PROGETTO DI REGOLAMENTO EUROPEO PER UN APPROVVIGIONAMENTO RESPONSABILE IN MINERALI

EURAC                                                                                                                         Ottobre 2014

 

PROGETTO DI REGOLAMENTO EUROPEO PER UN APPROVVIGIONAMENTO RESPONSABILE IN MINERALI

Che lezione trarre dal caso della Repubblica Democratica del Congo[1]

 

UN NECESSARIO DIBATTITO SUI MINERALI PROVENIENTI DA ZONE DI CONFLITTO DELLA RDC

 

 Il 5 Marzo 2014, la Commissione Europea ha presentato un’iniziativa per risolvere il problema dei “minerali provenienti da zone di conflitto”. La proposta propone due strumenti: in primo luogo, uno strumento legislativo che instaura un meccanismo di “approvvigionamento responsabile” in minerali provenienti da zone di conflitto o “ad alto rischio”(progetto di regolamento); in secondo luogo, una comunicazione che delinea una serie di misure per promuovere questo tipo di approvvigionamento (in seguito: “misure di accompagnamento”).

 

Sorprendentemente, il meccanismo di approvvigionamento responsabile proposto dalla Commissione è di tipo volontario: le società che importano in Europa dei minerali o dei metalli grezzi contenenti i  “3T”[2] e l’oro possono decidere di verificare e di rendere conto, o no, dei rischi di finanziamento di gruppi armati attivi in zone di conflitto o ad alto rischio. Inoltre, il numero delle imprese potenzialmente interessate dal meccanismo si rivela molto limitato. Secondo la Rete europea per l’Africa Centrale (EURAC)[3], la risposta della Commissione al fenomeno dei “minerali da conflitto” è troppo debole per poter rompere i legami tra lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e i conflitti nell’est della Repubblica Democratica del Congo – RDCongo (vedere le raccomandazioni e la posizione di EURAC nei due punti seguenti).

I principali argomenti utilizzati per giustificare l’evidente debolezza del meccanismo europeo fanno generalmente riferimento alla sezione 1502 della legge statunitense Dodd-Frank[4], i cui impatti nella RDC sarebbero, secondo i suoi critici, per lo più negativi. In altre parole, l’esperienza della RDC dimostrerebbe che voler stabilire, come fa la legge Dodd-Frank, delle  misure obbligatorie sull’approvvigionamento in minerali per un gran numero di imprese porterebbe solo al fallimento. La decisione dell’Unione europea di concentrarsi su un numero limitato di imprese e di lasciar loro decidere di essere, o no, responsabili, sarebbe la risposta più efficace al fenomeno dei “minerali da conflitto”. Secondo Eurac, gli argomenti fondati sulle percezioni negative degli effetti della legge statunitense sollevano molte domande.

Prima di tutto, secondo Eurac, è ancora troppo presto per affermare che la legge Dodd-Frank ha fallito e che un meccanismo di tipo puramente volontario, come quello previsto per il momento dall’Unione europea, sarà più efficace (capitolo III). Sembra soprattutto che, per raggiungere i loro obiettivi, le iniziative legislative statunitense ed europea debbano essere accompagnate da provvedimenti che, per quanto riguarda la RDC, sostengano e inquadrino meglio l’estrazione e il commercio dei minerali prodotti dal settore minerario artigianale (capitoli I-II-IV).

Un approvvigionamento responsabile è possibile anche a partire dalla RDC (capitolo IV). Considerando l’importanza socio-economica dell’attività mineraria artigianale nella RDC (capitolo II) e il suo ruolo nella dinamica della violenza che colpisce il paese (capitolo I), l’UE e i suoi Stati membri non possono accontentarsi di appoggiare semplicemente un approvvigionamento responsabile, ma hanno il dovere di renderlo necessario e indispensabile.

RACCOMANDAZIONI

Circa il Progetto di Regolamento presentato dalla Commissione Europea:

– EURAC raccomanda al Parlamento e al Consiglio Europei

  1. di modificarlo in modo da sostituire lo schema volontario di auto-certificazione con un regime obbligatorio, in modo che le imprese implicate rendano pubblicamente conto di ciò che hanno concretamente fatto per applicazione il dovere di diligenza ragionevole alle loro catene di approvvigionamento, in conformità con la Guida OCSE;
  2. di mantenere il carattere globale del campo d’applicazione geografico, come già previsto nel progetto;
    3. di ampliare il ventaglio delle imprese coperte dal progetto, finora limitato ai soli importatori di minerali o di metalli grezzi, per potervi includere anche le principali società che commercializzano in Europa i 3T e l’oro sotto forma di prodotti semi-finiti o finiti.

Circa le misure d’accompagnamento del progetto di Regolamento presentate nella Comunicazione congiunta:

– EurAc raccomanda alla Commissione Europea e al Servizio Europeo per l’Azione Esteriore (SEAE):

  1. di forniremaggiori dettaglial Parlamento europeo, agli Stati membri, agli Stati e allasocietà civiledellaregione dei Grandi Laghi, sul tipo dimisure concreteprevistedall’UEnel quadrodelle3 aree d’interventoindividuate nella comunicazione(incentivi per il settore privato, dialoghi a livello politico, cooperazione allo sviluppo);

– EurAc raccomanda alla Commissione Europea, al SEAE e agli Stati membri:

  1. d’aumentare il loro appoggio all’Iniziativa Regionale contro lo Sfruttamento Illegale delle Risorse Naturali (IRRN) della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e d’incoraggiare gli Stati membri della stessa CIRGL a rispettare il loro impegno per l’attuazione del “Protocollo sulla lotta contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali” preso nel 2010, in occasione del Vertice speciale di Lusaka sullo sfruttamento illegale delle risorse naturali;
    6. Di sostenere una formalizzazione del settore minerario artigianale della RDC che riconosca l’importanza del settore artigianale per la popolazione congolese e che favorisca la sua coesistenza con il settore industriale. Il sostegno dell’UE dovrebbe essere orientato verso il rafforzamento del quadro legislativo (revisione del codice minerario del 2002), dei servizi amministrativi incaricati della sua esecuzione (DGM, SAESCAM, polizia mineraria, ecc) e delle cooperative minerarie locali. Questo rinforzo dovrebbe:
  • garantire una migliore protezione dei minatori artigianali e delle donne che lavorano in
    miniere;
    • delimitare le Zone riservate all’Estrazione Artigianale (ZEA);
  • chiarire i meccanismi di risoluzione dei contenziosi fondiari tra proprietari detentori di titoli terrieri (tradizionali o formali) e quelli detentori di titoli minerari;
  1. di fornire un supporto continuo e coordinato alla Riforma del Settore della Sicurezza (RSS), per poter porre fine all’implicazione illegale dell’esercito congolese nello sfruttamento e nel commercio dei minerali;
  2. di sostenere le operazioni di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento (DDR) dei molti gruppi armati ancora attivi nell’est della RDC, per poter permettere alla loro reintegrazione definitiva nella società e mettere termine all’instabilità;
  3. d’incoraggiare degli investimenti nel settore delle infrastrutture delle vie di comunicazione e dei trasporti. Il ricollegamento con le zone isolate avrà un effetto positivo sulle attività economiche e sulla sicurezza della regione e permetterà alle zone minerarie più isolate di usufruire delle varie iniziative d’approvvigionamento responsabile dei minerali a partire dalla RDC.

LA POSIZIONE DI EURAC

I. Progetto di Regolamento

Il progetto di regolamento proposto dalla Commissione Europea istituisce un meccanismo cui gli importatori di minerali o di metalli grezzi contenenti i “3T” e l’oro possono scegliere di aderire autocertificandosi come “importatori responsabili” che, cioè, hanno verificato se ci sono dei rischi che la loro catena d’approvvigionamento contribuisca al finanziamento di conflitti o di gravi violazioni dei diritti umani. Gli importatori che scelgono di aderire a questo meccanismo devono applicare il “dovere di diligenza” alla loro catena d’approvvigionamento in minerali, secondo la normativa dell’OCSE in materia (di seguito “Guida OCSE”). Il progetto di regolamento prevede che le informazioni trasmesse agli Stati membri dell’UE dagli importatori che si sono auto-certificati come “responsabili” siano inviati alla Commissione Europea che, su questa base, redigerà una lista di fonderie e raffinerie  “responsabili” (articolo 8). Non è prevista alcuna sanzione penale per gli importatori che non aderiscono al meccanismo di autocertificazione o per quelli che decidono di aderirvi, ma non rispettano le disposizioni previste dal Regolamento.

Il principale punto forte del progetto di regolamento proposto è che il suo campo d’applicazione geografica è mondiale. In effetti, gli importatori “responsabili” dovranno effettuare dei controlli in tutte le zone d’approvvigionamento che si trovino in situazioni di “conflitto armato” o di “fragilità post-conflitto” o caratterizzate da condizioni di sicurezza deboli o inesistenti o provate da sistematiche violazioni del diritto internazionale, tra cui le violazioni dei diritti umani. Il progetto europeo si distingue, dunque, dalla legge statunitense Dodd-Frank Act, che si concentra esclusivamente sull’Africa centrale e sulla Repubblica Democratica del Congo in particolare. In effetti, il fenomeno dei “minerali provenienti da zone di conflitti” è un problema mondiale globale che non si limita solo alla Repubblica Democratica del Congo.

Tuttavia, la proposta della Commissione riduce le possibilità di creare un approvvigionamento europeo in minerali veramente responsabile, essenzialmente per due aspetti della progetto di Regolamento proposto: in primo luogo, il carattere volontario del meccanismo d’autocertificazione e, in secondo luogo, il numero limitato di società potenzialmente interessate da questo meccanismo.

Per quanto riguarda il primo aspetto: una proposta legislativa tesa a regolamentare il settore privato non può accontentarsi di una semplice misura volontaria.

– A questo proposito, si può rilevare che le norme volontarie della Guida dell’OCSE sono state proposte alle imprese nel 2010, ma sono ancora poche le società che vi si sono conformate. Infatti, l’80% delle 186 società europee intervistate dall’ONG SOMO non fornisce alcuna informazione pubblica relativa alla verifica dei rischi di finanziamento di conflitti o di violazioni dei diritti umani inerenti alle loro catene di approvvigionamento. Un’analisi sui costi-benefici commissionata nel 2013 dalla Commissione europea dimostra che solo il 4% delle 330 aziende intervistate erano pronte a preparare volontariamente un rapporto sulla loro messa in pratica del dovere di diligenza ragionevole. L’impatto della regolamentazione volontaria sul comportamento delle società è, dunque, molto limitato. Per quanto riguarda il dovere di diligenza, si è dovuto attendere l’approvazione della legge Dodd-Frank, affinché le aziende cominciassero a cambiare le loro modalità d’approvvigionamento in minerali a partire dalla RDC.

– La scelta di un sistema volontario è discutibile anche alla luce degli obblighi internazionali dell’UE e dei suoi Stati membri. La Carta Internazionale dei Diritti Umani afferma l’obbligo degli Stati di proteggere i diritti umani. In base a tale obbligo, gli Stati hanno il dovere di garantire che le imprese che operano in zone di conflitto non siano coinvolte in violazioni dei diritti umani. Anche le società hanno il dovere di rispettare i diritti umani, per cui sono tenute ad applicare il dovere di diligenza alla loro catena di approvvigionamento in minerali provenienti da zone di conflitto.

Per quanto riguarda il secondo aspetto: un sistema di auto-certificazione finalizzato ai soli importatori di minerali o di metalli grezzi contenenti i 3T e l’oro (fonderie, raffinerie e commercianti) non può che avere un impatto limitato.

– In effetti, la proposta legislativa non è indirizzata anche agli “utilizzatori finali” dei 3T e dell’oro, cioè quelle imprese che li commercializzano sotto forma di prodotti finiti o semi-finiti. Secondo lo studio d’impatto commissionato dalla Commissione Europea prima della pubblicazione del progetto di regolamento, gli importatori oggetto della proposta legislativa rappresentano solo lo 0,05% delle società basate in Europa. Nel caso (poco probabile) che tutti gli importatori interessati decidessero volontariamente di aderire al sistema di auto-certificazione, solo circa 400 aziende (europee e non) potrebbero beneficiare dello statuto di “importatore responsabile”.

Il carattere volontario del progetto di regolamento e il limitato ventaglio delle imprese che potrebbero essene interessate sono della scelte tanto più discutibili, in quanto che il mercato europeo rappresenta il 25% del commercio mondiale dei “3T” e il 15% dell’oro. Data l’importanza di questo mercato, un approccio vincolante (obbligatorio) ed esteso ad altre categorie di imprese consentirebbe all’UE di avere una vera influenza sulle pratiche d’approvvigionamento delle aziende.

Secondo una recente analisi dell’Ong Global Witness, l’UE rappresenta quasi un quarto del commercio mondiale dei minerali o dei metalli grezzi contenenti i 3T e dell’oro, un volume commerciale di 28,5 miliardi di €. Nel 2013, l’UE ha importato minerali direttamente dalla RDC e dai nove paesi confinanti per un valore di circa 19 milioni di €.

Questi minerali sono entrati nell’UE anche sotto forma di componenti di un gran numero di prodotti elettronici, come telefoni cellulari o computer portatili. Per esempio, nel 2013, l’UE ha importato 240 milioni di telefoni e più di 100 milioni di computer portatili, per un valore di circa 48 miliardi di €. Nello stesso anno, la Germania è stata il più grande importatore europeo di cellulari e di computer portatili, seguita poi dal Regno Unito, dai Paesi Bassi e dalla Francia.

II. Comunicazione congiunta

Nella loro comunicazione congiunta, la Commissione e il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) propongono delle “misure d’accompagnamento” che permetteranno di migliorare l’impatto del Regolamento europeo e che dovrebbero rispecchiare l’”approccio integrato” dell’UE a proposito di un approvvigionamento responsabile in minerali.

La comunicazione presenta 13 tipi di azioni per tre aree d’intervento: 5 provvedimenti a favore d’incentivi per il settore privato[5], 3 forme di dialogo politico con i paesi terzi[6] e 5 modalità di cooperazione allo sviluppo in paesi terzi[7]. È difficile valutare le azioni proposte nella comunicazione congiunta, in quanto sono vagamente formulate. L’UE dovrà apportare dei chiarimenti per quanto riguarda i provvedimenti da essa previsti nel quadro del suo “approccio integrato” per un approvvigionamento responsabile di minerali, in particolare quelli relativi alla cooperazione allo sviluppo con la Repubblica Democratica del Congo e gli altri Paesi dell’Africa centrale.

Le azioni elencate nella Comunicazione congiunta e nel quadro strategico dell’UE e quelle già in corso di attuazione nell’ambito del programma finanziato attraverso lo strumento di stabilità (IdS), fanno dubitare che l’UE abbia veramente capito le problematiche dello sviluppo legate al settore minerario artigianale nella RDC.

Allo stato attuale, l’UE ha stanziato 5,5 milioni di € attraverso lo strumento per la stabilità (IdS) per 3 progetti nella regione dei Grandi Laghi per sostenere la lotta contro i “minerali da conflitti”: un appoggio all’attuazione dell’Iniziativa Regionale contro lo sfruttamento illegale delle Risorse Naturali indetta dalla CIRGL (3 milioni di €), un sostegno al segretariato dell’OCSE per promuovere la Guida sul dovere di diligenza ragionevole (1 milione di €) e un contributo alle entità locali non statali per la gestione dei contenziosi relativi all’accesso alla terra e alle risorse naturali (1,5 milioni di € in due anni). È evidente che il contributo alle entità locali è attualmente molto debole: solo 1,5 milioni di € in due anni. Inoltre, questo finanziamento è diretto solo alle organizzazioni della società civile locale. Tuttavia, questo contributo dovrebbe essere esteso anche ad altre categorie di soggetti direttamente coinvolti nell’attività mineraria artigianale.

Per quanto riguarda la RDC, l’UE dovrebbe promuovere delle misure d’accompagnamento specifiche per sostenere la formalizzazione del settore minerario artigianale affinché, nella loro attività estrattiva, i soggetti locali (minatori, cooperative minerarie, servizi provinciali, aziende, organizzazioni società civile) siano sempre più capaci di rispettare le condizioni di lavoro conformi con le norme sulla diligenza ragionevole stabilite dall’OCSE.

Il riferimento della comunicazione congiunta all’Iniziativa delle Materie Prime (IMP) dell’UE fa dubitare anche di una reale presa in considerazione delle problematiche relative allo sviluppo legate, nella RDC, al settore minerario artigianale. L’IMP intende combattere le “distorsioni di mercato” che influenzano i prezzi dei minerali “critici” per l’economia europea[8], al fine di garantire la sicurezza d’approvvigionamento dell’UE. Si tratta di una strategia di marketing aggressiva per sopprimere qualsiasi misura dei paesi produttori, presa per proteggere le loro riserve di minerali (quote) o per incrementare le loro entrate fiscali per il proprio sviluppo (tasse). Il riferimento all’IMP non sembra dunque coerente con un approccio europeo “integrato” che tenga conto delle problematiche di sviluppo legate al settore minerario, come ad esempio il giusto prezzo di vendita dei minerali e il gettito fiscale a favore delle finanze pubbliche a livello nazionale, provinciale e locale.

Un altro aspetto fondamentale che le misure proposte nella comunicazione congiunta non sembrano affrontare è l’implicazione illegale dell’esercito congolese (FARDC) nell’estrazione e nel commercio dei minerali prodotti nel settore artigianale. Impegnata dal 2007 nella riforma dell’esercito congolese attraverso la missione EUSEC[9], l’UE ha deciso di porvi termine entro la fine del 2014. Tuttavia, un approccio europeo “integrato” per un approvvigionamento responsabile in minerali provenienti dalla RDC dovrebbe portare l’UE e i suoi Stati membri a continuare a sostenere la riforma del settore della sicurezza (RSS) nella RDC, in particolare la riforma dell’esercito (FARDC).

FONDAMENTI ANALITICI

Capitolo I. «Minerali da conflitto» e non «conflitto per i minerali»

Questo capitolo spiega il motivo per cui si richiede una legislazione europea forte e ambiziosa (raccomandazioni 1-2-3) e delle misure d’accompagnamento sugli aspetti di sicurezza (raccomandazioni 7-8-9).

L’estrazione e il commercio delle risorse naturali continuano a svolgere un ruolo non trascurabile
nell’insicurezza a livello locale e regionale, ciò che giustifica il fatto che si prendano delle misure specifiche per affrontare il fenomeno. È un fatto ben noto e denunciato da oltre 10 anni da rapporti delle Nazioni Unite, di giornalisti e di ONG: da diversi anni, vari gruppi armati, nazionali e stranieri, attivi nell’est della RDC, si sono finanziati attraverso l’estrazione artigianale dei minerali, in particolare quella dei “3T” e dell’oro. Sui 1.088 siti artigianali visitato dal International Peace Information Service (IPIS) nella Provincia Orientale (Ituri), bel Nord e Sud Kivu, nel Maniema e nel Nord Katanga, in ben 504 si sono documentate delle “interferenze militari” (tasse illegali) e, in 46 casi, sono stati segnalati casi di lavori forzati. Su 313 siti, le interferenze osservate sono riconducibili all’esercito congolese (FARDC).

Nel caso della violenza dei gruppi armati nell’est della RDC, i minerali influiscono soprattutto sulla durata del conflitto, attraverso il “meccanismo di saccheggio” (looting mechanismse) mediante il quale i gruppi armati finanziano le loro attività, ma anche (e soprattutto in ciò che riguarda attualmente la RDC) attraverso il “meccanismo dell’avidità” (greed mechanism).

Il denaro proveniente dal settore minerario artigianale (tasse illegali) non serve solo per finanziare le attività militari dei gruppi armati (acquisto di armi e attrezzature), ma anche per  l’arricchimento personale di alcuni alti ufficiali dell’esercito congolese (FARDC) e dei gruppi ribelli e di certi membri dell’amministrazione e dell’élite locale: il settore minerario è regolato da una amministrazione informale. Le tasse e altri canoni vanno per lo più a beneficio dei capi di collina, dei militari e di alcuni servizi amministrativi che “pompano” entrate che dovrebbero entrare nelle casse dello Stato. A volte, quando c’è un conflitto d’interessi tra di loro, i beneficiari di questo traffico ricorrono ai gruppi armati, alimentando così le violenze intorno ai siti minerari. È stato, per esempio, il caso in passato de Walikale, Rubaya e Mukungwe.

Gli interessi sul commercio illegale dei minerali congolesi non sono solo locali, ma anche
regionali: nelle province dell’est della RDC sono sorte diverse reti criminali ramificate fin nei paesi vicini. Secondo le Nazioni Unite, “il 98% dell’oro artigianale prodotto nel 2013 è stato illegalmente esportato dal paese”, per un valore che oscilla tra 383 e 409 milioni di $, con una perdita di entrate fiscali per lo stato congolese compresa tra 7,7 e 8,2 milioni di $ dollari. L’oro è esportato principalmente in Burundi, Uganda, Tanzania e Sud Sudan, per poi essere inviato a Dubai, uno dei maggiori centri mondiali di commercio dell’oro, o a Dar Es Salaam. Per quanto riguarda i minerali 3T, le Nazioni Unite affermano che, “se i minerali di contrabbando vengono esportati anche in Uganda e Burundi, il Ruanda resta pur sempre la meta preferita dei contrabbandieri”, a causa del grande divario tra i prezzi praticati nella RDC e nel Ruanda.

Alcuni paesi della regione hanno quindi interesse ad entrare nel cerchio del commercio illegale dei minerali congolesi, notevolmente facilitato dalla situazione d’insicurezza e d’instabilità nell’est della RDC. I beneficiari di questo commercio nei paesi vicini possono essere sia persone fisiche private, spesso membri dell’élite locale, sia agenti dello Stato. Questi interessi possono in parte spiegare l’implicazione del Ruanda e dell’Uganda nella situazione d’instabilità causata dai gruppi armati nell’est della RDC.

La prosecuzione del conflitto nell’est della RDC è quindi in parte spiegata per il fatto che molti soggetti hanno più interesse che ci sia l’instabilità e l’insicurezza e non la pace e la formalizzazione dell’economia: preferiscono organizzare e mantenere un’insicurezza costante, anche se a bassa intensità, piuttosto che contribuire a migliorare la situazione della sicurezza. Questa situazione facilita, nello stesso tempo, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e il mantenimento del disordine in zone in cui possono prelevare tasse arbitrarie.

Un approccio equilibrato e obiettivo dovrebbe prendere in considerazione lo sfruttamento illegale di
risorse naturali come un fattore chiave tra altri, come il decadimento dello stato congolese e dell’esercito, le tensioni etniche, i contenziosi di proprietà delle terre, la mancanza di infrastrutture di comunicazione e l’isolamento di alcune zone del paese, che contribuiscono alla perpetuazione di dell’insicurezza nella RDC. In questo senso, le varie iniziative intraprese per rompere il legame tra le risorse naturali e conflitti sono necessarie ma non sufficienti. Esse devono far parte di un approccio globale di costruzione della pace (peace building) nella RDC che tenga conto della complessità del conflitto.

Capitolo II. Il settore minerario artigianale: sfida per la pace e lo sviluppo

Questo capitolo spiega il motivo per cui l’UE dovrebbe appoggiare una formalizzazione del settore minerario artigianale che riconosca la sua importanza per la popolazione congolese (raccomandazione 6).

Contrariamente a ciò che in generale si pensa, l’estrazione mineraria artigianale nella RDC data già da molto tempo e non è di per sé illegale. Era già stata autorizzata negli anni ‘80 dal presidente Mobutu. Il codice minerario congolese, approvato nel 2002 e in fase di revisione dal 2012, istituisce un quadro giuridico per regolamentarla[10], autorizzando l’attività in “Zone di Estrazione Artigianale” (ZEA).

L’economia mineraria artigianale è una economia di sopravvivenza su vasta scala da cui, nel 2008, dipendevano, direttamente e indirettamente, 10 milioni di Congolesi, pari al 16% della popolazione. Oltre ai lavoratori del settore (minatori artigianali), stimati sui 2 milioni circa di persone residenti in tutta la RDR, si aggiungono tutte le altre persone che vi gravitano attorno (indotto) per il trasporto, la ristorazione, ecc. Rispetto a tutta la popolazione congolese attiva, stimata sui 30 milioni, queste cifre non sono da trascurare! Soprattutto se si considera che il settore minerario industriale fornisce solo 20 – 30.000 posti di lavoro diretti e indiretti.

Tuttavia, il settore artigianale ha contribuito molto poco allo sviluppo della RDC, sia a livello locale che nazionale. Naturalmente, questo dato deve essere in parte attribuito alla situazione d’insicurezza e all’interferenza illegale dei gruppi armati e dell’esercito congolese nell’estrazione e nel commercio dei minerali prodotti dal settore artigianale. Ma trova una spiegazione anche nella cattiva gestione del settore artigianale da parte delle autorità nazionali e provinciali.

Secondo il professor Stefaan Marysse, il modo in cui funziona il settore artigianale è uno dei principali “buchi neri” della rendita mineraria nella RDC. Il valore delle esportazioni illegali d’oro prodotto dal settore artigianale, corrispondente al 98% della produzione del 2013, oscillava tra 383 e 409 milioni di $. Nell’insieme del settore artigianale, il contrabbando creerebbe un deficit annuale per le casse dello Stato di circa 100 milioni di $. Inoltre, considerando l’importanza, su scala mondiale, delle riserve congolesi di tantalio (25%) e di stagno (7%), nonché le stime della produzione artigianale congolese dell’oro[11], il prelievo e la ridistribuzione del reddito minerario artigianale costituiscono un’importante sfida per lo sviluppo del paese.

Capitolo III. La sezione 1502 della legge Dodd-Frank: che insegnamenti dedurne?

Questo capitolo spiega il motivo per cui è necessaria una legislazione europea forte e ambiziosa (raccomandazioni 1-2-3).

In seguito alla presa di coscienza da parte della comunità internazionale, negli ultimi anni sono emerse molteplici iniziative, vincolanti o volontarie, per contrastare il problema dei “minerali da conflitto”. Tra queste iniziative, la Sezione 1502 della legge Dodd-Frank.

Un rapporto commissionato dalla Federazione delle industrie tedesche e realizzato da Öko Institute, sembra aver contribuito a invalidare, agli occhi di una parte della pubblica opinione e della Commissione europea, l’approccio vincolante adottato dalla legge statunitense. Il rapporto si riferisce a certe percezioni negative delle conseguenze che l’approvazione della legge Dodd-Frank avrebbe generato nella RDC nel 2010. Queste percezioni negative riducono l’impatto della legge sulla situazione congolese alle conseguenze del ritiro di alcuni dei più importanti compratori internazionali (gli utilizzatori finali e le fonderie che li forniscono)[12], che avrebbe causato una difficoltà d’accesso dei minerali contenenti i 3T congolesi sul mercato internazionale e, di conseguenza, un calo dei prezzi nella RDC. Questo “embargo de facto” ha avuto delle ripercussioni localmente importanti sul piano socio-economico nelle province implicate.

Si può rimproverare alla sezione 1502 della legge Dodd-Frank un’interpretazione  troppo stretta e geograficamente limitata della Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza ragionevole. Infatti, la legge statunitense ha introdotto una procedura di etichettatura “conflict free” (libero da conflitto) solo per i minerali congolesi quando, invece, il dovere di diligenza ragionevole è, prima di tutto, un processo di identificazione e di gestione dei rischi da applicare in tutti i Paesi del mondo produttori di minerali, ma colpiti da conflitti o ad alto rischio. Il progetto di regolamento europeo sembra aver tenuto conto di questo limite della sezione 1502. Tuttavia, i limiti della Dodd-Frank non giustificano affatto il carattere volontario dello schema previsto dall’UE. In effetti, le percezioni negative delle conseguenze sulla RDC, che l’approvazione della Dodd-Frank avrebbe causato, non riflettono che una realtà molto parziale degli insegnamenti che si possono dedurre sul luogo.

I critici del Dodd-Frank Act dimenticano in generale di dire che la sua approvazione (nel luglio 2010) è stata seguita, da settembre 2010 a marzo 2011, da una sospensione dell’attività (estrazione e commercio) mineraria artigianale, decisa dal presidente Kabila. Le difficoltà d’accesso della produzione artigianale congolese al mercato internazionale constatata nel 2010, e i problemi socio-economici che ne sono derivati, non sono stati determinati unicamente dalla legge Dodd-Frank. Certo, l’”embargo de facto” è in parte imputabile all’approvazione della sezione 1502 nel 2010 e, in certe zone, ha incrementato il traffico illecito dei minerali congolesi verso i paesi limitrofi. Ma ridurre l’impatto della Sezione 1502 ai fatti citati sopra, o addirittura, come alcuni fanno, designare la legge Dodd-Frank come il principale responsabile delle difficoltà incontrate dai minatori e dalle comunità locali, sembra riflettere un’enorme semplificazione della realtà.

La sezione 1502 della legge degli Stati Uniti è entrata in vigore nel gennaio 2013, fissando al 2 giugno 2014 la data di presentazione dei primi rapporti sull’applicazione del dovere di diligenza da parte delle imprese. Attualmente, solo 1.315 aziende l’hanno già fatto, su circa 6.000 individuate dalle autorità finanziari statunitensi. Occorrerà dunque attendere ancora qualche anno prima di trarre conclusioni definitive e categoriche sull’impatto della Sezione 1502 sulle pratiche di approvvigionamento delle aziende importatrici di minerali.

L’effetto più evidente della legge Dodd-Frank è quello d’aver costretto l’insieme degli agenti pubblici e privati ​​coinvolti nel settore minerario artigianale, sia nella RDC che a livello internazionale, a prendersi le loro responsabilità. In particolare, essa ha spinto diversi stati (UE, Cina, Canada) e imprese (commercianti, fonderie e utilizzatori finali) a prendere una posizione e a definire una serie di azioni sul tema dei “minerali da conflitto”. Dopo essersi disinteressati nel 2010 ai minerali 3T congolesi, alcuni operatori delle catene d’approvvigionamento hanno deciso di impegnarsi o re-impegnarsi nella RDC, attraverso iniziative come la Conflict Free Tin Initiative[13] (miniera di Kalimbi, nel Sud Kivu ) per lo stagno, Solution for Hope[14] (miniera di Mai Baridi, Kisengo, e Luba, nel Katanga) o Making Africa Work[15] (miniera di Kisengo, nel Katanga) per il tantalio. Queste iniziative alimentano un programma di “fonderie senza conflitti”[16] (Conflict Free Smelters/CFS) istituito nel 2011 da EICC e GeSI (Conflict Free Sourcing Initiative). Questi progetti “a circuito chiuso” (closed-pipe) consentono alle aziende coinvolte di lavorare insieme lungo tutta la filiera d’approvvigionamento (dalla miniera al prodotto finale), per identificare e gestire i rischi nelle minerario e lungo le rotte commerciali. È più che probabile che queste iniziative non sarebbero mai state possibili senza l’approvazione delle misure obbligatorie previste dalla legge Dodd-Frank.

Per quanto riguarda gli altri effetti di questa legge nella RDC, se è vero che l’embargo di fatto ha avuto delle conseguenze economiche negative, a livello locale nelle province congolesi interessate, è però altrettanto vero che ha generato un calo del reddito dei gruppi armati e più sicurezza attorno ad alcuni siti minerari. Questi risultati valgono essenzialmente per i minerali 3T, non per l’oro. In effetti, in molte zone, come ad esempio nel Nord Katanga, i minatori hanno reagito al declino del settore dei minerali 3T orientandosi verso il settore informale dell’oro, perché non è strettamente monitorato e può essere facilmente esportato di contrabbando. Così, l’80% dei minatori artigianali elencati da IPIS nel 2013-2014 lavorano nel settore orafo.

Capitolo IV: Anche in RDC è possibile approvvigionarsi in maniera responsabile … a certe condizioni!

Questo capitolo spiega il motivo per cui sono necessarie una legislazione europea che renda l’attuazione del dovere di diligenza obbligatoria (raccomandazione 1) e delle misure d’accompagnamento che sostengano la formalizzazione del settore minerario artigianale e l’attività dei soggetti locali (raccomandazioni 4-5-6).

Esistono altre iniziative internazionali e nazionali per la certificazione delle miniere, la tracciabilità dei minerali e l’applicazione del dovere di diligenza alle catene d’approvvigionamento. Senza essere esaustivi, si possono citare:

– Le legislazioni della RDC e del Ruanda che, approvate nel 2012, rendono obbligatorio il dovere di diligenza ragionevole per tutte le aziende che operano nei settori dei minerali 3T e dell’oro.

– Il processo di qualificazione e di certificazione dei siti minerari nell’est della RDC, presentato ufficialmente con decreto ministeriale nel febbraio 2012. Esso mira a creare una situazione di sicurezza nei siti minerari catalogandoli secondo tre categorie: color rosso (situazione insoddisfacente , nessuna certificazione), color arancione (situazione soddisfacente, ma non abbastanza per la certificazione); color verde (situazione del tutto soddisfacente, rilascio della certificazione).
– I sei strumenti dell’Iniziativa Regionale contro lo Sfruttamento illegale delle Risorse Naturali (IRRN)[17], approvati dagli 11 Capi di Stato membri della CIRGL. Tra questi strumenti: il rilascio di un certificato regionale CIRGL che indica la miniera d’origine dei minerali. Nella RDC, solo i minerali provenienti da siti minerari qualificati “verdi” dal governo possono ricevere un certificato CIRGL.

Il progetto di regolamento dell’UE si colloca al di sotto delle norme giuridiche già in vigore nella RDC, in altri Paesi della CIRGL e negli Stati Uniti, che rendono il dovere di diligenza ragionevole vincolante per le imprese. L’UE indebolisce questi standard e non contribuire all’armonizzazione delle “regole” sui mercati. In effetti, gli importatori che scelgono di non aderire allo schema d’autocertificazione proposto dalla Commissione possono continuare ad accedere al mercato europeo.

L’evoluzione positiva della sicurezza, generata dagli sforzi fatti per la smobilitazione e il disarmo
dei gruppi armati nell’est della RDC ha, negli ultimi mesi, fatto avanzare il processo di qualificazione e di certificazione dei siti minerari. Attualmente, 86 siti minerari artigianali sono stati qualificati e certificati “verdi” dal governo[18]: 17 nel Nord Kivu, 9 nel Sud Kivu, 45 nel Maniema e 15 nel nord Katanga. È ancora poco, se si considerano i 497 siti artigianali (su 1088) che IPIS ha recentemente identificato come “liberi” da gruppi armati, ma è un passo avanti significativo.

È la stessa cosa per il meccanismo di certificazione della CIRGL sull’origine dei minerali nella RDC: dal suo inizio nel luglio 2013, la RDC ha emesso 924 certificati regionali, tra cui 733 per l’oro, 145 per lo stagno e 45 per il tantalio. Si può ancora dubitare della conformità di alcuni lotti di minerali certificati con la normativa della CIRGL (essa stessa ispirata alla guida OCSE). Ma anche in questo caso, i miglioramenti recentemente constatati sono incoraggianti e creano reali opportunità di approvvigionamento responsabile in minerali a partire anche dalla RDC.

Sul posto, queste iniziative si trovano a dover far fronte a dei problemi di fattibilità e d’affidabilità principalmente legati ad una governance debole e all’insicurezza. I processi di qualificazione dei siti e di certificazione CIRGL della produzione devono affrontare alcune grandi sfide: un’ingente frode mineraria (contrabbando) verso i paesi limitrofi (Uganda, Ruanda, Burundi, Tanzania), la mancanza di capacità dei servizi amministrativi e il non pagamento degli stipendi dei funzionari incaricati di supervisionare il settore artigianale, la lentezza del processo di qualificazione dei siti minerari, l’elevato grado d’implicazione dell’esercito (FARDC) nell’estrazione e nel commercio illegali dei minerali (62% dei casi d’”interferenza militare” registrati da IPIS).

Malgrado tutto questo, è oggi possibile procurarsi minerali in modo responsabile anche nella RDC, grazie ai recenti progressi compiuti attraverso i meccanismi di qualificazione delle miniere e di certificazione dei minerali. Si tratta di due tappe chiave per garantire catene d’approvvigionamento responsabili nella RDC. In effetti, la certificazione, la tracciabilità e il dovere di diligenza sono complementari e si rafforzano a vicenda. Senza un meccanismo affidabile per la certificazione e la tracciabilità, un approvvigionamento responsabile in minerali rimane ipotetico.

Purtroppo, l’affidabilità della certificazione e della tracciabilità dei minerali nella RDC è compromessa dalla mancanza di capacità (tecnica e finanziaria) delle autorità locali per regolamentare il settore minerario artigianale. L’UE e i suoi Stati membri devono dunque prendere delle misure d’accompagnamento specifiche per sostenere la formalizzazione del settore minerario artigianale congolese, tra cui il processo di qualificazione delle miniere, il meccanismo di certificazione CIRGL e le capacità dei soggetti locali (minatori, cooperative minerarie, servizi provinciali, imprese, società civile) a rispettare le condizioni di attività mineraria in linea con gli standard di diligenza stabiliti dall’OCSE.

[1] Estratti dal testo originale integrale:  http://www.eurac-network.org/pdf/plaidoyers/positionnement-eurac-le-ons-rdc-minerais-de-conflit-final.pdf

[2] Stagno, tantalio (chiamato anche “Coltan”) e tungsteno.

[3] EURAC comprende 39 organizzazioni membri della società civile di 12 paesi europei. Queste organizzazioni lavorano sulla problematica della Regione dei Grandi Laghi, ove sono presenti appoggiando la società civile del Burundi, della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e del Ruanda nei loro sforzi per promuovere la pace, i diritti umani e lo sviluppo.

[4] Approvata nel 2010 dal Congresso degli Stati Uniti, la legge Dodd Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act contiene una sezione (la 1502) che stabilisce l’obbligo, per le società quotate in borsa a New-York e i cui prodotti contengono stagno, coltan, tungsteno o oro, di informare se si procurano questi minerali dalla RDC o da uno dei paesi vicini. Se i minerali provengono dalla RDCongo, devono rendere conto, in un rapporto annuale e pubblico, delle misure prese a proposito del “dovere di diligenza” (due diligence) per evitare di procurarsi minerali che finanziano gruppi armati o violazioni di diritti umani.

[5] Queste azioni comprendono, tra l’altro, dei sostegni finanziari alle società si approvvigionano in modo responsabile.

[6] 1- Dialoghi già esistenti in materia di sviluppo, commercio e sicurezza; 2- dialogo specifico con i paesi in cui sono localizzate la maggior parte delle fonderie / raffinerie (Cina, Malesia, Indonesia, Tailandia e Russia); 3- “diplomazia delle risorse”, iniziata nel 2008, nell’ambito dell’Iniziativa Materie Prime dell’UE.

[7] 1- Trasposizione della Guida OCSE nei quadri normativi dei paesi terzi; 2- Rafforzare la capacità dei paesi nell’attuare le norme di diligenza ragionevole; 3- Rafforzare il dialogo politico nei paesi tra le autorità (centrali e locali), la società civile e il settore privato; 4- dare visibilità alle azioni intraprese e ai risultati ottenuti dai paesi; 5- progetti comuni sull’estrazione sostenibile e il buon governo, tenendo in particolare considerazione la specificità dell’attività mineraria artigianale.

[8] Il tungsteno fa parte della lista dei 20 minerali critici, recentemente aggiornata dalla Commissione europea (COM (2014) 297 definitivo). Il tantalio e il tungsteno erano tra i 14 minerali critici annoverati nella lista precedente. Il tantalio è stato ritirato dalla nuova lista perché attualmente rappresenta un rischio inferiore di penuria d’approvvigionamento per l’UE.

[9] La missione EUSEC (European Union Security Sector Reform  Mission in the DRC) è finanziata nell’ambito del bilancio economico della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC). Ha sostenuto la riforma dell’esercito congolese (FARDC), ottenendo risultati fragili ma significativi nei settori della consulenza strategica, della formazione e della gestione delle risorse umane e del pagamento dei salari.

[10] Il Codice minerario mira a limitare le pratiche illegali, aumentare la sicurezza dei minatori artigianali, prevenire i conflitti legati alle risorse naturali ed evitare le violazioni dei diritti umani. Distribuisce le competenze relative al settore tra il Ministero delle Miniere (delimitazione delle zone di estrazione artigianale – Zea), i Governatori delle province (concessione delle licenze ai commercianti di prodotti minerari artigianali) e i Capi di Divisione Provinciale delle Miniere (concessione di permessi di estrazione).

[11] Da sola, la provincia del Sud Kivu produrrebbe, annualmente, 4.800 kg d’oro estratto artigianalmente.

[12] Questo ritiro può essere spiegato per il fatto che, quando è stata approvata nel luglio 2010, la legge Dodd-Frank non dava ancora alcuna precisazione sulle regole d’applicazione della Sezione 1502, creando così un’incertezza giuridica per le imprese interessate. Inoltre, non potendo tali società garantire in modo ragionevole che i minerali acquistati in Africa centrale non finanziavano alcun gruppo armato di quelli attivi nella RDC, il “rischio di vedere rovinata la loro  reputazione” per essere associate alle violenze perpetrate nella RDC era per loro diventato troppo elevato.

[13] I partecipanti a questa iniziativa sono: IM Metals & Alloys, Alpha, Apple, BlackBerry, Fairphone, HP, ITRI, Malaysia Smelting Corporation Berhad (MSC), Motorola Solutions, Nokia, The Netherlands Ministry of Foreign Affairs, Pact, Royal Philips, Tata Steel, Traxys

[14] I particepanti a questa iniziativa sono: AVX, BlackBerry, Coopérative Des Artisanaux Miniers du Congo (CDMC), F&X, FairPhone, Flextronics, Foxconn, Global Advanced Metals (GAM), HP,  Intel, Mining Minerals Resources (MMR), Motorola Mobility, Motorola Solutions, Nokia.

[15] Questa iniziativa è stata lanciata dal fabbricante di condensatori Kemet.

[16] Al 25 Aprile 2014, il programma CFS ha convalidato 85 fonderie e raffinerie di tutto il mondo come “libere da conflitti” (conflict free) e altre 110 sono già state coinvolte nel processo di valutazione del programma.

[17] Questi sei strumenti sono: 1) il meccanismo di certificazione regionale; 2) l’armonizzazione delle legislazioni nazionali; 3) la banca dati regionale sul flusso dei minerali; 4) la formalizzazione del settore minerario artigianale; 5) la promozione dell’Iniziativa per la Trasparenza nell’Industria Estrattiva (ITIE); 6) il meccanismo di rapido allarme.

[18] La procedura di qualificazione e di certificazione dei siti minerari è attuata, in ciascuna delle province dell’est, da unità miste composte da esperti designati dai vari partner (l’Amministrazione delle miniere, SAESSCAM, Polizia Mineraria, BGR, Monusco , Società Civile, FEC).