Quando la menzogna è usata come arma di guerra

Congo Attualità n. 150 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

 

Da due settimane circa, gli scontri tra l’esercito nazionale della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) e i ribelli del Movimento del 23 Marzo (M23) sono concentrati su tre colline: Mbuzi, Chanzu e Runyonyi, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu), vicino al confine con Uganda e Ruanda, obbligando la popolazione civile alla fuga.

I ribelli affermano di aver disertato l’esercito e fondato un loro nuovo movimento armato perché, secondo loro, il governo non avrebbe mantenuto gli impegni presi in occasione di precedenti accordi.

Se si tratta di rivendicazioni politiche, occorre ricordare che il CNDP, da cui i ribelli del M 23 provengono, è stato riconosciuto come partito politico, addirittura membro della Maggioranza Presidenziale. È all’interno di quella piattaforma che i ribelli avrebbero dovuto presentare le loro rivendicazioni, senza prendere le armi.

Se si tratta di rivendicazioni militari (stipendi, logistica, riconoscimento di gradi), i ribelli di oggi erano stati integrati nell’esercito nazionale, in base agli accordi precedenti e, quindi, dovrebbero far riferimento ai vertici della gerarchia militare. Oltre tutto, il comando militare a livello nazionale e, soprattutto nel Kivu, è nelle mani di ufficiali del CNDP e del RCD, un ex gruppo armato dalle connotazioni simili a quelle del CNDP. Addirittura, fino a poche settimane fa, il comando delle operazioni militari Amani Leo era nelle mani di Bosco Ntaganda, nel Nord Kivu, e di Sultani Makenga, nel Sud Kivu.

In ogni caso, qualsiasi rivendicazione, anche se giusta, non giustifica in assoluto il ricorso alle armi. È dunque lecito sospettare che, dietro certe rivendicazioni ufficiali del M 23, ci siano delle mire nascoste.

 

La menzogna è usata come arma da guerra.

In realtà, la guerra contro le FDLR e la protezione dei Tutsi sono fallaci pretesti per non accettare il loro dispiegamento in altre circoscrizioni militari diverse dai due Kivu, per continuare la loro attività di sfruttamento illegale delle risorse minerarie del Kivu. I vari rapporti del gruppo degli esperti dell’Onu per la RDCongo denunciano, a più riprese, l’implicazione di certi ufficiali delle Fardc, tra cui “il generale” Bosco Ntaganda e “il colonnello” Sultani Makenga, in circuiti mafiosi dediti al contrabbando dei minerali del Kivu. Non è un segreto. Nemmeno è un segreto che il commercio clandestino dei minerali passi soprattutto per il Ruanda, oltre che per l’Uganda e il Burundi, come denunciato anche dai rapporti citati.

Un altro motivo per cui le truppe del CNDP, benché integrate nell’esercito nazionale, hanno finora rifiutato di servire il Paese in altre circoscrizioni militari fuori dal Kivu è la presenza, in esse, di militari ruandesi rimasti in RDCongo sin dai tempi delle due guerre del 1996-1997 e del 1998-2003 a fianco dell’AFDL e del RCD o ai tempi dell’operazione militare congiunta Umoja Wetu, condotta nel 2009 contro le FDLR. Se le truppe dell’esercito nazionale dispiegate nei due Kivu sono infiltrate da militari ruandesi, ne consegue che, per rimanere vicino alla loro patria, il Ruanda, non accettino in assoluto di essere permutate altrove.

Questa realtà sembra confermata anche da informazioni di ultima ora, secondo cui tra i ribelli del M23 ci sono militari reclutati in Ruanda. A rivelarlo, sarebbe niente meno che un rapporto ancora “confidenziale” dell’Onu, di cui la BBC è venuta a conoscenza.

Ormai è evidente: come i movimenti politico militari precedenti (l’AFDL, il RCD e il CNDP), che hanno seminato il terrore tra la popolazione congolese e ucciso otto (8) milioni di persone innocenti e indifese, anche il M 23 è stato creato ed è appoggiato dall’attuale regime ruandese di Paul Kagame.

Come d’abitudine, il Ruanda smentisce, affermando che l’attuale instabilità nell’Est della RD Congo è una questione che riguarda il governo congolese e l’esercito congolese. Il Ruanda ha sempre reagito così, anche quando si denunciava il suo appoggio ai precedenti movimenti ribelli dell’AFDL, del RCD e del CNDP. Ha sempre negato. Ma è sempre stata smentito dai vari rapporti internazionali, incluso quelli dell’Onu. Come l’Uganda, il Ruanda rimane, infatti, una pedina importante nelle mani di certe potenze occidentali e di molte multinazionali in cerca delle materie prime, soprattutto minerarie, del Kivu.

 

Cercare di far emergere la verità dei fatti è il primo passo indispensabile per trovare le soluzioni adeguate per mettere fine, pacificamente e secondo giustizia, alle gravi violazioni dei diritti umani in Congo.

Messi alle strette negli ultimi giorni dall’esercito congolese, i ribelli del M23 hanno chiesto al governo congolese un cessate il fuoco, in vista di trattative e negoziati.

No, non si può negoziare con chi ha scelto la via delle armi per propri vantaggi e per mettersi al servizio di interessi stranieri a scapito del bene comune della popolazione congolese: devono essere disarmati e rispondere dei loro atti davanti alla giustizia!