[8] Cf Radio Okapi, 29.07.’12

[12] Cf RFI, 03.08.’12 ; ONU – New-York, 02.08.’12 (MCN, via mediacongo.net)

http://www.mediacongo.net/show.asp?doc=22060

[15] Cf Radio Okapi, 07.08.’12

[16] Cf AFP – Kampala, 07.08.’12

[17] Cf Patrick Tshamala/Télé 7 – Le Potentiel – Kinshasa, 08.08.’12

[20] Cf Luc-Roger Mbala Bemba – L’Observateur, 07.08.’12