Rwanda Attualità – edizione agosto 2011

SOMMARIO:

– EDITORIALE
– NEWS
– IL PROCESSO DI VICTOIRE INGABIRE
– GIUSTIZIA
– TRE RAPPORTI
– FINE DELLO STATUTO DI RIFUGIATI ENTRO LA FINE DEL 2011
– L’«IDEOLOGIA GENOCIDARIA» COME ARMA DI REPRESSIONE
– FIASCO DI UN SITEMA EDUCATIVO AL BORDO DEL COLLASSO

EDITORIALE:

La natura del regime ruandese non è più da scoprire e da dimostrare, nonostante i suoi sforzi di disinformazione sistematica. Il terrore e la violenza costituiscono i principi base del sistema e la manipolazione e l’acquisto delle coscienze ne sono le regole.

È un sistema di tipo mafioso che governa il paese e in cui Paul Kagame è visto come un padrino, piuttosto che come Capo di Stato.

“La nostra politica non è stata il frutto di una coincidenza. È stata dapprima riflettuta con attenzione dagli uomini che l’hanno progettata. Uomini con una strategia precisa per raggiungere, ad ogni costo, gli obiettivi prefissati da loro stessi (…). Il problema è che i Ruandesi sono ciechi. Anche quando si mostra loro qualcosa, non lo vedono. Sembrano un cane che, prima di essere ucciso, perde dapprima l’uso di narici che rimangono bloccate” (…) Mi dispiace che alcuni vogliono essere feriti per rendersi conto che nulla potrà impedire la continuazione della nostra politica. Abbiamo il dovere di fare in modo che essi siano picchiati, affinché possano capirlo (…). “Gli esiliati che passano il loro tempo ad abbaiare, non ritorneranno che per insegnare le divisioni, ma io li ferirò” … … “Quelli che abbandonano il paese di nascosto o sotto i nostri occhi, li lasciamo partire; ci sono quelli che rimangono perché occupano posti nel governo, io li destituirò per facilitare la loro fuga”.

Queste parole estratte dal discorso del Presidente Kagame a Rebero (Bwisige), il 31 marzo 2003, sono ancora d’attualità e riflettono lo stato d’animo e la filosofia politica di colui che presiede ai destini del popolo ruandese da 17 anni.

Pertanto, persone di ogni origine continuano a fuggire dal paese a causa del regime sanguinario, totalitario, installato in Ruanda dal RPF, Partito-Stato-Esercito, e il suo presidente, Paul Kagame: l’opposizione interna è soffocata, la società civile addomesticata e privata di ogni indipendenza, l’ingerenza del governo nelle decisioni giudiziarie è diventata comune. È questa ingerenza che ha portato al fallimento dei tribunali Gacaca nella loro duplice missione di giustizia e di riconciliazione.

È da lamentare che una lucida analisi della situazione politica e socio-economica del Ruanda attuale non riesca a rompere il muro di silenzio imposto dalla sfuggente “comunità internazionale” e, ciò che è ancor più sorprendentemente, dai mezzi di comunicazione e dalle organizzazioni non governative (ONG), per lo più in sintonia con Kigali.

C’è da temere che questa sia la tacita regola che avrebbe spinto la Commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati ad invocare la clausola di cessazione dello statuto di rifugiati contro tutti i rifugiati e richiedenti d’asilo ruandesi, entro il mese di dicembre del 2011 e questo per soddisfare la richiesta del governo inoltrata nell’ottobre 2009. Dato che le condizioni che hanno spinto questi Ruandesi all’esilio non sono ancora superate e che, in alcuni settori, sono addirittura peggiorate, chiediamo alla comunità internazionale e a tutte le persone di buona volontà e amanti della pace di intervenire presso la Commissione delle Nazioni Unite per i Rifugiati, affinché lo status di protezione dei rifugiati ruandesi sia mantenuto.

È tempo di rompere i tabù che impediscono una lucida analisi della natura del regime ruandese, perché il silenzio equivale all’approvazione e significa indifferenza per il destino del popolo ruandese. La politica del regime di Kigali fa presagire un’inevitabile implosione del paese, soprattutto se alcune grandi potenze continuano a mantenere un atteggiamento compiacente nei confronti dell’attuale regime.

 

NEWS

Il 12 luglio, alle ore 19.00, l’esplosione di una bomba a Cyangugu, ha provocato 21 feriti, tra cui quattro in gravi condizioni. Secondo fonti della polizia, l’attacco aveva come obiettivo un parcheggio di taxi-moto nei pressi del mercato di Kamembe. Situata nella provincia occidentale (una zona al confine con la Repubblica Democratica del Congo), Cyangugu è una regione generalmente considerata stabile, in cui non si erano quasi mai segnalate azioni terroristiche o di banditismo e in cui la gente circolava di giorno e di notte senza grandi problemi. Tuttavia negli ultimi tempi, un clima di insicurezza è diventato evidente a tutti.

Dal 2010, in Ruanda sono stati perpetrati vari attacchi con esplosioni di bombe, provocando una decina di morti e diversi feriti. Tuttavia, questi attacchi erano localizzati nella capitale Kigali, e questo attacco a Cyangugu non ha precedenti.

Le autorità avevano inizialmente attribuito i precedenti attacchi ( a Kigali) alla milizia Interahamwe, poi avevano accusato l’ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale Faustin Kayumba Nyamwasa e l’ex capo dei servizi segreti del FPR, il colonnello Patrick Karegeya, oggi entrambi rifugiati in Sud Africa, di essere i responsabili di atti di “destabilizzazione” del Paese, compresi gli attentati con esplosioni di bombe. Da parte sua, una parte dell’opposizione ruandese ha continuato ad attribuire questi attacchi allo stesso regime di Kigali. Secondo varie personalità dell’opposizione, tra cui Kayumba Nyamwasa e Theogene Rudasingwa, ex capo dell’ufficio personale di Paul Kagame, anche lui in esilio, il governo di Paul Kagame cercherebbe di mettere alle strette i suoi critici, accusandoli di essere i responsabili degli atti di terrorismo perpetrati.

Il Ruanda sta già preparando le elezioni del Senato che si terranno il 26 e 27 settembre. La Camera alta del parlamento, il senato è composta di 26 membri con un mandato di otto anni. Tra i senatori, 12 sono eletti dalle amministrazioni locali del paese, otto sono nominati dal Presidente, quattro dal Forum Nazionale per le organizzazioni politiche (NFPO), uno dalle università pubbliche e uno dalle università private. I risultati provvisori saranno annunciati il 2 ottobre e quelli finali il 4 ottobre.

Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha deciso all’unanimità di approvare la richiesta del governo ruandese di avere un seggio nel Comitato Esecutivo dell’Alto Commissariato per i Rifugiati. “Il Ruanda vuole rafforzare la sua cooperazione internazionale nella regione ai sensi della Convenzione sui rifugiati del 1951 e del protocollo del 1967”, ha spiegato Alphonse Kayitare, membro dell’Ambasciata del Ruanda a Ginevra, che ha introdotto la richiesta alle Nazioni Unite.

 

IL PROCESSO DI VICTOIRE INGABIRE

Il 20 giugno, il processo di Victoire Ingabire, presidente del principale partito di opposizione del Ruanda, le FDU-Inkingi, è stato nuovamente rinviato e fissato per il 5 settembre, per richiesta dei suoi avvocati. È una Victoire Ingabire sorridente e apparentemente in buona salute che si è presentata davanti a un centinaio di sostenitori venuti ad assistere al suo processo. Con un dossier di 2500 pagine in Kinyarwanda da tradurre ed esaminare, gli avvocati della difesa non hanno avuto il tempo sufficiente per preparare la replica e hanno chiesto bisogno un tempo supplementare.

Ufficialmente, Victoire Ingabire è accusata di ideologia genocidaria, collaborazione con un gruppo terroristico, divisionismo, incitazione del popolo contro il potere, creazione di un gruppo armato ribelle, tentativo di rovesciare il governo con la forza. Ma dietro questa farsa giudiziaria, si nascondono, in realtà, motivi politici avanzati dalla dittatura del FPR. Al suo arrivo in Rwanda, il 16 gennaio 2010, ella ha ripetutamente denunciato la censura della stampa, l’ingiustizia sociale, l’iniquità dei processi e la discriminazione del lutto. Ella ha osato dire che, come le vittime del genocidio dei tutsi, anche le vittime hutu del conflitto ruandese dovrebbero essere onorate con dignità. Ma secondo il FPR, ricordare le vittime hutu significa negare il genocidio dei tutsi!

I mezzi di comunicazione dello Stato, o prossimi al potere, l’hanno accusata di difendere la tesi del doppio genocidio, di diffondere l’ideologia genocidaria, di predicare il divisionismo, di minare l’unità nazionale, di collaborare con le FDLR, ecc.

Il suo solo crimine: il coraggio di aver invocato procedure giudiziarie anche contro i responsabili dei massacri, dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi contro gli Hutu, come è stato fatto nei confronti dei responsabili del genocidio contro i Tutsi. È “colpevole” di aver appellato alla lotta contro l’impunità dei crimini commessi dall’esercito FPR. D’altra parte, tali crimini sono stati confermati anche dal Rapporto “mapping” dell’Onu, pubblicato il 1° ottobre 2010.

In realtà, i torti maggiori rimproverati a Victoire Ingabire e al suo partito sono quelli di aver osato di creare un partito di opposizione e di aver chiesto che personalità politiche e militari legate al regime e sospettate di essere implicate in crimini di guerra e crimini contro l’umanità siano condotte davanti alla giustizia.

Dietro le accuse giudiziarie portate contro membri dei partiti di opposizione, si nascondono motivazioni politiche: nessun cittadino ha il diritto di manifestare pacificamente contro il regime e le sue leggi liberticide, emanate su misura per rimanere al potere a tempo indeterminato. Sfidare il generale Paul Kagame e voler presentarsi come candidata alle elezioni presidenziali, non poteva che attirare l’ira del governo contro se stessa. Il regime del FPR non ha lesinato mezzi per gettare fango su Victoire Ingabire, nascondendosi tuttavia dietro ragioni giudiziarie. È evidente che il regime non voleva in alcun modo il riconoscimento di un partito di vera opposizione, ma per ingannare l’opinione pubblica, ha sempre messo in primo piano le presunte accuse giudiziarie contro Victoire Ingabire.

La legge n. 18/2008 del 23/07/2008 sulla ideologia genocidaria è stata volontariamente concepita in modo vago e ambiguo come uno strumento di ricatto a cui ricorrere come spada di Damocle su chi non condividere il pensiero unico del FPR od osa affermare che anche il FPR ha commesso crimini contro l’umanità e, persino, atti che potrebbero essere classificati come atti di genocidio contro gli hutu.

Ogni differenza di opinione sui fatti accaduti nella storia recente del Ruanda, ogni evocazione dei crimini e delle vittime del FPR durante il conflitto dal 1990 al 1994 e oltre, può essere equiparata all’ideologia genocidaria.

Dire al mondo intero che i Ruandesi sono sotto il giogo della paura e di un totalitarismo politico di altra epoca, denunciare una giustizia che si trova sotto l’influenza del potere esecutivo e dei tribunali “gacaca” che non permettono l’assistenza di un difensore, denunciare la palese esistenza della fame nelle zone rurali e nei quartieri poveri delle città, affermare che l’assistenza sanitaria di base è carente, nonostante l’obbligazione di affiliazione alla mutualità sanitaria, dichiarare che l’accesso alle scuole medie e superiori è condizionato a criteri discriminatori, condannare le gravi violazioni del diritto umanitario e il saccheggio delle risorse naturali del Congo e chiedere che i responsabili di tali crimini siano perseguiti in giustizia, è ciò che il regime chiama divisionismo.

Le false accuse di implicazione in azioni militari e nella formazione di gruppi terroristici sono diventate moneta corrente per neutralizzare o imprigionare tutti gli oppositori al regime del generale Kagame.

A proposito di Victoire Ingabire, l’accusa di complicità in atti tendenti a rovesciare il governo con la forza è stata fabbricata ariìtificialmente per impedire a lei e al suo partito, le FDU-INKINGI, di presentarsi come candidata alle elezioni in vista di arrivare al potere mediante la via delle urne. Lo stesso Paul Kagame non ha esitato a dichiarare: “Abbiamo combattuto e ciò che abbiamo ottenuto con la forza, non ce lo porteranno via attraverso le urne”.

Il processo contro Victoire Ingabire è un processo politico per ostacolare una concorrente politica E perpetuare la dittatura del partito-Stato, il FPR. Gli strateghi del regime hanno semplicemente optato per la trasformazione di subdole ragioni politiche in motivi criminali.

Come affermato da Filip Reyntjens (cronaca politica del Rwanda 2009-2010, Anversa, maggio 2010), in definitiva, Victoire Ingabire è vittima di false accuse per avere pubblicamente messo in causa i fondamenti stessi del potere, monopolio del FPR: a) lo statuto del FPR come “autorità morale”, b) lo statuto dei Tutsi come “solo vittime” del genocidio ruandese, c) lo statuto degli Hutu come “criminali”. Questi tre pilastri sono, infatti, la base di legittimazione interna e internazionale del FPR. Il regime ha dunque visto nell’emergere, all’interno del paese, di una vera opposizione che rivendica l’apertura dello spazio politico, una minaccia su una situazione che il FPR dava per scontata, e cioè: il controllo totale della politica e della società ruandese.

 

GIUSTIZIA

Il 19 giugno, in un comunicato stampa firmato da Alexis Bakunzibake, segretario generale per la gioventù dell’unico partito di opposizione riconosciuto, il partito PS-Imberakuri ha contestato la decisione della Corte di Gasabo di rinviare di nuovo il processo dei membri di questo partito. Si tratta di Donatien Habiyambere, Dominique Yumvihoze e Celestin Shyirambere, tutti incarcerati, secondo il comunicato, per motivi politici, come il presidente dello stesso partito, Bernard Ntaganda. “Questa pregiudizievole decisione riflette il vero colore della giustizia praticata dal partito al potere, il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), che ingiustamente prende di mira gli oppositori politici”, prosegue il comunicato. Già un esperto di diritto aveva chiaramente dimostrato che l’accusa contro i membri del partito PS-Imberakuri era incompleta e che mancavano prove chiare. Pertanto, il tribunale ha chiesto alla corte di sospendere il processo, per dare più tempo alla raccolta delle prove. Gli avvocati della difesa hanno quindi spiegato alla Corte che, secondo la legge, prima di arrestare e incarcerare i sospetti, il procuratore avrebbe dovuto aver già raccolto le prove sicure e credibili. Ciò che non è stato fatto, in quanto gli accusati hanno già trascorso un anno di detenzione illegale, come sembra confermato dal procuratore stesso, quando ha chiesto alla corte di concedergli più tempo per cercare di costruire le prove su cui basare le accuse.

L’8 luglio, alle 13.30, sei membri del partito PS-Imberakuri e delle FDU- Inkingi sono stati arrestati dalla polizia ruandese. L’arresto ha avuto luogo, quando essi sono andati a rendere visita a un connazionale, Sylvain Mwizerwa, incarcerato nella prigione Kimironko. Gli arrestati erano andati anche per richiedere i documenti di rilascio di altri tre membri del PS-Imberakuri, di cui il giudice aveva ordinato il rilascio il giorno precedente. Gli oppositori arrestati sono, per il PS-Imberakuri: il presidente del partito, Alexis Bakunzibake, Jean-Baptiste Icyitonderwa, Martin, il capo del PS-Imberakuri di Kicukiro e Joyeux Kite, studente presso l’Università di KIE e membro del Comitato degli studenti. In quanto alle FDU-Inkingi, sono stati arrestati Martin Ntavura, sua moglie e una donna la cui identità rimane ancora sconosciuta.

Va ricordato che tre responsabili del PS Imberakuri sono stati rapiti nel 2010 e che risultano scomparsi fino ad oggi, senza alcuna notizia di loro. Si tratta di Sibomana Rusangwa, segretario privato di Bernard Ntaganda, rapito il 13 giugno 2010 verso le ore 20.00 a Nyamirambo, di Jean Marie Vianney Nshimiyimana, scomparso dal 25 marzo 2010, mentre ritornava a Kigali dopo il congresso del Partito e di Denys Mpakaniye, responsabile del partito a Karongi Mubuga, scomparso il 20 giugno 2010.

Il 29 luglio, il Tribunale di Rwamagana ha condannato padre Emile Nsengiyumva ad una pena detentiva di un anno e sei mesi. L’accusa portata contro di lui è quella di volere “destabilizzare il paese”. Padre Emile Nsengiyumva è semplicemente stato condannato per il fatto di aver denunciato la deriva delle autorità ruandesi che distruggono le misere case dei poveri, senza prevedere alcuna soluzione di alloggio alternativo. Nella sua omelia il sacerdote aveva parlato di mancanza di carità e di ingiustizie commesse contro i poveri della sua parrocchia. È questo ciò che il regime FPR di Paul Kagame qualifica come “atto di destabilizzazione del paese”.

 

TRE RAPPORTI

Il 31 maggio, Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato un rapporto di 168 pagine, secondo il quale il bilancio finale dei gacaca, tribunali popolari incaricati di processare i casi di genocidio, è piuttosto “mediocre” e “intaccato” da gravi errori giudiziari. Il rapporto si basa sull’osservazione, da parte di Human Rights Watch, di oltre 2000 giorni di processi intrapresi dai tribunali gacaca, sull’esame di oltre 350 casi e su interviste con centinaia di partecipanti appartenenti a tutte le parti interessate dai processi gacaca: accusati, sopravvissuti al genocidio, testimoni, altri membri della comunità, giudici, autorità locali e nazionali.

Dapprima, HRW ritiene che i gacaca abbiano avuto alcuni aspetti positivi e cita in primo luogo il fatto che vari ruandesi riconoscono che i gacaca li hanno aiutati a conoscere meglio cosa è successo nella primavera del 1994, anche se non è stata rivelata tutta la verità. Secondo il parere di diversi Ruandesi, l’esperienza dei gacaca ha aiutato alcune famiglie a ritrovare “i corpi dei parenti assassinati che hanno potuto finalmente seppellire con una certa dignità”. I gacaca hanno anche permesso di individuare varie persone responsabili di crimini commessi.

Ma Human Rights Watch cita anche molte lacune, fra cui l’incapacità dei tribunali gacaca ad assicurare una giustizia uguale per tutte le vittime dei gravi crimini commessi nel 1994. “Tra aprile e agosto 1994”, osserva l’organizzazione, anche dei militari del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) “hanno ucciso decine di migliaia di persone. Posteriormente, e sempre nel corso dello stesso anno, hanno commesso anche altri massacri, dopo che il FPR avesse preso il pieno controllo del paese. I tribunali gacaca non hanno tenuto conto dei crimini commessi dal FPR”.

HRW ha sottolineato molte altre “lacune e fallimenti” e ha citato “le violazioni dei diritti fondamentali ad avere un giusto processo, la mancanza, per l’accusato, di avere la possibilità di difendersi in modo efficace, la parzialità di molti verdetti (spesso causata dal tipo di relazione di alcuni giudici con le parti in causa o dal tipo di idee preconcette su ciò che è successo durante il genocidio), ciò che ha portato ad errori giudiziari, i processi fondati sulla base di false accuse, legate, in alcuni casi, alla volontà del governo di mettere a tacere le voci critiche (giornalisti, attivisti dei diritti umani e certi funzionari dello Stato) o a controversie tra vicini e, addirittura, tra i membri di una stessa famiglia, le intimidazioni rivolte ai testimoni della difesa da parte dei giudici o delle autorità; i tentativi di corrompere alcuni giudici per ottenere il verdetto desiderato e altre gravi irregolarità procedurali”.

HRW ha accolto come un passo positivo il riconoscimento da parte del governo ruandese della necessità di correggere gli errori giudiziari commessi, ma ritiene che “la proposta di esaminare questi casi ancora all’interno del sistema gacaca potrebbe causare gli stessi problemi e non porre rimedio alla situazione”. Per evitare tale rischio, HRW chiede di istiuire un meccanismo più appropriato, che potrebbe essere “un’unità specializzata nell’ambito del sistema giudiziario ordinario, composta di giudici e giuristi professionisti e incaricata di riesaminare questo tipo di casi”.

Il 3 giugno, Amnesty International (A.I.) ha pubblicato un rapporto di poche pagine dal titolo: “Quando esprimersi non è senza pericolo. Le restrizioni sulla libertà di espressione in Ruanda”, circa le violazioni della libertà di espressione in Ruanda. Infatti, in Ruanda, parlare può essere rischioso. In Ruanda, la libertà di espressione e di parola è ingiustificatamente limitata da anni, soprattutto a partire dai mesi precedenti le elezioni presidenziali di agosto 2010. La campagna di sensibilizzazione di Amnesty International chiede al governo ruandese di permettere ai politici dell’opposizione, ai giornalisti, ai difensori dei diritti umani e a ogni individuo di poter parlare, senza temere per la loro sicurezza. Infatti, il Fronte Patriottico Ruandese (Fpr), al potere dal tempo del genocidio del 1994, esercita uno stretto controllo sulla vita politica, sulla società civile e sui mezzi di comunicazione, adducendo come motivo la necessità di prevenire nuovi focolai di violenza. Le restrizioni sulla libertà di associazione e di espressione hanno impedito ai nuovi partiti di opposizione di partecipare alle elezioni di agosto 2010. Durante lo stesso periodo, i giornalisti sono stati oggetto di sanzioni penali per diffamazione. Infine, A.I. invita il governo ruandese ad accelerare la revisione della normativa in materia di “ideologia del genocidio” e di “settarismo” e della legge del 2009 sui mezzi di comunicazione, utilizzate per sopprimere qualsiasi opposizione politica e per soffocare la libertà di espressione nell’intero paese.

Il rapporto di Africom è chiaro: il Ruanda è tra i dieci paesi africani più instabili. Commissionato da U.S. Africom, il rapporto evidenzia la mancanza di apertura dello spazio politico come fonte di destabilizzazione dell’intero Paese. Il rapporto affronta tre temi chiave:

1. L’incapacità del governo ruandese a gestire la competizione politica in una società democratica, potrebbe spingere alla radicalizzazione un’opposizione non ha i mezzi sufficienti per opporsi al regime. Ma all’interno dell’opposizione, potrebbero emergere nuove coalizioni contro l’attuale regime.

2. La strategia di uno “sviluppo basato su un vuoto politico”, su cui il governo ha scommesso la sua legittimità interna ed internazionale, sta incontrando grandi difficoltà, in quanto rende il tessuto sociale vulnerabile di fronte alle crisi economiche, le possibili fluttuazioni finanziarie e la crescente disuguaglianza economica.

3. Le continue ingerenze e interferenze del Ruanda nella situazione dell’Est della Repubblica Democratica del Congo possono avere un effetto destabilizzante in entrambi i paesi, in Congo e in Ruanda.

 

PROPOSTA DI CESSAZIONE DELLO STATUTO DI RIFUGIATI PER I RUANDESI

Nell’ottobre 2009, il governo FPR di Kigali aveva chiesto al Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Antonio Guterres, di applicare la clausola di cessazione dello statuto di rifugiati, prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951, nei confronti di tutti rifugiati e richiedenti d’asilo provenienti dal Ruanda. La motivazione di una tale richiesta è che, secondo il governo, il Ruanda è diventato un paese sicuro. In quella occasione, l’UNHCR aveva risposto che avrebbe consultato tutte le parti interessate, compreso il governo ruandese e i paesi ospiti, per esaminare una possibile applicazione della clausola entro il mese di dicembre del 2011.

Applicare la clausola di cessazione significa, di solito, interrompere anche la protezione internazionale accordata ai rifugiati. In pratica, ciò significa il ritiro dello statuto di rifugiato e la fine dei diritti e dei benefici connessi a tale statuto.

La clausola di cessazione può essere invocata per motivi “soggettivi”, legati cioè a un individuo. Come, per esempio, un rifugiato che trascorre le sue vacanze nel suo paese d’origine da cui è fuggito. La clausola di cessazione può essere invocata anche per motivi “oggettivi” cioè, quando effettivi cambiamenti fondamentali all’interno del Paese d’origine pongono termine al timore, da parte del rifugiato, di essere ancora perseguitato. È quest’ultima, la motivazione menzionata nel caso del Ruanda.

Di fronte alla possibilità di applicare tale clausola, 28 associazioni con sede in Europa, America e Africa, hanno inviato all’UNHCR un memorandum, in cui esprimono la loro “profonda preoccupazione” nei confronti di tale possibilità.

Le 28 associazioni ritengono che è ancora “estremamente prematuro” prendere in considerazione la possibilità di cessazione della protezione internazionale per i rifugiati ruandesi, perché, così scrivono, “le condizioni che hanno costretto molti Ruandesi all’esilio non sono ancora superate, anzi, in alcune zone, sono addirittura peggiorate”. Esse fanno anche una lista, non esauriente, di fatti che confermano e giustificano la loro posizione.

Tra questi fatti, le associazioni rievocano dei discorsi del presidente Paul Kagame contro i rifugiati, tra cui quello del 13 aprile 2010, in cui egli paragonava i Ruandesi che erano fuggiti dal paese a degli “escrementi” che il corpo espelle automaticamente e quello del 7 aprile 2007, nel corso della 13ª commemorazione del genocidio a Murambi, in cui Paul Kagame si era detto dispiaciuto di non aver sterminato abbastanza gente tra coloro che avevano varcato il confine nel 1994, scappando davanti alle sue truppe che avanzavano. Le 28 associazioni si riferiscono anche ai crimini commessi dal FPR nel 1996-1997 contro i rifugiati in Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo), ancora oggi rimasti impuniti. A proposito di questi massacri, nello stesso discorso del 13 Aprile 2010 in Parlamento, Paul Kagame aveva affermato che “Quelli che dovevano essere rimpatriati, sono stati rimpatriati, coloro che dovevano essere uccisi, sono stati uccisi” e, in inglese, aveva aggiunto: «that’s what we did» (“È quello che abbiamo fatto”).

Uno degli obiettivi dell’applicazione della clausola di cessazione è di consentire al regime FPR di avere un maggior controllo sui rifugiati, per evitare che i sopravvissuti possano testimoniare e confermare o fornire nuove informazioni alle accuse già formulate contro di lui.

Secondo Pascal Kalinganire, dell’organizzazione per la pace, la giustizia e lo sviluppo in Ruanda che ha coordinato il memorandum, solo una mobilitazione di massa potrebbe bloccare il ricorso alla clausola di cessazione dello statuto di rifugiato.

 

L’«IDEOLOGIA GENOCIDARIA» COME ARMA DI REPRESSIONE

Studentessa presso la scuola superiore (ESSA) di Nyarugunga, in Ruanda, Adeline Niyomugeni è stata incarcerata con l’accusa di “diffondere l’ideologia del genocidio”. Secondo le autorità della scuola frequentata da Adeline, ella avrebbe pronunciato parole che hanno sconvolto i suoi colleghi. Denunciato alla polizia, Adeline Niyomugeni è stata arrestata il 30 Giugno 2011 ed è detenuta presso il commissariato di polizia di Nyarugunga.

Secondo le informazioni di “igihe.com”, “alcuni studenti della ESSA Nyarugunga si sarebbe resi conto che, nelle loro conversazioni, alcuni loro colleghi utilizzavano delle parole assimilabili all’ideologia genocidaria (ingengabitekerezo)”. Sempre secondo le informazioni di quel sito, le parole pronunciate da Adeline Niyomugeni avrebbero fatto traboccare il vaso. Scioccati da quelle parole, alcuni studenti si sono riuniti il 29 giugno e hanno deciso di denunciarla presso la direzione della loro scuola che, a sua volta, ha denunciato alla polizia Adeline Nyarugunga. L’incarcerazione di Adeline è avvenuta il 30 giugno, però, il preside della scuola ha annunciato che “le inchieste continuano per mettere le mani su tutti gli studenti che hanno osato usare parole assimilabili all’ideologia genocidaria”.

La legge del silenzio.

Quali parole avrebbe Adeline pronunciato per arrivare a metterla in prigione? Questa è la domanda che molti continuano a porsi da quando la giovane studentessa è stata arrestato. Finora, né la direzione della ESSA di Nyarugunga, né i compagni di Adeline hanno voluto pronunciarsi su quelle presumibili parole assimilabili all’ideologia genocidaria che l’accusata avrebbe pronunciato. Per quanto riguarda la polizia ruandese, il portavoce, Theos Badege, ha dichiarato di “non poter comunicare nulla fino a quando l’indagine continua”.

Le parole che portano in prigione.

Quali sono quelle parole assimilabili all’ideologia genocidaria che è meglio evitare di pronunciare in Ruanda col rischio di finire in prigione? Se le parole più sensibili si riferiscono a ciò che è legato alla appartenenza etnica e al genocidio, in realtà la polizia e le autorità ruandesi si riservano il diritto di qualificare qualsiasi parola come riferita alla “ideologia del genocidio”. Così ogni parola, anche la più insignificante, può far parte di un certo catalogo. Per esempio, dire di una persona che è “Hutu, Tutsi e sopravvissuto”, anche se è vero, può essere catalogato come ideologia genocidaria e condurre in carcere. Tuttavia, dire che una persona è un “Interahamwe”, anche se è sbagliato, può essere ben visto. L’ideologia genocidaria appare come “un’accusa globale, una comunella”, che varia in base al volere del regime. Ciò che sorprende è che queste parole, che possono condurre in prigione per la loro semplice pronuncia, spesso sono tranquillamente pronunciate da alti dignitari del regime, anche in assemblee popolari. Infatti, la frase “genocidio dei Tutsi perpetrato dagli Hutu” è frequentemente usata soprattutto dai funzionari del regime.

L’«ideologia genocida» come “arma di repressione”.

Se le autorità ruandesi sostengono che la lotta contro l’ideologia del genocidio è una delle misure prese nel contesto della riconciliazione, per evitare che il paese ricada nei massacri, in realtà, “l’ideologia genocidaria” è una delle ” potenti armi del regime”, un’arma di censura e di repressione, discreta, ma che ha dimostrato la sua efficacia, poiché ha servito, e continua a servire, come un’accusa contro chiunque osi alzare la testa per opporsi al regime di Paul Kagame. Dopo l’accessione del FPR al potere, nel 1994, la “diffusione dell’ideologia genocidaria”, come accusa, è stata utilizzata per eliminare, demonizzare e ottenere l’esclusione politica, sociale ed economica di un gran numero di cittadini, leader della società civile e politici, responsabili di confessioni religiose, commercianti e contadini. Tuttavia, anche se l’«ideologia genocidaria» è in prima linea fra le accuse che il governo di Kigali utilizza per reprimere i dissidenti, si sono inventate altre accuse simili, come quelle relative a “revisionismo, negazionismo e divisionismo”. Tali accuse sono utilizzate per individuare gli avversari e mantenere in funzione la macchina repressiva del FPR.

Una controversa accusa.

L’«ideologia genocidaria» è un’accusa che ha continuato ad accrescere la polemica, sia in Ruanda che fuori del paese. La dichiarazione pubblica di Amnesty International, il 6 luglio 2004, è molto significativa: “L’Assemblea Nazionale del Ruanda usa sconsideratamente il concetto di genocidio, per mettere a tacere non solo le organizzazioni e gli individui che dimostrano il loro disaccordo con il governo, ma anche associazioni che mantengono forti legami con il popolo ruandese e la cui lealtà è messa in discussione dal governo”. Per Erwin van der Borght, un responsabile di Amnesty, le leggi ruandesi contro l’ideologia del genocidio “sono formulate in modo molto vago e generalizzato e così la gente, in Ruanda, non sa cosa sia permesso e ciò che non lo è. A causa di questo, “molta gente preferisce non criticare le autorità, perché c’è davvero la paura, per esempio, da parte dei mezzi di comunicazione indipendenti, attivisti dei diritti umani e oppositori politici, di essere perseguiti “, egli aggiunge.

Un’accusa che deteriora il sistema scolastico e spaventa gli insegnanti.

L’accusa di “ideologia del genocidio” non solo causa problemi a livello di libertà, ma penetra pesantemente anche nelle istituzioni dell’insegnamento ruandese, con il rischio di causare il deterioramento dell’intero sistema scolastico. Nel marzo 2008, diversi mezzi di comunicazione, tra cui il sito web “Great-Syfia Lacs.Infos”, avevano annunciato che centinaia di insegnanti ruandesi si erano ritirati per paura di essere accusati di diffondere l’ideologia del genocidio. “Per quanto riguarda il Ruanda, l’insegnante di oggi non sa cosa prendere o lasciare”, dice un insegnante di Gicumbi, nel Nord. Tutti hanno paura di essere messi, per un gesto o una parola mal interpretati, sulla lista nera che il Ministero della Pubblica Istruzione aggiorna regolarmente. Gli allievi e gli insegnanti fanno attenzione a ciascuna delle loro azioni o parole, per non essere fraintesi. “Per esempio, in classe gli insegnanti non devono parlare di gruppi etnici, ma è difficile evitarlo, quando si parla di genocidio. Spesso gli insegnanti che non danno buoni voti sono accusati, da alcuni studenti, di praticare la discriminazione. Tale timore è rafforzato dal fatto che la legge sul crimine di diffusione dell’ideologia del genocidio prevede sanzioni severe per i colpevoli, addirittura l’ergastolo.

Adeline Niyomugeni è probabilmente vittima della macchina repressiva del FPR, che sfrutta il genocidio per scopi politici. Perché l’accusano di diffondere l’ideologia del genocidio? Come prima sottolineato, in Ruanda, la diffusione della “ideologia del genocidio” è un’accusa considerata grave ed è utilizzata per inviare i dissidenti in carcere per lungo tempo. Secondo le informazioni raccolte presso uno studente di ESSA, che ha chiesto l’anonimato, Adeline Niyomugeni è una dei molti studenti a cui non va il regime di Paul Kagame, ma è stata imprudente ad esprimerlo pubblicamente, ciò che è stato alla base delle sue attuali difficoltà.

Una maggiore sorveglianza nelle scuole.

In seguito alle rivolte nel mondo arabo, il regime dittatoriale di Kigali ha raddoppiato il numero dei suoi informatori nelle scuole, temendo che queste diventino l’epicentro della contestazione, nel caso in cui scoppiasse una rivolta all’interno del paese. Un ex studente del KIST a affermato: “Nelle scuole, è diventato impossibile che due o tre studenti si trovino insieme a parlare, senza che qualcuno venga a sedersi accanto per ascoltare”. Si tratta di veri servizi segreti istituiti nelle scuole. Questi piccoli gruppi di persone, che si occupano principalmente di spiare i loro colleghi, sono composti di persone impegnate per la causa del regime, sono studenti e insegnanti, il loro numero varia secondo il numero totale degli studenti iscritti presso l’istituto. Quando sospettano qualcuno di diffondere la sua antipatia nei confronti del regime, si incontrano e decidono le misure da adottare. Il più delle volte, preferiscono sorvegliare l’individuo in questione durante alcuni giorni. Quando giudicano che il sospetto costituisca un rischio (di influenzare o incitare gli altri), informano direttamente il loro supervisore che non è che il DMI (servizi segreti militari). È al DMI che spetta la responsabilità di decidere sul destino di chi è sorpreso in flagrante. L’obiettivo della pesante accusa di “diffusione dell’ideologia genocidaria” non è solo quello di mettere in disparte la vittima, ma serve anche come esempio e per intimidire chi osa seguire lo stesso cammino. L’obiettivo dell’arresto e della detenzione di Adeline Niyomugeni non è, quindi, solo quello di eliminare una dissidente, ma anche di inviare un messaggio ai suoi compagni che rifiutano di piegarsi alla volontà del regime.

Fino a quando il governo ruandese utilizzerà l’accusa di ideologia genocidaria per ricattare i suoi avversari e screditarli? Come si può parlare di riconciliazione e, nello stesso tempo, mettere a tacere l’opposizione e impedire la democrazia? Quale futuro per un Ruanda in cui si rischia di passare il resto della propria vita in prigione, semplicemente perché non si approva gli eccessi del governo dittatoriale? Il governo ruandese dovrebbe rivedere le leggi sull’ideologia genocidaria a causa delle ambiguità che caratterizzano queste leggi che tendono sempre più a imbavagliare la stampa, gli attivisti dei diritti umani e l’opposizione, pregiudicando in questo modo la possibilità che il Ruanda diventi un paese democratico che rispetta i valori fondamentali.

 

FALLIMENTO DI UN SISTEMA SCOLASTICO AL BORDO DEL COLLASSO

Situazione attuale: Il fallimento del sistema scolastico.

Secondo “The Rwandan Statistician”, l’ultimo bollettino di ricerca dell’Istituto Nazionale di Statistica del Ruanda, quasi l’80% dei giovani ruandesi compresi tra i 13 e i 18 anni, hanno accesso all’istruzione secondaria. Questa percentuale, da prendere con le pinze, dimostrerebbe un notevole progresso rispetto alla situazione anteriore al 1994, in cui solo il 3% di questa fascia di età frequentava le scuole superiori. Purtroppo, l’aumento della frequenza non è stato accompagnato da un miglioramento della qualità.

La mancanza di un miglioramento significativo della qualità è dovuta a diversi fattori:

– La formazione e le condizioni di vita dei docenti

– La lingua di insegnamento

– Le condizioni di studio

– L’istruzione è diventata una sorta di attività lucrativa.

La formazione e le condizioni di vita degli insegnanti.

Invece di utilizzare gli insegnanti formati e qualificati che vivevano in Ruanda già prima della presa del potere da parte del FPR, quest’ultimo li ha messi in disparte, emarginati o incarcerati, accusandoli di genocidio e ideologia genocidaria e li ha sostituiti con degli insegnanti rimpatriati che non soddisfano i requisiti richiesti, non avendo né una formazione adeguata, né la qualificazione richiesta, né la conoscenza del francese, la lingua usata nell’insegnamento, prima dell’introduzione ufficiale dell’inglese. Inoltre, è stato introdotto un “Programma di istruzione di base per una durata di nove anni”, sei anni per le scuole elementari e 3 anni per il primo ciclo delle superiori. Ma le misure di accompagnamento sono carenti: insufficienza dei locali e mancanza di materiali didattici.

La lingua di insegnamento.

Dal 10 gennaio 2011, l’inglese è ora l’unica lingua usata nell’insegnamento superiore e universitario del Ruanda. L’abolizione della lingua parlata dalla stragrande maggioranza degli insegnanti ha costretto alla disoccupazione gli insegnanti francofoni, sostituiti da insegnanti anglofoni, senza essere muniti di materiali didattici adeguati e senza una formazione appropriata. Le autorità del FPR a Kigali l’Institute of Education che tenta, in qualche modo, di rimediare alla situazione, ma restano ancora notevoli progressi da fare.

Le condizioni degli studi.

“I poveri e i figli dei poveri rimangono poveri e ignoranti”, dicono i contadini ruandesi. Nelle condizioni attuali del Ruanda, la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale non possono che peggiorare. Infatti, gli studi costano sempre più e i poveri non sono più in grado di pagare le tasse scolastiche e di acquistare i materiali didattici per i loro figli. Inoltre, le biblioteche sono inesistenti o embrionali, l’accesso all’informatica esige mezzi esorbitanti e le condizioni di studio (luci, sale studio, aiuto per i compiti, …) non sono sufficienti. Inoltre, dato che il governo ha deciso di ristrutturare il sistema delle borse di studio, la situazione peggiorerà. Privi di borse di studio, molti studenti sono costretti a lavorare, ciò che impedisce loro di frequentare i corsi e li costringe a “lavorare di più e studiare di meno”. Altri hanno già rinunciato ai loro studi. Per esempio presso l’Università Nazionale del Ruanda, su 85 iscritti in Agronomia, 28si sono ritirati. Inoltre, tutte le varie discipline devono integrare dei corsi sull’ideologia del Fronte Patriottico Ruandese, diventato ipso facto Partito-Stato. Gli studenti finalisti del liceo devono trascorrere qualche mese in campi di formazione ideologica e militare conosciuti come “Inganno”, in cui gli studenti sono iniziati alla storia riscritta dal regime dittatoriale. Alla fine dell’Ingando, sotto la direzione di alti funzionari del regime, dell’esercito e della polizia, ogni studente è costretto ad aderire al partito FPR, il che spiega lo scopo principale di questi campi.

L’istruzione è diventata un business.

Per acquisire un livello di istruzione sempre più elevato in vista di accrescere le possibilità di trovare un lavoro o di guadagnare di più, c’è una corsa sfrenata ai diplomi. Essendo le tasse accademiche troppo elevate (oltre 5000 dollari l’anno), rari sono i genitori in grado di versare un tale importo, a meno che non siano beneficiari di borse di stato o di crediti bancari. Questa situazione incoraggia le persone a ricorrere alla frode per ottenere il prezioso documento, ciò che spiega l’enorme traffico di falsi diplomi, di falsi certificati di studi superiori, o di false attestazioni di livello accademico. Le promozioni automatiche dove gli studenti non fanno alcun sforzo per passare al grado successivo, ha avuto come conseguenza diretta quella di avere molti finalisti incompetenti.

Secondo il rapporto di una commissione speciale dei deputati sulla situazione dell’istruzione, già discusso in Parlamento il 24 marzo 2010, i laureati delle università ruandesi non sono in grado di redigere adeguatamente una lettera di richiesta di lavoro, molti non sono in grado di redigere la tesi di fine ciclo (la memoria) e talvolta ricorrono a dei prigionieri intellettuali o ad altre persone interessate, ricompensandole con denaro o altri benefici.

Conseguenze negative.

Questa disastrosa situazione dell’istruzione in Ruanda porta inesorabilmente a delle conseguenze molto gravi, come: l’esodo di studenti ruandesi verso paesi limitrofi (Uganda, Burundi, Tanzania, Kenya) alla ricerca di ipotetici studi meno onerosi e di un livello di insegnamento più o meno elevato e la mancanza di pianificazione che ha come corollario la produzione di un gran numero di universitari mal formati e destinati alla disoccupazione.

Un’inchiesta della BBC Gahuza diffusa nel corso della trasmissione “Imvo n’imvano” del 23 luglio 2011, arriva alla conclusione che, in Ruanda, l’insegnante è il più mal pagato di tutti i dipendenti statali. Egli vive nella povertà e fa fatica ad arrivare alla fine del mese. La sua professione è svalutata e lui stesso è deriso pubblicamente. Il livello dell’insegnamento elementare è talmente basso che alcuni alunni terminano il ciclo senza saper né leggere né scrivere. Infatti, per far quadrare i conti del mese, gli insegnanti preferiscono andare a dare dei corsi privati ai figli dei ricchi e delle autorità, invece di dedicarsi alle loro classi. È il caso di quel insegnante della capitale Kigali, che i giornalisti della BBC hanno intervistato e che dichiara di avere uno stipendio di 26.000 franchi ruandese (Frw) e che paga 20.000 Frw per l’affitto della casa. Come può arrivare alla fine del mese, se gli rimangono solo 6000 Frw, quando, per esempio, un chilo di carne costa in media 1600 Frw e un chilo di riso 760 Frw?

Lo stipendio medio di un insegnante è di 28.000 FRW. Al tasso di cambio attuale (1$ = 730 FRW) equivale a 38 dollari. In confronto, lo stipendio dell’insegnante è 120 volte inferiore a quello di un ministro, 40 volte inferiore a quello di un deputato, 25 volte inferiore a quello di un sindaco, 15 volte inferiore a quello di un dirigente del settore amministrativo … Per avere un’idea concreta del divario salariale, si può prendere in considerazione il caso dei segretari di Stato e di governatori di provincia. Hanno uno stipendio mensile di 1.774.539 FRW. Inoltre ricevono 300.000 FRW di rappresentazione e 250.000 FRW al mese per telefono, internet e fax; 475.000 FRW mensili di manutenzione dei veicoli; 5.000.000 FRW, ogni 5 anni, per l’acquisto di mobili e altri apparecchiature domestiche, ecc.

Con un misero salario di 28.000 FRW al mese, l’insegnante può comprare solo: 48 kg di fagioli o 30 kg di riso o 4 lamiere per il tetto della casa o un unico paio di scarpe. Per quanto riguarda i materiali da costruzione, con 28000 FRW l’insegnante può comprare solo una finestra metallica o un bidone di pittura. Ma pagherà l’equivalente di tre mesi di stipendio per acquistare una porta di metallo. Prima del 1994, lo stipendio medio di un insegnante era l’equivalente di 180 USD. Era sei volte superiore allo stipendio attuale. Prima, l’insegnante poteva quindi acquistare 40 lamiere o 750 kg di patate o 3500 kg di fagioli o 6 porte metalliche o tre biciclette … Il ministro non riceveva che solo 8 volte più di un insegnante, il deputato 6 volte di più e la differenza di stipendio tra un sindaco e un insegnante era solo di 4000 FRW.