Congo Attualità n. 122

Sommario:

1. TENTATIVO DI ATTACCO ALLA RESIDENZA PRESIDENZIALE DI KINSHASHA
    –
Le dichiarazioni di Lambert Mende, portavoce del governo
    – L’immediato arrivo di James Kabarebe a Kinshasa
    – Una serie di arresti
    – Varie ipotesi

2. POLITICA INTERNA
3. KIVU
   
– L’abrogazione della sospensione dell’attività mineraria artigianale

Editoriale:
Il 27 febbraio si è verificato un tentativo di attacco alla residenza presidenziale a Kinshasa.
L’ambiguità delle informazioni emanate dal portavoce del Governo ha provocato una grande confusione e dato adito ad una molteplicità di ipotesi, alcune più verosimili di altre.
Tutte però rivelano problematiche non ancora risolte ed esprimono il clima e il malessere che il popolo congolese sta vivendo, ormai alla vigilia delle prossime elezioni.
Probabilmente, si è trattato di un semplice alterco tra fazioni diverse della Guardia Repubblicana, responsabile, in collaborazione con altri servizi, della sicurezza della zona in cui è ubicata la residenza presidenziale.
Finora, non sono ancora chiare le cause che hanno provocato tale atto.
È da sperare che tale incidente non sia stato provocato o non venga usato come pretesto per reprimere un’opposizione politica che si sta organizzando per le prossime elezioni.

Intanto, la Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) ha finalmente sostituito la CEI, essendo stata quest’ultima un’istituzione della Transizione per organizzare le precedenti elezioni del 2006. Tutti parlano ormai di elezioni e il Governo assicura che esse si terranno entro i tempi previsti dalla Costituzione (mese di settembre 2011?).
Il ritardo che si sta constatando nelle operazioni di aggiornamento dello schedario elettorale, la discussa e recente revisione costituzionale che ha introdotto un solo turno nelle elezioni presidenziali, invece di due e la tendenza del potere alla restrizione delle libertà, sono alcuni elementi, fra altri, che lasciano trapelare dubbi e incertezze.

In ogni modo, il Paese ha bisogno di elezioni, incluse quelle locali, per poter tentare un’alternativa credibile all’attuale regime.

1. UN TENTATIVO DI ATTACCO ALLA RESIDENZA PRESIDENZIALE A KINSHASA

Il 27 febbraio, uomini armati “non identificati” hanno attaccato, a Kinshasa, la residenza presidenziale, l’edificio GLM nel quartiere Gombe, ma sono stati respinti, all’altezza della prima barriera di sicurezza, dalla guardia repubblicana prima e non hanno potuto avvicinarsi all’edificio.

Immediatamente dopo l’attacco, uomini armati hanno tentato di attaccare il campo militare di Kokolo, nel quartiere Lingwala, a circa cinque chilometri dal luogo del primo incidente armato. L’obiettivo sarebbe stato il deposito di armi della base logistica del campo stesso. Gli assalitori sono stati respinti dalla polizia militare del campo.

Secondo varie fonti, la coppia presidenziale non si trovava nella residenza al momento dei fatti. Uscita poco prima, vi è ritornata poco più di un’ora dopo il tentativo di attacco.

Le dichiarazioni di Lambert Mende, portavoce del governo

 Il 27 febbraio, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha dichiarato che gli assalitori erano armati di fucili kalashnikov, di lancia-razzi RPG 7, di machete e di frecce. Il primo bilancio sarebbe di sette assalitori uccisi e di oltre una trentina di persone arrestate nei ranghi delle forze armate e dei servizi di sicurezza, fra cui 16 sono stati arrestati nello stesso pomeriggio e gli altri durante la notte. Se in un primo momento, Lambert Mende ha lasciato intendere che poteva trattarsi di un colpo di stato, egli ha poi dichiarato che si trattava di un “atto di terrorismo. Si è voluto fare paura”. “L’operazione assomiglia ad un tentativo di attentare alla persona del capo dello stato”.

“Non si è registrato alcun danno alla residenza”, ha affermato Mende, aggiungendo che si trattava della residenza principale di Kabila.

Il 1° marzo, il governo congolese esclude l’ipotesi di un colpo di stato. Il ministro della Comunicazione e media e portavoce del governo, Lambert Mende Omalanga, l’ha dichiarato in una conferenza stampa a Kinshasa. Per Mende, un colpo di stato è un atto politico che si rivendica.

“Un colpo di stato, normalmente, viene rivendicato. Un colpo di stato è, in principio, firmato, ma non abbiamo ricevuto nessuna rivendicazione, nessuna firma. Gli autori del tentativo d’attacco non hanno diffuso alcun messaggio”, ha sottolineato, aggiungendo che “sarà la giustizia che dirà esattamente chi è alla base di ciò che è accaduto”. Secondo Lambert Mende, l’attacco della residenza presidenziale sarebbe un attacco terroristico “primario”, il cui scopo sarebbe stato quello di attentare contro la vita del Presidente per creare il caos.

Secondo il governo congolese, gli autori degli attacchi erano preparati per attaccare, oltre alla residenza presidenziale e il campo militare Kokolo, numerosi altri siti, fra cui la televisione nazionale, l’aeroporto e due prigioni. L’attacco dei due luoghi strategici non sarebbe stato che una parte di un complotto terroristico più vasto.

Secondo il governo, gli assalitori avrebbero mirato il campo Kokolo per impossessarsi di munizioni.

Lambert Mende Omalanga, ha anche affermato che l’attacco è stato condotto da un certo “Capitan Alpha”, delle FARDC ed ex ufficiale di un gruppo armato integrato, ucciso durante l’attacco. Egli ha precisato che oltre una sessantina di “terroristi” sono stati arrestati, fra cui degli assalitori e altre persone “denunciate” da quelli già arrestati, che citano “dei mandanti residenti all’interno del paese, ma anche all’estero”, ha aggiunto, senza dare ulteriori precisazioni.

L’immediato arrivo di James Kabarebe a Kinshasa

Il 28 febbraio, il ministro della difesa ruandese, James Kabarebe è arrivato a Kinshasa, immediatamente dopo l’attacco. A Kigali, infatti, l’attacco alla residenza di Joseph Kabila è stato seguito molto da vicino dallo stesso Paul Kagame e dai suoi collaboratori. Secondo varie fonti, la sicurezza del presidente congolese Joseph Kabila è assicurata, infatti, almeno in parte, da militari dell’esercito ruandese. Le autorità di Kinshasa e l’esercito ruandese cooperano in numerosi campi, fra cui la neutralizzazione dei ribelli hutu ruandesi (le FDLR), la sicurezza del Capo dello Stato congolese e i servizi segreti. James Kabarebe avrebbe effettuato il viaggio per riconoscere le spoglie delle guardie del corpo ruandesi che vegliavano su Joseph Kabila. Secondo altre fonti, sarebbe ripartito con undici prigionieri, anche se non è detto che questi prigionieri congolesi fossero quelli che avrebbero partecipato al tentativo dell’attacco contro la residenza presidenziale.

Una serie di arresti

Il 7 marzo, il colonnello Lole Ininande, portavoce della polizia congolese, ha presentato alla stampa un centinaio di persone su un totale di 126 arrestati nel quadro dell’inchiesta sugli attacchi del 27 febbraio contro la residenza del Capo dello Stato e il campo militare Kokolo a Kinshasa.

Un ulteriore bilancio degli attacchi è di 11 morti fra gli assalitori e 8 fra le forze della difesa. Secondo il colonnello Lole Ininande, sono state arrestate 126 persone, fra cui 44 “già messe a disposizione delle istanze giudiziarie” e altre 82 “ancora sotto inchiesta preliminare” della polizia. E’ stato presentato un primo gruppo di una quarantina di uomini, in uniforme da detenuti, seduti vicino all’entrata, in un apparente buon stato fisico e in silenzio. Sono poi arrivate una cinquantina di altre persone, fra cui una donna, fatti scendere da un camion militare. Gli ultimi arrivati, stanchi, alcuni stravolti, altri in collera e gridando la loro innocenza, portavano dei vestiti civili sporchi, talvolta strappati, alcuni erano piedi nudi, altri avevano delle ferite apparenti. Due erano in carrozzella con bendaggi alle gambe.

Il colonnello ha poi spiegato che l’attacco sarebbe stato “opera di insorti venuti dell’esterno, ai quali si sono uniti alcuni complici che si trovano a Kinshasa” e che prevedeva vari obiettivi.

Secondo il portavoce della polizia, gli obiettivi sarebbero stati: la residenza del presidente “con lo scopo di attentare alla sua vita”, il campo militare Kokolo “per rifornirsi di armi e munizioni”, i due aeroporti della capitale per “impedire ogni appoggio aereo se non in loro favore”, la Radio televisione nazionale “per diffondere messaggi sovversivi” e due prigioni “per accentuare il loro potenziale offensivo”.

Sconfitti dalla guardia repubblicana e dall’esercito durante il tentativo di attacco della residenza e del campo militare, gli assalitori non hanno potuto attaccare gli altri obiettivi.

Sono state presentate anche alcune armi: una dozzina di fucili kalachnikov, 4 lancia razzi RPG7 con una quindicina di razzi, due mitragliatrici leggere, 25 machete, alcuni coltelli e due veicoli rubati per trasportare le armi.

Il 7 marzo, in un comunicato, l’associazione per la difesa dei diritti umano “Asadho” si è detta “vivamente preoccupata” per le notizie relative all’attacco della residenza presidenziale e chiede l’istituzione di una “commissione di inchiesta indipendente”.Basandosi su delle informazioni in suo possesso, l’Ong dà un suo “bilancio” degli avvenimenti del 27 febbraio: Sette insorti uccisi alla residenza del Presidente della Repubblica; due militari della Guardia Républicaine (GR) uccisi; un bambino di dieci anni, Jonathan, residente nell’edificio ex GLM, ferito; un capitano delle FARDC, non diversamente identificato, ucciso a livello del Campo militare Kokolo.

L’associazione rivela l’arresto di una “cinquantina di persone, civili e militari. Secondo l’Asadho, queste persone sono detenute nei “quattro seguenti luoghi”: cella di reclusione provvisoria di GLM (Gombe); cella di reclusione provvisoria della Polizia Militare (PM) del campo militare Kokolo nel Comune di Ngaliema; 3 Direzione generale dell’agenzia nazionale dei servizi segreti (ANR), nel Comune di Gombe e Prigione di Ndolo nel Comune di Barumbu. Gli “imputati” sono privati del diritto di ricevere le visite di membri delle loro famiglie e un’assistenza giudiziaria. L’associazione elenca dei nomi: il capitano Bimoli, dello Stato Maggiore informazioni militari (ex Demiap), arrestato dal 01 marzo 2011; Tito Karawa Zobo, di 30 anni, studente finalista dell’ISTA (Istituto superiore delle tecniche applicate), arrestato il 02 marzo 2011. È stato svestito davanti ai membri della sua famiglia, con il motivo che bisognava verificare se non avesse ferite; Karawa Rabbi, di 22 anni, studente del primo anno di graduato all’UPC (Università protestante del Congo), arrestato il 02 marzo 2011; il comandante Mungiro Zangi, affettato al GLM, arrestato dal 02 marzo 2011, Hubert Eyale Lomela, incaricato dei progetti presso la chiesa di Cristo nel Congo (ECC) e il suo amico Jimmy Kweyi Ndombasi, tutti e due arrestati il 27 febbraio 2011 nella residenza del primo citato.

L’Asadho nota che “questi fatti ricordano quelli successi a Lubumbashi (un presunto attacco all’aeroporto), in data del 4 febbraio 2011, in seguito ai quali sedici persone, fra cui tredici elementi della Guardia Répubblicana, sono stati arrestati e sono ancora detenuti alla prigione del Kasapa, senza processo, per “violazione di consegne, dissipazione di munizioni da guerra, fuga davanti al nemico e movimento insurrezionale”.

L’associazione raccomanda al governo “di istituire una commissione di inchiesta indipendente (…) per stabilire le responsabilità e punire i colpevoli” e per “fare rispettare i diritti fondamentali delle persone arrestate, soprattutto il diritto di poter beneficiare di un trattamento che tuteli la loro vita, la loro salute fisica e mentale e la loro dignità; il diritto di entrare immediatamente in contatto con le loro famiglie o i loro consiglieri giudiziari, conformemente all’articolo 18 della Costituzione della RDCongo e il diritto di essere processati in un termine ragionevole o di essere rilasciati, conformemente all’articolo 6 della Carta africana dei Diritti dell’uomo e dei Popoli”.

Il 7 marzo, in un comunicato, l’associazione pe la difesa dei diritti dell’uomo, La Voce dei Senza Voce fa notare che “varie persone arrestate in relazione con l’attacco armato contro la residenza del Capo dello Stato del 27 febbraio 2011, sarebbero sottomesse a tortura e a pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Altre sarebbero scomparse o deportate a Lubumbashi, provincia del Katanga, senza che le loro famiglie ne siano informati”. Vista la gravità dei fatti, la VSV raccomanda insistentemente al governo della RDCongo di:

– garantire la vita, la sicurezza e l’integrità fisica e psicologica di tutte le persone arrestate, farle comparire davanti ad una giurisdizione giudiziaria competente, in cui sia garantito il diritto alla presunzione di innocenza e, nel caso di accuse gravi nei loro confronti, il diritto ad un processo giusto ed equo;

– liberare senza condizioni tutte le persone arbitrariamente arrestate e illegalmente detenute;

– istituire una commissione di inchiesta per fare luce sul suddetto attacco e sancire i colpevoli conformemente alla legge;

– organizzare un processo pubblico ritrasmesso in diretta dalla televisione nazionale, in vista di informare la popolazione su questi gravi fatti.

Varie ipotesi

 a) Una provocazione politica.

 Secondo la stampa presidenziale, sopraggiungendo all’indomani della prestazione di giuramento da parte dei membri della Ceni, l’attacco porta un messaggio chiaro: il rifiuto puro e semplice della conquista del Potere per via democratica. La questione è quella di sapere perché tale attacco sia avvenuto proprio nel momento in cui la maggioranza e l’opposizione non parlano che in termini di elezioni!

Certi media di Kinshasa non esitano a sospettare certi ambienti politici (dell’opposizione e della maggioranza stessa) che vorrebbero “impedire” al presidente uscente, Joseph Kabila, di essere rieletto nelle prossime elezioni.

b) Un ammutinamento militare.

 Secondo fonti di “La Libre Belgique”, il grave incidente armato sarebbe una nuova manifestazione di malcontento dei militari delle FARDC a causa delle loro condizioni di vita. Se il presidente Kabila si dimostra attento alle condizioni di vita della sua Guardia repubblicana – vero esercito nell’esercito, poiché non è posto nella catena di comando normale – la maggior parte dei militari delle Forze armate nazionali (Fardc) sopravvivono in condizioni davvero miserabili. Infatti, l’esercito congolese è ancora mal equipaggiato, mal pagato e mal nutrito.

 Secondo varie fonti, l’attacco sarebbero stato perpetrato da un gruppo di militari partii dal campo Kokolo, per vendicare l’esecuzione, da parte della guardia di Kabila, di un colonnello ex-Faz arrestato, torturato e assassinato. Sembra che altri ex-Faz partiti da Brazzaville si sarebbero uniti ai loro commilitoni, per vendicare il colonnello assassinato. Certe guardie del corpo di Kabila sono sospettate di complicità coi militari stessi.

Nell’edizione n°2617, datata dal 6 al 12 marzo 2011, Fabiana Pompey, inviata speciale a Kinshasa per il settimanale parigino Jeune Afrique, dà una versione di fatti che mette in causa la “Guardia repubblicana”, cioè la guardia presidenziale. Appare sempre più che gli “aggressori” non sarebbero altri che dei membri della guardia pretoriana di “Joseph Kabila”, chiamata abusivamente “Guardia repubblicana”. “La guardia repubblicana, spiega Jeune Afrique, non è un gruppo omogeneo. Essa è formata da militari provenienti da diversi gruppi armati e, soprattutto, di origini etniche diverse (del Maniema, del Nord Katanga e dei Kivu)”. Secondo J.A, “delle rivendicazioni relative alle loro condizioni di vita e dei rancori legati a recenti promozioni avrebbero potuto spingere un gruppo o un altro alla rivolta”.

Non è da escludere che la tensione che covava da molto tempo tra i militari katanghesi e quelli ruandesi della guardia presidenziale sia all’origine di un imprevisto alterco, scoppiato tra le due fazioni della guardia repubblicana stessa per dei motivi contingenti che sarebbe stato opportuno nascondere all’opinione pubblica. È allora facile comprendere perché Lambert Mende Omalanga si sia affrettato a denunciare subito un tentativo di colpo di stato per poi parlare, l’indomani, in mancanza di prove in tal senso, di un atto terroristico. E come ci si poteva aspettare, non c’è voluto molto tempo per trovare e presentare alla stampa una banda di cospiratori contro Kabila e la democrazia.

 Alcune fonti attribuiscono l’attacco del 27 febbraio al generale Faustin Munene (ARP) e ad Udjani Mangbama, capo della milizia Enyele dell’Equateur, tutti i due rifugiati a Brazzaville. Altri giornali di Kinshasa sospettano “certi elementi” delle FARDC provenienti dal MLC di Jean Pierre Bemba, per sentirsi “mal integrati” in seno all’esercito nazionale.

c) Un montaggio.

 Si moltiplicano a Kinshasa e nella diaspora le voci che denunciano, negli avvenimenti di Kinshasa, “un montaggio” destinato ad autorizzare, nove mesi prima delle elezioni presidenziali, una repressione degli avversari del regime.

Il preteso tentativo di colpo di stato rievocato da Lambert Mende non sarebbe che un machiavellico montaggio per frenare un’opposizione che si sta organizzando per imporre l’alternanza alla testa del Paese.

 Gli avvenimenti hanno suscitato varie interrogazioni sul movente e i mandanti dell’aggressione: Cos’è realmente successo in quella giornata? Chi sono quei “malviventi” che avrebbero attentato contro la vita del Presidente congolese? Chi sono gli aggressori? Da dove vengono? Qual era il loro obiettivo? Chi sono i mandanti della loro azione? Come può la zona più protetta di Kinshasa essere presa d’assalto in piena giornata da “un gruppo di individui fortemente armati”, senza che nessun servizio di sicurezza se ne renda conto? Può dirsi che c’è stato un tentativo di colpo di stato o un attentato fallito contro Joseph Kabila? O si tratta di una commedia di cattivo gusto firmata Joka (Joseph Kabila)?

Secondo vari osservatori a Kinshasa, la versione ufficiale del ministro congolese dell’informazione non sarebbe che un grande montaggio, cioè un bluff.

Secondo vari osservatori, i dintorni della presidenza – compresi il Grande Hotel, l’ambasciata Svizzera e varie residenze di ambasciatori accreditati in RDCongo – pullulano tutti i giorni di ufficiali del regime, agenti dei servizi di sicurezza e dei servizi segreti (ANR) e di altri militari in uniforme. È praticamente difficile, per non dire impossibile, che un gruppo di assalitori, del resto pesantemente armati, avanzino per vari chilometri senza attirare l’attenzione degli agenti di sicurezza e dei passanti.

L’agitazione che si osserva nelle file del potere di Kinshasa può spiegare un certo comportamento da parte di coloro che pretendono governare a tutti i costi. Il passaggio ad elezioni presidenziali a un solo turno forse non è sufficiente per garantire la vittoria, perché il ritorno di Tshisekedi e Kamerhe sulla scena politica cambia la situazione, soprattutto se l’opposizione riesce ad unirsi e presentare un unico candidato. Occorre quindi immaginare altre strategie per mantenersi al potere: inventare un colpo di stato immaginario, per creare il caos e preparare la politica della terra bruciata. L’obiettivo perseguito dal regime di Kinshasa è semplice: creare confusione e sommosse, per giustificare la restrizione delle libertà individuali e pubbliche e mettere, così, fuori corsa gli avversari politici. Gli “assalitori” armati che hanno attaccato la residenza presidenziale saranno utilizzati per denunciare i “mandanti” immaginari che potranno essere arrestati o costretti a residenza sorvegliata. Con il pretesto della lotta antiterroristica, ci si prepara a ostacolare al massimo le attività dell’opposizione. E’ probabile che anche in RDCongo si ripeta lo scenario ruandese (gli attentati alla granata a Kigali).

Il tentativo di attacco alla residenza presidenziale potrebbe essere una messa in scena orchestrata da Joseph Kabila e dai suoi collaboratori per giustificare, nei prossimi giorni, la proclamazione dello stato di emergenza, in vista di restringere i diritti umani, in particolare quello di poter organizzare delle riunioni politiche. Inoltre, questo “attacco” potrebbe servire al regime come pretesto per “ripulire” l’esercito da certi elementi imbarazzanti. All’analisi di tutte queste questioni, l’ipotesi più probabile è che questo golpe “fallito” sia un montaggio firmato Joseph Kabila, con la finalità di portare il paese in una situazione di insicurezza che dovrebbe condurre allo slittamento delle elezioni o, comunque, costringere “gli assalitori” arrestati a fornire elementi sui loro “legami” con i “cervelli motore dell’operazione”, cioè certe personalità politiche congolesi che Joseph Kabila e i suoi più stretti collaboratori vorrebbero “neutralizzare” in anticipo, prima delle prossime elezioni.

2. POLITICA INTERNA

L’opposizione politica si sta mobilitando per vincere nelle elezioni presidenziali del 2011 e in tutte le altre scadenze elettorali. Vuole apportare un’alternativa credibile all’attuale potere, a cui rimprovera “la corruzione, il tribalismo, il nepotismo, le ripetute violazioni intenzionali della Costituzione e dei diritti dell’uomo, l’insicurezza, l’incapacità di governo e il mantenimento della popolazione sulla soglia del limite della povertà.”

Ogni singola organizzazione politica ha delle ambizioni proprie. Tuttavia, l’interesse generale della popolazione è di presentare una Opposizione organizzata e unita. In un sistema che prevede un solo turno per le elezioni presidenziali, per massimizzare le possibilità dell’opposizione occorre una candidatura unica.

L’opposizione lega la sua riuscita elettorale alla sua “coesione” e al “programma comune di alternanza”, evitando di andare “alle elezioni” in ordine disperso.

La maggior parte dei suoi leader pensa che “è tempo che l’insieme dell’opposizione politica, in tutta la sua diversità, ma privilegiando gli interessi del popolo, si ritrovi unita e impegnata in un consenso, rispettoso delle ambizioni degli uni e degli altri, ma centrato su un programma comune, per preparare l’alternanza del potere alle prossime elezioni generali”.

Se è vero che “nulla è impossibile”, ci si può, tuttavia, interrogare sulla capacità dei politici congolesi a trascendere le loro ambizioni personali a profitto dell’interesse generale. All’evidenza, malgrado il consenso raggiunto verso la fine del 2010, da alcune settimane si osserva una tendenza alla “corsa al potere” in solitario.

Il 16 febbraio, nel momento in cui l’opposizione sta cercando un candidato unico per le prossime elezioni presidenziali di novembre, Etienne Tshisekedi ha affermato che egli, in ogni modo, sarà candidato alle presidenziali di novembre 2011. La posizione del leader storico dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) è stata rinforzata dalla adesione alla sua candidatura di vari partiti politici raggruppati in una nuova piattaforma denominata “Dinamica Tshisekedi Presidente”.

“Con il mio partito, ho lottato per 30 anni per prendere il potere in Congo e instaurare uno Stato di diritto. Potrete comprendere che non accetterei nessun compromesso in questo senso”, ha dichiarato Tshisedi. “Chi non è d’accordo col programma dell’UDPS, è libero di fare ciò che vuole, non è obbligato a fare una piattaforma con l’UDPS, ma l’UDPS è pronto a presentarsi alle elezioni e a vincerle”, ha aggiunto l’oppositore congolese.

Alcune testimonianze e commenti di semplici cittadini, incluso dei simpatizzanti dell’Udps che condannano una mancanza di eleganza politica, vanno dalla collera alla delusione. Dei simpatizzanti della maggioranza presidenziale riaffermano, invece, che il leader dell’opposizione non ha alcuna fibra democratica.

Le dichiarazioni di Etienne Tshisekedi hanno suscitato delle reazioni anche tra gli altri oppositori congolesi. Vital Kamerhe, un altro candidato dell’opposizione, ha stimato che la dichiarazione di Tshisekedi costituisce “un grande rischio di fronte ad un avversario comune dell’opposizione” e ha giudicato un po’ eccessivi i pronunciamenti dell’anziano leader. Pure riconoscendo che Etienne Tshisekedi è stato designato candidato dal suo partito, Vital Kamerhe afferma che anche lui è stato designato candidato dal suo partito, pur sapendo che ci saranno anche altre candidature. Secondo lui, ciascuno potrà essere candidato in nome del suo proprio partito e potrà esprimersi liberamente. Tuttavia, sapendo che l’unione fa la forza, l’opposizione dovrà cercare un consenso e una strategia comune: nessuno è indispensabile e nessuno è più importante degli altri. In mancanza di un candidato unico, Vital Kamerhe propone la strategia del “triangolo nucleare”: l’opposizione potrà incaricare Etienne Tshisekedi per andare a raccogliere tutti i voti del centro, Vital Kamerhe per andare a raccogliere tutti i voti dell’est e il Mlc per andare a raccogliere tutti i voti dell’ovest. Durante la campagna elettorale, ogni candidato potrà spostarsi tuttavia su tutta la superficie del Paese. Il candidato che otterrà il migliore risultato sarà il nuovo Presidente della Repubblica proveniente dall’opposizione. Vari osservatori, tuttavia, presentono in questa strategia una dispersione dei voti a favore della maggioranza presidenziale.

Il Movimento di Liberazione del Congo (MLC) rifiuta di aderire all’appello lanciato dal presidente dell’UDPS, Etienne Tshisekedi, per l’unità dei partiti dell’opposizione intorno alla sua candidatura. aggiunge Secondo il vice segretario generale del MLC, Jean Lucien Busa, incaricato dell’ideologia e programmi, l’opposizione non può riunirsi che intorno ad un programma comune e non dietro un individuo. Gli altri liders politici mostrano il loro imbarazzo mediante il silenzio.

In vista delle prossime elezioni, il comitato permanente della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) chiede ai politici di “dare prova di grande cultura democratica”, al popolo di “raddoppiare la vigilanza”, al governo di “garantire la sicurezza delle popolazioni”, alla polizia nazionale e alle forze armate di “mantenere la loro neutralità e il loro carattere apolitico.”

L’abbé Léonard Santedi ha sottolineato che la CENCO, “prendendo atto” della revisione della Costituzione nella prospettiva delle prossime scadenze elettorali, rileva tuttavia che la Costituzione, frutto del consenso nazionale laboriosamente ottenuto e ritrovato, approvata per referendum, è stata rivista in modo precipitoso e sbrigativo.”

La chiesa cattolica teme che “tale revisione sia un preludio per altri errori che potrebbero condurre al ritorno del monopartitismo, alla fine della democrazia e all’instaurazione di una nuova dittatura.”

Per la CENCO, alla vigilia delle prossime elezioni, l’imperativo deve essere chiaro: che tutto si svolga nel rigoroso rispetto della legge elettorale, nella verità e nella trasparenza, senza alcuna frode né manipolazione, nella tranquillità e nell’esclusione di ogni deriva autocratica e di ogni forma di violenza da qualunque parte provenga.

Se la CENCO chiede alla popolazione di raddoppiare la vigilanza per non vendere la sua coscienza in cambio di regali e doni da parte di una classe politica che approfitta della campagna elettorale e per non cedere alla tentazione del tribalismo o del regionalismo, essa chiede però al governo di garantire la sicurezza della popolazione e di prendere tutte le disposizioni necessarie, affinché il denaro dello Stato non sia usato a fini di campagna elettorale.

La CENCO, pur apprezzando gli sforzi forniti dal governo per il raggiungimento del punto di completamento dell’iniziativa PPTE, desidera tuttavia vedere realizzate le conseguenze dell’annullamento del debito, soprattutto mediante la destinazione, reale e prioritaria, dei fondi resi così disponibili, ai settori-chiave dell’educazione, della sanità e delle infrastrutture sociali.

Peraltro, la CENCO si aspetta dal governo il rafforzamento del programma di buon governo, attestato da un clima di sicurezza sociale ed economica, in un tempo in cui la sofferenza della grande maggioranza della popolazione è evidente e indiscutibile “. La CENCO resta ancora preoccupata per la corruzione che costituisce un grande handicap per lo sviluppo economico e sociale del paese e propone al governo la collaborazione della chiesa cattolica, già impegnata nella lotta contro la corruzione, in vista di una sinergia di sforzi per combattere tale flagello.

Il 26 febbraio, i membri del Comitato della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente, Ceni, hanno prestato giuramento davanti alla Corte Suprema di Giustizia, CSJ, a Kinshasa. La Ceni sostituisce la Commissione elettorale indipendente (CEI), istituzione di appoggio alla democrazia creata durante il periodo di transizione. La nuova Céni è composta di quattro membri della maggioranza e tre dell’opposizione.

I membri del Comitato della Ceni sono stati designati ai diversi posti per consenso:

– presidente della Commissione: il pastore Daniel Ngoyi Mulunda,

– vice-presidente: il professor Jacques Djoli

– relatore, Matthieu Mpita,

– 1° vice relatore: Laurent Ndaye

– 2° vice relatore: Flavien Misoni

– questore: Sig.ra Carole Kabanga,

– vice questore: Sig.ra Elysée Muhimuzi,

La cerimonia di consegna tra l’abbé Apollinaire Malumalu e il Pastore Ngoy Mulunda, rispettivamente presidente della ex CEI e attuale presidente della CENI, ha avuto luogo il 3 marzo a Kinshasa. Un nuovo calendario delle elezioni, inizialmente fissate a partire dal 27 novembre con le elezioni presidenziali, sarà pubblicato prossimamente. “È nostro impegno rispettare la Costituzione. Il presidente che rimarrà eletto presterà giuramento il 6 dicembre prossimo”, ha dichiarato il presidente della CENI, il pastore Daniel Ngoy Mulunda. Il presidente attuale, Joseph Kabila, ha prestato giuramento il 6 dicembre 2006 per un mandato di 5 anni. Secondo la Costituzione, lo scrutino deve svolgersi 90 giorni prima della scadenza del mandato del presidente in esercizio, cioè nel settembre 2011. Una scadenza che sembra difficile rispettare, tenuto conto della lentezza della revisione dello schedario elettorale effettuata finora solo in tre delle 11 province del paese.

A proposito delle elezioni presidenziali ormai a un solo turno, la questione della legittimità del presidente eletto potrebbe essere inevitabile nel caso di una bassa percentuale dei voti ottenuti. In tal caso, le basi nazionali di un presidente eletto in tal modo potrebbero essere messe seriamente in dubbio dai suoi avversari politici che abbiano ottenuto risultati simili sull’insieme del territorio nazionale. Tale contestazione e la confusione che ne conseguirebbe, potrebbe essere sfruttata dai pianificatori della divisione del paese che, non lasciandosi scappare una sola opportunità per brandire lo spettro di un paese troppo grande per i suoi abitanti e molto difficile da governare per i suoi dirigenti, potrebbero afferrare l’opportunità per incitare, addirittura incoraggiare, gli altri candidati in lizza a dichiararsi presidenti eletti nei loro feudi rispettivi. Immaginiamo allora le conseguenze di simile situazione in un paese post-conflitto com’è la RDCongo.

3. KIVU

L’abrogazione della sospensione dell’attività mineraria artigianale

 Attualmente, è intorno all’accesso ai ricchi minerali dell’est che si svolge la battaglia. Tutti – grandi industriali dell’alta tecnologia compresi – vogliono avere un accesso facile e rapido al coltan, alla cassiterite e all’oro.

E, generalmente, i mezzi usati per raggiungere lo scopo non passano certo attraverso i circuiti ufficiali. Nella maggior parte dei casi, ci si serve di intermediari, reclutati spesso nelle file dei gruppi armati che pullulano all’est. In questa parte della Repubblica, “business is business.”

In assenza dello stato, superato dalla situazione e incapace di imporre la legge, sono sorte numerose reti mafiose. Tutti – autorità civili, militari e politiche della provincia fino a Kinshasa – si ritrovano implicati in questa industria mineraria sotterranea che si è sviluppata grazie all’impunità. È il ciclo infernale.

Il prodotto dello sfruttamento irregolare e illecito delle materie preziose delle due province del Kivu e di quella del Maniema serviva al finanziamento della guerra. Del resto, tutti i rapporti prodotti su questo argomento, dimostrano chiaramente che i conflitti all’est della RDCongo traggono la loro origine dallo sfruttamento illegale dei minerali. Le risorse provenienti dall’attività mineraria illegale servono per l’acquisto di armi e munizioni. Tutte le guerre e ribellioni di questi ultimi anni sono delle guerre economiche per il controllo e lo sfruttamento dei minerali.

La pacificazione dell’est della RDC passa dunque necessariamente attraverso un controllo sistematico dello sfruttamento delle materie preziose. L’adeguato inquadramento di questa attività, mediante un processo di tracciabilità dei prodotti, dall’estrazione al trasporto, fino alla commercializzazione, dovrebbe permettere di individuare i minerali provenienti da fonti illecite.

Secondo il ministro delle Miniere, Martin Kabwelulu, da settembre 2010 al febbraio 2011, periodo durante li quale si è sospesa l’attività mineraria artigianale nelle tre province del Nord Kivu, Sud Kivu e Maniema, sono state intraprese molte iniziative con lo scopo di assicurare un migliore inquadramento del settore. Il ministro rivela alcune misure di risanamento. Si tratta, fra l’altro, della pubblicazione di un manuale delle procedure di tracciabilità dei prodotti minerari, dall’estrazione all’esportazione, passando per la tappa intermedia del trasporto, convalidato mediante ordinanza interministeriale delle Miniere e delle Finanze; la costruzione di centri di commercio pilota nel Nord-Kivu e Sud-Kivu; il risanamento dello schedario minerario catastale, con la conseguente soppressione di 58 permessi di ricerca nel Maniema, 21 nel Nord-Kivu e 24 nel Sud-Kivu e, infine, la creazione di una commissione nazionale di coordinamento di lotta contro la frode e il contrabbando minerario.

L’obiettivo di queste misure di inquadramento, nota Martin Kabwelulu, è quello di “rinforzare i controlli interni, in vista di garantire una migliore tracciabilità dei minerali e mettere fine al disordine che caratterizzava il settore minerario in tali province”.

Tuttavia, anche nel caso di un inquadramento efficiente, c’è da temere un ritorno delle tensioni. Non solo tra i gruppi armati, ma anche tra Stati. Il motivo è il successivo: quando si avrà un centro ufficiale di compra vendita dei minerali vicino alla propria zona, senza dover percorrere numerosi chilometri o attraversare il fiume per vendere i prodotti in Burundi o in Ruanda, le entrate finanziarie di questi paesi diminuiranno. Accetteranno di perdere tali entrate?

C’è un’altra questione. Tanto il Capo dello Stato che il Ministro delle Miniere avevano, a suo tempo, denunciato “la palese implicazione delle autorità locali, provinciali e nazionali in attività minerarie illegali e nel commercio illecito dei minerali “. Invece di applicare la legge, costoro si dedicano a delle attività minerarie illecite. Per cui, ci si può chiedere se tutte queste reti mafiose, attive con la benedizione delle “autorità locali, provinciali e nazionali, tanto civili che militari”, sono già state neutralizzate del tutto.

Malgrado l’interdizione dell’attività mineraria artigianale, nelle principali miniere l’attività mineraria non si è mai fermata. Si è continuato a estrarre il coltan, l’oro e la cassiterite in tutta impunità e sotto il complice sguardo delle autorità politico-militari che avrebbero dovuto garantire l’applicazione della misura di sospensione.

L’intercettazione a Goma di un aereo straniero incaricato di esportare un carico d’oro ne è un esempio. È la prova che i gruppi mafiosi, citati dal Capo dello Stato nel settembre 2010, hanno continuato le loro attività, sfidando apertamente l’autorità dello Stato. Senza alcun potere di coercizione, il governo non poteva che rivedere la sua decisione, per non aggravare ulteriormente la situazione della popolazione e, soprattutto, per non prolungare indefinitamente una situazione di grande imbarazzo.

Il 1° marzo, il ministro delle Miniere, Matthieu Kabwelulu, ha soppresso la misura del Capo dello Stato circa la sospensione temporanea dell’attività mineraria nel Maniema, Nord e Sud-Kivu. La soppressione non sarà effettiva che dal 10 marzo 2011 in poi. La decisione è stata presa al termine di quattro giorni di intense discussioni di armonizzazione tra il ministero delle Miniere e i rappresentanti del settore minerario.

Secondo la società civile e gli operatori economici, l’interdizione dell’attività mineraria artigianale non è stata di grande utilità, come invece sostengono coloro che l’avevano decisa. Essa ha causato ingenti danni all’economia delle province interessate, perché, spiega la stessa fonte, l’attività mineraria costituisce la principale fonte economica della popolazione.

Purtroppo, con l’abolizione della misura di sospensione, i gruppi armati, le Fardc e le reti mafiose potranno ora agire “legalmente” e in tutta impunità, a scapito del paese che non trae alcun profitto dall’attività mineraria artigianale dell’est.

 Il 4 marzo, l’Ong Global Witness ha affermato che “i militari delle Fardc e dei gruppi armati hanno continuato il commercio illegale dei minerali, anche durante la sospensione, di sei mesi, dell’attività mineraria artigianale”. Secondo l’Ong, l’interdizione non ha ridotto il controllo che i gruppi armati e l’esercito nazionale congolese esercitano sul commercio illegale ei minerali.

Il 10 marzo, in un comunicato pubblicato a Kinshasa, l’Associazione Africana per la difesa dei Diritti dell’Uomo, Asadho, ha affermato che l’abolizione della misura di sospensione delle attività minerarie nelle province del Maniema, Nord e Sud-Kivu dovrebbe essere accompagnata da sanzioni nei confronti di quelle persone che hanno continuato questa attività anche durante il periodo di interdizione.

“La giustizia non ha aperto nessuna inchiesta seria per mettere la mano sui responsabili e mandanti della mafia che imperversa nelle province del Maniema, Nord e Sud Kivu”, ha dichiarato il presidente nazionale dell’Asadho.

Secondo lui, l’obiettivo della sospensione, consistente nel riportare l’ordine nel settore dell’attività mineraria all’est della RDCongo, non è stato raggiunto.

Per il presidente dell’Asadho, “la situazione è peggiorata durante il periodo di sospensione e la pace resta ancora minacciata nell’est della RDCongo”. Secondo lui, vari militari e agenti di polizia incaricati di assicurare la guardia delle miniere chiuse erano loro stessi implicati nello sfruttamento illegale dei minerali.

L’ong raccomanda al Presidente della Repubblica di aprire un’inchiesta, per identificare tutte le autorità, civili e militari, implicate nello sfruttamento illegale dei minerali nell’est della RDCongo. Chiede inoltre al governo di accelerare l’istituzione di meccanismi che possano permettere di porre fine al saccheggio di tutte le risorse naturali.