LA QUESTIONE DEI “MINERALI DEL CONFLITTO” IN RDC

SOMMARIO:

A. CIÒ CHE EURAC E FATAL TRANSACTION CHIEDONO ALL’UE

B. CAMBIAMENTI NECESSARI NEL SETTORE MINERARIO

C. SMILITARIZZAZIONE DEL COMMERCIO DEI MINERALI CONGOLESI: OPPORTUNITÀ E OSTACOLI
  
1. Diligenza ragionevole, tracciabilita e certificazione
   2. Opportunità di smilitarizzazione
   3. Il Ruanda: pronto a far parte della soluzione?
   4. Raccomandazioni

 

A. CIÒ CHE EURAC E FATAL TRANSACTION CHIEDONO ALL’UE

Secondo Kris Berwouts, Direttore di EurAc, la rete di Ong europee presenti nella regione dei Grandi Laghi Africani, la sospensione dell’attività mineraria nel Kivu, decretata dal governo, ha avuto un effetto controproducente, perché avendo sbagliato bersaglio, colpiva in primo luogo i minatori artigianali. La loro scomparsa dalla catena di produzione ha rinforzato il controllo dei gruppi militari sull’attività mineraria. La lotta contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Kivu passa, innanzitutto, attraverso la smilitarizzazione dell’economia e non attraverso la demonizzazione dei lavoratori artigianali che, in fin dei conti, sono delle vittime. In modo particolare, Eurac chiede all’Unione Europea di rinforzare il suo impegno sulla questione dei minerali del conflitto provenienti dall’est della RDCongo. In un comunicato congiunto, pubblicato il 27 aprile 2011, EurAc e Fatal Transaction non chiedono un embargo, ma uno sforzo supplementare per instaurare un commercio legale, formale e sotto il controllo delle autorità civili.

EURAC e Fatal Transaction chiedono all’UE di rinforzare il suo impegno sulla questione dei “minerali del conflitto” in RDCongo.

Diversi gruppi armati, compreso l’esercito nazionale (FARDC), continuano a mantenere il controllo sull’estrazione e il commercio dei minerali – cassitérite, wolframite, coltan e oro – in certe regioni del Kivu, Maniema, Katanga e della Provincia Orientale, con la complicità di paesi vicini e di numerosi agenti economici del mondo intero. Questa dinamica che si estende al di là delle frontiere della RDCongo, ostacola gli sforzi intrapresi per il consolidamento della pace e per la riforma del settore della sicurezza nell’est del paese.

Le compagnie europee non possono continuare ad importare, senza alcun discernimento, quei minerali la cui estrazione e commercio contribuiscono ad alimentare i conflitti, l’instabilità e l’insicurezza.

Tuttavia, bisogna riconoscere che l’attività mineraria artigianale rappresenta un mezzo di sussistenza per milioni di Congolesi. Riuscire a formalizzare questo settore rappresenterebbe, dunque, un’opportunità non trascurabile per lo sviluppo economico della regione. L’obiettivo della politica dell’UE non deve essere l’imposizione di un embargo sui minerali congolesi, ma l’instaurazione di un commercio legale, formale e sotto il controllo delle autorità civili.

EURAC e Fatal Transaction chiedono che le Istituzioni dell’UE e degli Stati membri, intensifichino i loro sforzi per aumentare la trasparenza e una buona gestione del settore dell’attività mineraria artigianale nell’est della RDCongo. In questa prospettiva, è necessario intervenire a vari livelli:

a) incoraggiando le imprese dell’UE che commercializzano i minerali del conflitto ad adottare delle misure di diligenza ragionevole, b) sostenendo gli sforzi di certificazione dei prodotti e di cartografia delle miniere nell’est della RDCongo, c) rinforzando le capacità dello stato congolese nel regolamentare il settore minerario e d) sostenendo dei programmi che mirino ad aumentare i vantaggi socioeconomici dell’attività mineraria al livello comunitario.

EURAC e Fatal Transaction esortano l’UE e gli Stati membri a prendere le seguenti misure:

– Come lo esige il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 1952, l’UE dovrebbe adottare una legislazione che obblighi le imprese europee che commercializzano o utilizzano la cassiterite, il volfram, il coltan o l’oro e i loro derivati, a fare un rapporto sulle misure di diligenza ragionevole, prese per conoscere l’origine dei minerali e assicurarsi che i minerali importati non vadano a beneficio di uomini armati, compresi i militari dell’esercito congolese.

– L’UE dovrebbe appoggiare gli sforzi che si stanno facendo per stabilire la procedura di certificazione d’origine dei prodotti minerari, già in corso di elaborazione, in RDC e nella regione dei Grandi Laghi. La Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) ha proposto un’iniziativa che mira a certificare e ad assicurare una tracciabilità delle esportazioni e delle importazioni dei minerali, che potrebbe contribuire a ridurre il contrabbando. L’UE e gli Stati membri dovrebbero portare un sostegno politico e finanziario a tale iniziativa, per favorire un’effettiva applicazione del sistema della CIRGL.

– L’UE dovrebbe chiedere alla MONUSCO di istituire altri centri commerciali per un maggior controllo del commercio dei minerali stessi.

– I finanziatori europei dovrebbero sostenere gli sforzi congolesi, già intrapresi, per la formalizzazione delle attività artigianali del settore minerario, attraverso l’applicazione delle leggi nazionali che riguardano il settore minerario e il rafforzamento delle capacità di gestire il settore minerario sul campo. Ciò implica la formazione, ma anche l’aumento del numero degli impiegati dello stato assunti nel settore minerario e la garanzia di stipendi sufficienti e regolari.

– L’UE dovrebbe incoraggiare la creazione di un meccanismo indipendente per l’elaborazione di una cartografia regolare dei siti minerari in RDCongo e la valutazione degli sforzi forniti per applicare la diligenza ragionevole, ciò che dovrebbe, a lungo termine, essere effettuato dal governo congolese stesso.

– I governi europei devono chiedere al governo congolese l’allontanamento dei militari dai siti minerari. La smilitarizzazione delle zone minerarie, come Bisie e Omate, sarebbe un significativo passo avanti.

Una maggiore implicazione dell’UE sulla questione dei minerali del conflitto non deve però ridurre l’importanza di altre cause del conflitto in RDCongo, in modo particolare la situazione politica nei paesi limitrofi, la smobilitazione dei combattenti, la questione dei rifugiati e quella fondiaria, la riforma del settore della sicurezza e l’impunità. L’UE dovrebbe nominare un nuovo rappresentante speciale per la regione dei Grandi Laghi, una cui parte del mandato dovrebbe riguardare un migliore coordinamento della risposta data dall’UE alla risoluzione del problema dei “minerali del conflitto”.

 

B. CAMBIAMENTI NECESSARI NEL SETTORE MINERARIO

Global Witness – Comunicato stampa

Il 18 maggio, un nuovo rapporto di Global Witness indica che le evoluzioni nel controllo delle miniere dell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) offrono un’opportunità inedita per impegnarsi immediatamente nell’eliminazione dei legami che intercorrono tra il commercio dei minerali e il conflitto che affligge la popolazione da oltre un decennio.

È da anni, infatti, che gruppi ribelli e membri dell’esercito nazionale congolese guadagnano milioni di dollari mediante lo sfruttamento illegale delle miniere di stagno, tantalio, tungsteno e oro e il controllo delle vie commerciali, infliggendo atroci sofferenze alla popolazione locale.

Il rapporto, intitolato L’avvenire del commercio dei minerali congolesi sulla bilancia: opportunità e ostacoli associati alla smilitarizzazione, rivela che, mentre una gran parte del commercio dei minerali dell’est del Congo resta ancora sotto controllo armato, l’uscita dei gruppi armati da Bisié – la più importante miniera di stagno della regione – costituisce un’evoluzione promettente.

Le principali constatazioni del rapporto sono le seguenti:

 – Nel marzo scorso, l’esercito congolese si è finalmente ritirato da Bisié, la miniera di stagno più importante della regione, dopo averla controllata illegalmente per oltre cinque anni.

– In altre regioni dell’est del Congo, approfittando dell’interdizione dell’attività mineraria artigianale imposta dal governo congolese per sei mesi, vari comandanti militari sono riusciti a rinforzare la loro egemonia sulle attività di estorsione e di contrabbando.

– Le imprese che operano in RDC e nei paesi vicini non si sono ancora conformate, per l’istante, alle norme di diligenza ragionevole formulate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dall’OCSE. Questo dato di fatto frena gli sforzi che si stanno facendo per eliminare il legame tra il commercio illegale dei minerali e la violenza armata nell’est del Congo e impedisce l’instaurazione di un commercio di minerali puliti.

– Il Ruanda, principale punto di passaggio dei minerali congolesi, non fa ancora abbastanza per escludere i minerali del conflitto dalle sue filiere di approvvigionamento di prodotti provenienti dalla RDC. Sebbene alcuni dispositivi recentemente introdotti a proposito dell’etichettatura e della tracciabilità dei minerali costituiscano un passo avanti promettente, non sono tuttavia sufficientemente esaurienti.

Le principali raccomandazioni del rapporto sono le seguenti:

 – Il governo congolese e l’ONU devono cooperare con il settore privato per instaurare nelle zone recentemente smilitarizzate, come quella di Bisié, un commercio pulito e questo, prima che l’esercito e altri gruppi armati possano ritornarvi. Devono collaborare per mantenere Bisié e altri siti smilitarizzati liberi da ogni presenza militare, sia dell’esercito regolare che di altri gruppi armati. Ma bisogna agire rapidamente, altrimenti si perderà una buona occasione.

– Le imprese devono applicare, sulla loro catena di approvvigionamento dei prodotti minerari, dei controlli conformi alle norme internazionali e dimostrare che non stanno finanziando parti belligeranti presenti nella regione, affinché il settore minerario favorisca lo sviluppo, invece di alimentare la violenza.

– Il governo ruandese ha il dovere di introdurre e di imporre delle esigenze di diligenza ragionevole complete alle imprese che fanno il commercio dei minerali o che lavorano nella loro trasformazione.

 

C. SMILITARIZZAZIONE DEL COMMERCIO DEI MINERALI CONGOLESI: OPPORTUNITÀ E OSTACOLI
Global Witness – Rapporto

1. Diligenza ragionevole, tracciabilità e certificazione

 

Terminologia delle misure di controllo della catena di approvvigionamento

Il dibattito internazionale sui minerali del conflitto ha dato nascita a tutta una serie di termini come “diligenza ragionevole”, “tracciabilita” e “certificazione” e a diverse iniziative internazionali per concretizzare questi concetti. Che cosa designano, in realtà, tutti questi termini, e quali sono i rapporti tra i diversi strumenti?

 

Diligenza ragionevole

La diligenza ragionevole è il processo attraverso cui le imprese si assicurano loro stesse di non fare commercio di minerali del conflitto.

La diligenza ragionevole applicabile alle catene di approvvigionamento riguarda tutti i tipi di transazioni che possono apportare benefici alle parti belligeranti.

Conformemente alla definizione stabilita dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dall’OCSE, la diligenza ragionevole applicabile alle catene di approvvigionamento comprende cinque tappe:

– stabilire un sistema di controllo dei minerali sin dalla loro miniera di origine.

– Identificare e valutare i rischi relativi alla catena di approvvigionamento, e più specificamente il rischio che essa apporti un finanziamento a gruppi ribelli o unità militari.

– Individuare e mettere in atto delle strategie per far fronte ai rischi identificati.

– Permettere inchieste indipendenti sul modo con cui le imprese applicano la diligenza ragionevole;

– Divulgare pubblicamente le misure prese dalle imprese, comprese la loro valutazione dei rischi e i risultati delle inchieste indipendenti.

I governi del mondo intero devono intraprendere due procedure per rinforzare la strategia di diligenza ragionevole: una consiste nell’integrare le norme dell’ONU e dell’OCSE nella loro legislazione per renderle costrittive. La seconda è la creazione di un sistema solido ed indipendente di controllo sulla reale applicazione delle norme ONU/OCDE da parte delle imprese.

La diligenza ragionevole – come definita dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’OECD e la

CIRGL – consiste nel fatto che le imprese devono identificare l’origine dei minerali che acquistano; individuare, mediante verifiche sul campo, le condizioni in cui si effettuano l’estrazione, il commercio e il trasporto e escludere dalla loro catena di approvvigionamento ogni prodotto che porti un beneficio alle parti belligeranti. Le imprese devono anche sottomettere le loro misure di diligenza ragionevole a un’inchiesta indipendente e devono rendere conto pubblicamente delle loro iniziative a questo riguardo.

La strategia di diligenza ragionevole non si appoggia sull’imposizione di un embargo. Attraverso di essa, infatti, le imprese cercano di assicurarsi che il commercio dei minerali non perpetui la violenza armata e le violazioni dei diritti dell’uomo.

La diligenza ragionevole può essere messa in atto rapidamente, perché non dipende dalle normative dello stato e prende di mira solamente gli aspetti pregiudizievoli del commercio, senza punire le attività minerarie e commerciali legittime.

 

Tracciabilità

 La tracciabilità dei minerali sin dalla loro miniera di origine permette agli acquirenti di evitare di rifornirsi in miniere apertamente controllate da gruppi armati o da militari. Tuttavia, essa non permette di individuare né gli atti di estorsione di minerali commessi sulle strade durante il trasporto, né il ricorso, da parte degli elementi armati, ad intermediari civili incaricati di condurre attività commerciali illegali per conto loro. Queste due pratiche costituiscono un modo di finanziamento essenziale delle parti belligeranti che possono essere identificate solamente mediante valutazioni sul campo. Di conseguenza, i dispositivi di controllo della catena di approvvigionamento delle imprese, se sono imperniati esclusivamente sulla tracciabilità, non permetteranno di rispondere alle norme di diligenza ragionevole stabilite dall’ONU e dall’OCSE.

Commentando il dispositivo di etichettatura dei minerali proposto dall’industria, l’iTSCi, il Gruppo di esperti dell’ONU, nel suo rapporto di novembre 2010, constata:

“L’etichettatura del prodotto contribuisce alla sua tracciabilità, ma non dice nulla su ciò che accade sul sito da cui provengono le materie etichettate, né su ciò che succede durante trasporto dal sito minerario fino alla catena di approvvigionamento. In sé, essa non fornisce nessuna indicazione che permetta di sapere se dei gruppi armati e/o le FARDC [truppe dell’esercito nazionale] ne ricevano o no dei vantaggi illeciti. Se il sistema di etichettatura […] può contribuire a prendere delle misure di precauzione, esso dovrà però essere completato da valutazioni sul campo”.

 

Certificazione

L’obiettivo della certificazione dei minerali è di instaurare un sistema di controllo regionale che permetta di certificare la conformità delle esportazioni di minerali “liberi da conflitto”, estratti e commercializzati nel rispetto di certe norme sociali, ambientaliste e giuridiche.

Se, secondo le norme di diligenza ragionevole dell’ONU e dell’OCSE, sono le imprese interessate che hanno la responsabilità di escludere i minerali del conflitto dalle loro catene di approvvigionamento, la messa in atto del dispositivo di certificazione dipende principalmente dai governi membri della CIRGL.

 

2. Opportunità di smilitarizzazione

 Indebolimento del controllo dell’esercito sulla miniera di Bisié

 Degli alti ufficiali dell’esercito congolese (FARDC) guadagnano ogni anno milioni di dollari attraverso il controllo dei siti minerari e le estorsioni praticate sulle transazioni commerciali in questo settore. A tali atti illegali si aggiungono gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle truppe FARDC contro la popolazione locale.

 La miniera di cassiterite (minerale di stagno) di Bisié, situata nel territorio di Walikale, nel Nord-Kivu, è stata sotto il controllo delle diverse fazioni dell’esercito nazionale congolese (FARDC) da oltre cinque anni. La miniera gioca un ruolo colossale, perché rappresenta il 70% della cassiterite prodotta nella provincia del Nord-Kivu. Le truppe FARDC, e più recentemente le ex forze ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), hanno guadagnato, solo in questa regione, milioni di dollari per anno provenienti dallo sfruttamento minerario illegale e dal racket esercitato sul commercio dei minerali.

Molti membri dell’esercito fomentano espressamente la violenza e l’instabilità, per perpetuare la loro presenza nelle zone minerarie, con la scusa di assicurarne la sicurezza.

Nel marzo 2011, le FARDC hanno lasciato la zona mineraria di Bisié e le barriere abitualmente erette dai militari nell’illegalità per riscuotere tasse abusive, sono scomparse. Questa partenza sembra iscriversi nel quadro di una ristrutturazione dell’esercito a livello della provincia. Sembra, infatti, che le truppe si siano ritirate dalle zone operative per seguire un periodo di formazione, per poi essere riorganizzate in nuovi reggimenti. A Bisié, sembra che i militari siano stati sostituiti da un piccolo numero di agenti di polizia delle miniere.

È la prima volta dal 2006 che Bisié non è occupato dalle FARDC che sfruttano illegalmente le miniere e commettono estorsioni che sulle transazioni commerciali.

L’evoluzione della situazione di Bisié è una reale opportunità.

Il governo e il comando delle FARDC dovrebbero assicurarsi che il nuovo dispiegamento di truppe nel territorio di Walikale, dove si trova Bisié, non comporti un ritorno dei militari nelle zone minerarie e la ripresa di comportamenti illegali e riprovevoli.

Le possibilità di smilitarizzare il settore minerario, soprattutto nel Kivu, e di regolamentarne efficacemente il commercio sono significative, ma molto localizzate. Una grande parte del commercio dei minerali del Nord e del Sud-Kivu resta ancora nelle mani di militari o di gruppi ribelli e la smilitarizzazione delle zone minerarie dovrà essere più sistematica, affinché i progressi realizzati siano duraturi.

 

Alcune persone molto informate che Global Witness ha intervistato nell’aprile 2011 hanno sottolineato il rischio che ufficiali delle FARDC riorganizzino le loro attività illegali, dopo il loro attuale ritiro dalle zone minerarie, passando attraverso intermediari civili. Rappresentanti della società civile che hanno effettuato dei lavori di ricerca a Numbi a metà marzo 2011 hanno segnalato che militari implicati nell’attività mineraria sono spesso vestiti in civile piuttosto che in uniforme e sono riconoscibili solamente dalle armi che portano con loro.

Nuove iniziative del governo congolese

 

I centri commerciali recentemente istituiti e appoggiati dall’ONU per commercializzare i minerali e le strade che vi conducono, devono essere sorvegliati e protetti, per impedire che gruppi armati vi commettano estorsioni. In caso contrario, i minerali provenienti da siti minerari “puliti” rischiano di essere sottoposti a tasse illegali da gruppi armati o da militari durante il loro trasporto dalla miniera di origine fino al centro commerciale, dove saranno etichettati come “liberi da conflitto”. In tal caso, questi centri commerciali rischierebbero di diventare delle piattaforme di riciclaggio di minerali del conflitto.

Le nuove misure prese dal Governo congolese obbligano, da una parte, tutti i minatori artigianali ad iscriversi e a costituirsi in cooperative e, dall’altra, i centri di esportazione a creare un valore aggiunto ai minerali stessi, prima della loro esportazione, procedendo ad una separazione e a una prima trasformazione di base; a ciò si aggiungono alcune restrizioni sul trasporto di minerali tra province diverse. Il governo ha pubblicato anche delle procedure obbligatorie per la tracciabilità dei minerali dalla miniera fino al punto di esportazione. La tracciabilità dei minerali non può, da sola, risolvere il problema del finanziamento dei gruppi armati mediante il commercio dei minerali. L’interesse che il governo dimostra per tale questione costituisce, tuttavia, un segno incoraggiante.

Nel Nord e Sud-Kivu, sono state istituite alcune commissioni composte di rappresentanti dei governi provinciali, delle FARDC, della polizia mineraria, del settore privato e di organizzazioni dell’ONU per monitorare la messa in pratica dell’iniziativa di traçcciabilità dei minerali e di riforme più generali. Secondo l’attuale ministro delle Finanze del Nord-Kivu, responsabile di una di queste commissioni, questa strategia ha già prodotto dei buoni risultati, fra cui quello di facilitare il dialogo tra le FARDC e la polizia mineraria sul progetto di ritirare i militari dai siti minerari chiave, come quello di Bisié, per dispiegarvi agenti di polizia.

Secondo John Kanyoni, vicepresidente della commissione e presidente del settore Nord-Kivu della Federazione delle imprese del Congo, la commissione ha intenzione di mandare delle equipe di osservazione nelle zone minerarie, per verificare se i commercianti pagano i militari o acquistano prodotti provenienti da miniere poste sotto controllo armato. Ciò costituirebbe un importante passo avanti che potrebbe utilmente completare le misure di verifica di diligenza ragionevole prese dalle imprese stesse. Tutte le conclusioni derivanti da questi lavori di osservazione, che siano intrapresi dal settore privato o dal governo, dovranno essere rese pubbliche, conformemente alle norme stabilite dall’ONU e dall’OCSE.

Queste iniziative prese dal governo, a livello nazionale e provinciale, sono incoraggianti e devono essere rinforzate, in modo particolare aumentando la partecipazione della società civile congolese. Il presidente Kabila, in particolare, ha il dovere di sostenere pubblicamente gli sforzi di riforma e di elaborare una strategia coerente per eliminare definitivamente le FARDC dal commercio dei minerali.

 

La persistente impunità della mafia militare

 Per l’istante, le autorità congolesi non sono ancora riuscite a risolvere la piaga dell’impunità di cui beneficiano gli ufficiali dell’esercito implicati nel commercio dei minerali. Global Witness ha appreso da fonti della polizia e dell’esercito che i casi di infrazioni legati ai minerali è regolato “in interno” in seno alle FARDC stesse e non tramite il sistema di giustizia militare, soprattutto quando si tratta di problemi che implicano dei membri del CNDP.

Dei rappresentanti della polizia mineraria di due diversi territori del Nord-Kivu hanno affermato che le denunce depositate presso i loro superiori sull’implicazione di militari in attività minerarie vengono sistematicamente ignorate e che gli individui imputati minacciano continuamente gli autori di tali denunce. Un ufficiale superiore delle FARDC ha dichiarato a Global Witness che, ai più alti livelli del governo, è stata presa la decisione di non perseguire comandanti militari colpevoli di reati nel settore minerario.

L’invulnerabilità del generale Bosco Ntaganda, comandante CNDP, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per presunti crimini di guerra, è uno degli esempi più fragranti dell’impunità accordata ai militari provenienti dal CNDP. Nel febbraio 2011, Bosco Ntaganda è stato implicato in un tentativo di contrabbando di varie centinaia di chilogrammi d’oro a partire dall’aeroporto di Goma. Sembra poco probabile che si tratti del suo unico legame col settore dei minerali.

Un agente del governo ha mostrato a Global Witness una serie di documenti dettagliati che rivelano operazioni di contrabbando di cassiterite effettuate in una delle proprietà dello stesso Bosco Ntaganda a Goma, situata presso la frontiera ruandese. L’agente ha affermato che tale operazione di contrabbando concernerebbe una quantità di minerale di stagno compresa da 10 a 13 tonnellate. Global Witness non ha ancora potuto confermare le affermazioni di questo agente, ma stima che tali dichiarazioni meritino un’inchiesta più approfondita.

E’ evidente che i membri dell’esercito nazionale congolese implicati illegalmente nel commercio di minerali, in particolare gli ex ribelli CNDP, agiscono ancora in tutta impunità. Finché il governo congolese non li costringerà a rendere conto dei loro atti, sarà impossibile sconfiggere il commercio dei minerali di conflitto.

La sospensione dell’attività mineraria decretata dal governo congolese: un’opportunità perduta

La sospensione dell’attività mineraria artigianale imposta dal governo ha provocato molte difficoltà alla popolazione civile che vive del commercio dei minerali e, nello stesso tempo, ha permesso all’esercito di rinforzare il suo controllo su certe regioni minerarie.

La sospensione non ha permesso alcun miglioramento sostanziale, perché nessuna misura è stata presa nei confronti dei militari.

Anzi, alcuni aspetti indicano che, durante l’interdizione, le FARDC hanno, in realtà, consolidato il loro predominio su certi settori del commercio dei minerali. Alcuni osservatori della società civile congolese hanno segnalato che, in certi siti minerari di Shabunda, vari civili che continuavano a lavorare dovevano versare ai militari il 50% dei loro redditi provenienti dai minerali e non più il 17% che erano costretti a pagare in tempo normale. Nella miniera d’oro di Mukungwe, nel Sud-Kivu, dei gruppi di minatori hanno dichiarato che, durante la sospensione, dovevano pagare 80 dollari per giorno ai militari, solo per potere accedere al sito minerario. Le tre province interessate dalle misure – il Nord-Kivu, il Sud-Kivu e il Maniema – sono state private di considerevoli rendite fiscali. Il ministro delle Finanze del Nord-Kivu ha dichiarato a Global Witness che, da settembre 2010 a marzo 2011, le rendite mensili della provincia erano passate da 600 000 a 400 000 dollari.

 

3. Il Ruanda: pronto a far parte della soluzione?

Da molto tempo, il Ruanda è il principale punto di passaggio dei minerali del conflitto tra l’est della RDC e la catena di approvvigionamento mondiale. Tuttavia, fino a poco tempo fa, il governo di Kigali non aveva ancora riconosciuto il suo ruolo a questo riguardo, né aveva adottato una strategia appropriata per mettere ordine nel lucrativo settore del commercio dei minerali. Da alcuni mesi, tuttavia, il governo ruandese, che aveva finora negato categoricamente i problemi associati al suo commercio di minerali, ha oramai avviato un programma di tracciabilità, che è un aspetto del processo di diligenza ragionevole applicabile alle catene di approvvigionamento.

 Ma ciò non basta. Il governo deve assolutamente riconoscere che il Ruanda ha un ruolo chiave nel commercio dei minerali congolesi e deve dunque impegnarsi perché tale ruolo non vada a sfavore della RDC. Peraltro, questo suo impegno deve essere concretizzato in disposizioni di legge. Si tratta di costringere le imprese ruandesi a rispettare le norme dell’ONU e dell’OCSE che il Ruanda, in quanto membro dell’organizzazione regionale della CIRGL, ha avallato pubblicamente.

 

Minerali congolesi esportati dal Ruanda

Non si può negare che anche il Ruanda produca dei minerali, ma è difficile valutarne con precisione la quantità, in quanto il governo non pubblica dati completi su tale produzione. Secondo le statistiche ottenute da Global Witness presso la Banca centrale del Ruanda, nel 2009 le esportazioni di cassiterite ammontavano a 5.615,4 tonnellate, di cui 1.346,3 tonnellate di riesportazioni, cioè di origine non ruandese. Essendo il Congo il principale paese da cui provengono i minerali importati dal Ruanda, queste cifre suggeriscono che circa il 24% delle esportazioni ruandesi di cassiterite proviene dalle miniere congolesi. Nel 2010, le cifre ufficiali indicano che questa percentuale è passata al 40%.

La situazione sembra tuttavia molto diversa, se ci si attiene a certe informazioni fornite da alcuni industriali di Kigali. Un’impresa implicata direttamente nel commercio di minerali ha affermato a Global Witness che quasi l’80% delle esportazioni ruandesi di minerali è, in realtà, di origine congolese. Vari altri commercianti di minerali a Kigali hanno confermato che, secondo loro e senza poter dare cifre precise, la maggior parte delle esportazioni ruandesi di minerali è di origine congolese.

 

Misure di controllo dei minerali ruandesi

Gli sforzi del Ruanda per l’instaurazione di un regime di tracciabilità dei minerali sono lodevoli, ma l’etichettatura dei prodotti, da sola, non potrà mai permettere di risolvere il problema dei minerali di conflitto. Per adempiere i suoi impegni internazionali, il governo ruandese deve fare di più, esigendo che le imprese locali sottomettano la loro catena di approvvigionamento ad una procedura completa di diligenza ragionevole.

L’11 marzo 2011, il governo ha approvato nuove norme relative alla tracciabilità e l’etichettatura della produzione di minerali ruandesi e del loro commercio ma, sebbene costituiscano un’iniziativa positiva, la loro efficacia per la lotta contro il commercio dei minerali del conflitto risulta molto limitata.

La sola etichettatura dei prodotti non è sufficiente per evitare che le parti belligeranti si finanzino mediante atti di estorsione sulle transazioni commerciali dei minerali. Nell’est del Congo, i minatori, i trasportatori e i commercianti possono infatti essere tassati illegalmente dai gruppi armati, anche se i sacchi sono sigillati, etichettati e dotati di un codice.

Il ricorso alla frode è frequente, sia alla frontiera con il Congo come all’interno del territorio ruandese. Due commercianti di minerali hanno affermato che molte etichette vengono rubate o vendute illegalmente.

Una diligenza ragionevole completa, che comprende -senza limitarsi ad essa- la tracciabilità dei minerali è, per il momento, il solo mezzo credibile di cui dispongono le imprese per sapere se dei gruppi armati si sono intromessi, in un dato stadio della catena di approvvigionamento, nel commercio dei minerali e se ne hanno ottenuto un qualche beneficio.

La verifica sul posto è un elemento particolarmente cruciale della diligenza ragionevole se le imprese vogliono poter identificare gli atti di estorsione o i casi in cui dei membri dell’esercito si servono di intermediari civili per rappresentare i loro interessi nel commercio dei minerali.

Il fatto di autorizzare l’importazione solamente di minerali congolesi etichettati non può quindi, da solo, fornire al Governo o alle imprese ruandesi, l’assicurazione che tali merci sono libere da conflitto.

 

4. Raccomandazioni

 Le imprese congolesi e internazionali consumatrici di stagno, tantalio, tungsteno e oro dovrebbero:

– Applicare l’insieme delle norme di diligenza ragionevole prescritte dall’ONU e dall’OCSE.

 

Il governo della Repubblica Democratica del Congo dovrebbe:

– Ritirare le unità militari delle FARDC che partecipano ad attività illegali svolte nelle zone minerarie e nei dintorni, comprese le strade e i sentieri usati per il trasporto dei minerali.

– Consegnare alla giustizia i membri delle FARDC, soprattutto gli ufficiali superiori, implicati illegalmente nel commercio di minerali o responsabili di atti di estorsione in questo settore.

– Integrare le norme di diligenza ragionevole dell’OCSE nella legge congolese e assicurarsi che le imprese vi si conformino.

– Dispiegare la polizia mineraria nelle zone minerarie smilitarizzate.

– Assicurarsi che il nuovo dispiegamento di truppe non comporti un ritorno dei militari nelle zone minerarie e la ripresa di atti illegali e riprovevoli.

 

Il governo del Ruanda e i governi degli altri paesi in cui i minerali vengono commercializzati, trasformati o impiegati nel settore della fabbricazione dovrebbero:

– Integrare le norme di diligenza ragionevole dell’OCSE nella legge nazionale e assicurarsi che le imprese vi si conformino.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrebbe:

– Reiterare, nel nuovo mandato della MONUSCO, che dovrebbe essere rinnovato in giugno, l’esigenza specifica di contribuire a garantire la sicurezza nei principali siti minerari dell’est della RDC e di estendere l’attività di osservazione e di ispezione delle esportazioni dei minerali, per meglio aiutare il governo congolese a fare rispettare la legge.

– Rivolgersi direttamente agli Stati membri della regione dei Grandi Laghi e ai paesi in cui ci sono industrie di trasformazione di minerali o che usano minerali nella loro attività, per assicurarsi che esigano dalle imprese l’applicazione della diligenza ragionevole, conformemente alla risoluzione 1952 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

– Insistere affinché gli Stati membri rendano conto davanti al Consiglio dell’applicazione, da parte loro, della risoluzione 1952 del Consiglio di Sicurezza, mettendo più particolarmente l’accento sulle disposizioni di questa risoluzione circa i minerali provenienti da zone di conflitto e sulla diligenza ragionevole.

– Imporre sanzioni specifiche agli individui e alle imprese che si riforniscono in minerali provenienti dall’est del Congo in un modo che giova ai gruppi armati e ciò conformemente alla risoluzione 1952.

 

I governi finanziatori internazionali dovrebbero:

– Incoraggiare le autorità congolesi a ritirare i militari dalle miniere e a impedire loro il commercio di minerali. Subordinare la concessione di un aiuto non umanitario, soprattutto quello destinato alle forze di sicurezza del paese, ai progressi realizzati a proposito.

– Convincere il governo del Ruanda ad assumere le sue responsabilità in materia di lotta contro il commercio di minerali provenienti da zone di conflitto, costringendo in modo particolare le imprese con sede in Ruanda ad applicare le norme di diligenza ragionevole prescritte dall’ONU e dall’OCSE. Subordinare la concessione di un aiuto non umanitario ai progressi realizzati in questo campo.

 

L’OCDE dovrebbe:

– In occasione della riunione ministeriale del 25 maggio, pubblicare una dichiarazione che raccomandi ai paesi dell’OCSE di integrare nella loro legge nazionale le direttive relative alla diligenza ragionevole.