Congo Attualità n.218

INDICE

EDITORIALE: «È sempre la stessa cosa»

1. SCONTRI TRA MILITARI CONGOLESI E RUANDESI ALLA FRONTIERA TRA RDCONGO E RUANDA

a. La cronaca di due giorni di tensione

b. La versione congolese

c. La versione ruandese

2. QUASI 200 FDLR SI ARRENDONO

a. Trasferiti in un “centro di raggruppamento”

b. Per essere inviati in un “centro di permanenza temporanea”

c. Ma la popolazione chiede il loro rimpatrio immediato e diretto in Ruanda

d. Troppo presto per dichiarare vittoria

3. MASSACRO A MUTARULE

a. L’orrore

b. Furti di bestiame, intrighi di potere e connessioni internazionali

   

1. SCONTRI TRA MILITARI CONGOLESI E RUANDESI ALLA FRONTIERA TRA RDCONGO E RUANDA

 

a. La cronaca di due giorni di tensione

L’11 giugno, militari congolesi e ruandesi si sono scontrati sulla collina Kanyesheja, nella località di Kabagana II del territorio di Nyiragongo, a circa 20 chilometri a nord di Goma (Nord Kivu). Diverse fonti riferiscono che le Forze Armate della RDCongo (FARDC) hanno risposto ad una provocazione delle Forze di Difesa del Ruanda (FDR) che hanno tentato di occupare la collina Kanyesheja sul territorio congolese.

Secondo il portavoce delle FARDC nel Nord Kivu, il colonnello Olivier Hamuli, un caporale dell’esercito congolese è stato sequestrato dai militari dell’esercito ruandese.

 Il ministro degli Esteri ruandese e portavoce del governo, Louise Mushikiwabo, ha accusato i militari congolesi di avere attraversato il confine e di avere sparato contro una pattuglia ruandese.

Il comandante militare della Monusco, il General Dos Santos Cruz, ha confermato l’informazione sugli scontri: «Al confine tra la RDCongo e il Ruanda ci sono dei luoghi in cui la frontiera non è chiaramente definita. In questi posti, le truppe dei due Paesi sono molto vicine tra loro, il che potrebbe causare problema in qualsiasi momento. Apriremo un’inchiesta per determinare la natura esatta di questo incidente». Inoltre, egli dice di sperare che si tratti solo di un piccolo incidente e che «non sia strumentalizzato per provocare ulteriori problemi».[1]

Secondo il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, al mattino l’esercito ruandese avrebbe catturato un caporale delle FARDC e, nel primo pomeriggio, l’avrebbe ucciso. La notizia della morte del caporale avrebbe causato la ripresa degli scontri del pomeriggio, quando i militari congolesi hanno deciso di attraversare la frontiera per andare a recuperare il corpo. Dal lato ruandese, si è affermato che il caporale congolese aveva attraversato il confine all’alba, per andare a cercare del cibo e che aveva sparato contro una postazione dell’esercito ruandese che non avrebbe fatto altro che replicare.

Secondo Kinshasa, l’obiettivo di questo attacco da parte del Ruanda sarebbe quello di ostacolare il processo di disarmo volontario dei ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).

Secondo Kigali, invece, il Ruanda subirebbe ripetute incursioni di militari congolesi sul suo territorio per rubare cibo o per provocare il suo esercito. Secondo alcuni funzionari ruandesi, il caporale congolese ucciso sarebbe un ribelle delle FDLR travestito da militare congolese.[2]

Questa zona di confine, e in particolare la posizione militare di Kanyésheja dove hanno avuto luogo gli scontri, è stata più volte oggetto di tensione tra i due Paesi. Già nel mese di gennaio, ci fu un conflitto di demarcazione dei confini, poi risolto attraverso il dialogo. Sia che si tratti dell’appartenenza di una zona di pascolo al Ruanda o al Congo, sia che si tratti del passaggio di bestiame da una zona ad un’altra, in questi posti la frontiera è particolarmente mal definita. Passando la linea di demarcazione tra le colline, non è sempre facile sapere se si è in Ruanda o in Congo. A proposito degli ultimi scontri, un’ipotesi è quella di un militare che abbia erroneamente attraversato la frontiera e che la situazione si sia poi degenerata. Entrambe le parti si accusano a vicenda. Kinshasa dice che c’è stata un’incursione dell’esercito ruandese sul suo territorio, un’operazione in cui un soldato congolese è stato catturato e poi giustiziato dall’esercito ruandese. Invece, Kigali dice che, poiché militari congolesi sarebbero entrati in Ruanda e avrebbero aperto il fuoco, l’esercito ruandese avrebbe deciso di rispondere all’attacco.[3]

Il 13 giugno, dopo due giorni di scontri tra militari della RDCongo e del Ruanda, la situazione nella zona di confine tra i due paesi si era calmata.[4]

Il 14 giugno, gli abitanti delle località di Kabagana, Kabuhanga, Kabuye e Kitotoma, nel raggruppamento di Buhumba, al confine con il Ruanda, hanno cominciato a ritornare a casa loro. Sono dapprima i capi villaggio che ritornano per valutare la situazione, prima di far ritornare le donne e i bambini. Tuttavia, ciò che constatano è lungi dall’essere rassicurante, come ha detto un abitante raggiunto telefonicamente: «È una situazione di grande insicurezza causata dalla presenza, sul versante ruandese, di molti militari e di molte armi, fra cui armi di artiglieria, il che provoca un grande panico tra la popolazione».[5]

b. La versione congolese

A Buhumba, un villaggio congolese alla frontiera con il Ruanda, gli abitanti hanno un’idea abbastanza chiara circa i recenti incidenti avvenuti alla frontiera con il Ruanda. «I Ruandesi vogliono impossessarsi della collina di Kanyesheza, perché dicono che appartiene a loro», ha detto un anziano del villaggio, Jean Bizoza.

Infatti, questa collina era controllata dal Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato appoggiato dal Ruanda. Dal novembre 2013, quando questo gruppo armato è stato sconfitto, per la prima volta l’esercito congolese si è dispiegato lungo il confine che separa il Ruanda dal raggruppamento congolese di Buhumba, da cui dipende Kanyesheza. «I Ruandesi non si sono ancora abituati al fatto che questa collina non è più sotto il loro controllo attraverso l’M23», dice Augustin Tahurugiye, direttore di una scuola e segretario della società civile locale, aggiungendo che, «dal mese di novembre, le FARDC occupano le posizioni abbandonate dall’M23, inclusa quella di Kanyesheza». Il capo del raggruppamento di Buhumba, Deo Makombe, si dice sicuro che Kanyesheza appartiene al Congo e precisa che i cippi di confine ci sono ancora, anche se spesso sono nascosti sotto la vegetazione o sepolti dalla terra. Secondo il popolo congolese, sono dunque le truppe ruandesi che sono all’origine di questi scontri.[6]

Secondo il GPS del capitano congolese a capo dei commando che si sono scontrati con l’esercito ruandese l’11 e il 12 giugno, non ci sono dubbi: la collina Kanyesheza è sicuramente situata in territorio congolese. Il GPS indica che il confine internazionale tra la RDCongo e il Ruanda si trova a circa un chilometro di distanza. Tuttavia, si vedono dei soldati ruandesi al bordo del boschetto di eucalipti, a cinquecento metri di distanza e ancor meno, sulla collina vicina, anche se tentano di nascondersi. Vi sono ritornati in occasione dei recenti scontri, ha spiega il tenente Barabas (soprannome), del 391° battaglione commando, formato dagli Stati Uniti. Kanyesheza è una collina alla fine dell’erbosa savana di Kibaya, un altopiano che si estende a circa 2000 m di altitudine, ai piedi del vulcano Nyiragongo. Il villaggio congolese più vicino è a un’ora di cammino a piedi. In linea d’aria, la città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, si trova a 20 chilometri a sud-ovest. Il 10 giugno, all’alba, «il capo plotone ha visto un gruppo di militari ruandesi che avanzava in quella direzione», a poche decine di metri, dice il tenente Barabas, aggiungendo: «dicevano che la collina appartiene a loro». Ma il plotone congolese non si è lasciato intimidire e i soldati ruandesi sono finalmente ritornati indietro. Preoccupati per l’incidente, i militari congolesi hanno deciso di mettere due guardie in un posto di osservazione avanzato, ma sempre in territorio congolese. Il giorno dopo, all’alba, uno delle guardie è stato “catturato” e l’altro è riuscito a scappare. È in quel momento che sono cominciati i primi scontri, con armi automatiche.

Dopo una tregua, nel pomeriggio la situazione è degenerata in scontri con armi pesanti. L’esercito congolese e alcuni testimoni accusano i militari ruandesi di aver aperto il fuoco su una delegazione di militari e civili incaricata di aprire un dialogo. Dopo un’altra breve sparatoria, il mattino del ​​giovedì 12 giugno, la situazione è ritornata alla calma. Il corpo del militare di guardia che, nel frattempo, era stato ucciso, è stato consegnato all’esercito congolese. Dai due lati della frontiera, «si è ricominciato a parlare», dice il tenente Barabas. Ironia della sorte, alcuni militari che si sono sparati addosso, sono stati dei vecchi compagni d’armi. Dall’altro lato della frontiera, c’è un militare ruandese, John. «Entrò in Congo con l’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL). Ci conosciamo. Siano vissuti insieme a Kinshasa e ha addirittura sposato una Congolese di  Kinshasa» dice il capitano. L’AFDL è il movimento ribelle di Laurent-Désiré Kabila (padre dell’attuale presidente della RDC, Joseph Kabila), che, nel 1997, con l’aiuto del Ruanda, ha cacciato dal potere il dittatore Mobutu Sese Seko. Raggiunto telefonicamente, John conferma che ha partecipato alla guerra dell’AFDL e che ha vissuto a Kinshasa, ma rifiuta di parlare degli ultimi scontri alla frontiera tra Ruanda e RDCongo.[7]

«È sempre la stessa cosa. I militari ruandesi si dispiegano lungo la frontiera come se stessero per attaccare. Avanzano fino a pochi metri dalla nostra postazione, ci dicono che quell’albero appartiene a loro e che dobbiamo tagliarlo, volenti o nolenti», dice un tenente dell’esercito congolese destinato, da quattro mesi, al controllo della frontiera tra la RDCongo e il Ruanda. L’eucalipto è ancora lì, ma le dispute si ripetono continuamente, due o tre volte alla settimana. Il caso si risolve attraverso un dialogo più o meno cortese, dice l’ufficiale, che si lamenta delle continue “provocazioni” e “minacce” da parte dei militari ruandesi. «Ci accusano di non essere Congolesi, ma appartenenti alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia hutu ruandese installata in Congo, i cui membri sono spessi accusati di aver partecipato genocidio ruandese del 1994», dice l’ufficiale, nativo di Kinshasa.

A Nakabumbi, a circa 30 km a nord-est di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, i militari del 391° battaglione hanno scavato una trincea a ridosso di una fila di eucalipti che, secondo loro, marca la delimitazione di frontiera. Ogni 30 metri circa, una sentinella armata di una pistola o di un Kalashnikov, controlla ciò che sta accadendo dall’altra parte. Ogni guardia dispone di un piccolo riparo costruito con frasche, in cui il soldato può trascorrere la notte. Un campo di maïs li separa dall’edificio in cui abitano dei militari ruandesi e dalle case del paese di fronte, a circa 300 metri.

Secondo il tenente, i militari ruandesi rivendicano anche altri tre alberi piantati più tardi, che si trovano a una certa distanza l’uno dall’altro, lungo la linea degli alberi. «Una volta, hanno inviato anche un generale», racconta quasi divertendosene. A proposito di questi tre alberi, «erano venuti dei Ruandesi a piantarli, durante il periodo della ribellione del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), e ora dicono di volerli tagliare», dice Deo Makombe, capo del raggruppamento di Buhumba, da cui dipende Nakabumbi. Controllata sottomano da Kigali, la milizia del RCD ha amministrato questa zona durante la seconda guerra del Congo.

In quegli anni, gli abitanti del villaggio ruandese limitrofo hanno preso delle brutte abitudini: «venivano per far legna e tagliare gli alberi a loro piacimento e ci prendevano in giro. Venivano per far pascolare i loro greggi e rovinavano le nostre culture», dice Moïse Rame, agricoltore vedovo di 53 anni.

Imbarazzati dalla presenza di curiosi accorsi per la presenza di tre giornalisti, un piccolo gruppo di militari ruandesi si avvicina alle linee congolesi, ma rimane a distanza. «Come va oggi?», chiede loro in swahili (lingua ampiamente parlata nell’Africa dell’est) il capitano congolese circondato dai giornalisti. Dall’altra parte, si risponde con il pollice alzato. Ma non non autorizzano i giornalisti ad attraversare per ascoltare ciò che si dice dall’altra parte, quella ruandese.[8]

c. La versione ruandese

La causa di questo picco di tensione tra militari ruandesi e congolesi, potrebbe probabilmente essere una semplice disputa su un furto di bestiame. Due mucche che stanno per essere rubate: ecco che cosa potrebbe aver causato l’innalzamento di una tensione già esistente tra il Ruanda e la RDCongo. È ciò che dice un allevatore ruandese del villaggio frontaliero di Kyamabuye, nel distretto di Rubavu, che si trova al confine con la RDCongo.

Quest’agricoltore è stato intervistato da un giornalista congolese dell’Anadolu Agency. «Ieri mattina (mercoledì) quando mi stavo occupando delle mie mucche, sono arrivati alcuni soldati congolesi. Li ho subito riconosciuti dalla loro divisa e dalla loro lingua. Hanno cercato di portare via due delle mie mucche rimaste, perché ne avevano già rubate 14 alcuni mesi fa. Io e i miei vicini di casa abbiamo iniziato a urlare», ha affermato Seth Byumvure, un allevatore di 36 anni e padre di sette figli. «Ho avvisato una pattuglia dell’esercito ruandese. Quando è arrivata, i militari congolesi che erano venuti a rubare le mie mucche sono stati presi dal panico e hanno iniziato a sparare in tutte le direzioni», ha detto Seth, aggiungendo che «allora, i soldati ruandesi hanno risposto agli spari provenienti dai militari congolesi», uccidendo un caporale congolese. I suoi compagni si sarebbero allora ritirati per poi tornare nel pomeriggio a ricuperare il corpo del caporale ucciso, un ritorno che causerà una seconda ondata di scontri, causando la morte di altri quattro militari congolesi.

Questa testimonianza concorderebbe con il tweet della ministra degli Esteri del Ruanda, Louise Mushikiwabo, che ha chiesto alle autorità congolesi di impedire ai loro soldati di attraversare il confine per rubare cibo. Ma Kinshasa nega questa versione dei fatti. Il portavoce del governo, Lambert Mende, afferma che si tratta di dichiarazioni inventate per giustificare, a posteriori, i fatti e conferma la versione di un sequestro di un soldato congolese da parte delle forze ruandesi.[9]

2. QUASI 200 FDLR SI ARRENDONO

a. Trasferiti in un “centro di raggruppamento”

Il 30 maggio, 105 ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) si sono arresi con le loro armi, tra cui 12 armi pesanti, a Kaseku, a cavallo tra i territori di Walikale e di Lubero, a circa 220 chilometri a nord di Goma. Rappresentanti dell’Unione Africana (UA ), dell’Unione Europea (EU), della SADC, degli Stati Uniti e del governo congolese hanno partecipato alla cerimonia della resa. Ufficialmente “non invitata”, la Monusco ha inviato i suoi esperti per “verificare l’effettività della smobilitazione”.

In cambio della loro resa, le FDLR hanno auspicato che la comunità internazionale chieda a Kigali l’organizzazione di un dialogo interruandese inclusivo e sincero, per facilitare il loro ritorno in Ruanda. Essi chiedono inoltre la revoca dell’embargo decretato contro vari dei loro capi. «Continueremo ad arrenderci, se avremo garanzie di sicurezza da parte della SADC. Ora, il nostro obiettivo è quello di trasformare il nostro gruppo armato in un movimento politico», ha dichiarato Victor Biringiro, presidente di un gruppo delle FDLR basato a Walikale. Non è sicuro che Kigali la pensi in quel modo. Per le autorità ruandesi, infatti, le FDLR sono una “organizzazione terroristica”.[10]

Sui 105 ribelli ruandesi che si sono arresi, solo 97 sono stati infine trasferiti dalla Monusco a Kanyabahonga. «Alcuni sono tornati là da dove erano venuti, tra cui il Colonnello Wilson Irategeka, segretario esecutivo ad interim delle FDLR», ha affermato il generale Delphin Kahimbi, supervisore dell’operazione per parte dell’esercito congolese, aggiungendo che, per ora, si sono arresi solo degli “ufficiali subalterni” e nessuno dei grandi capi ricercati da Kinshasa e dalla Corte  Penale Internazionale. «Dietro loro richiesta, “entro 48 ore”, dovranno arrivare, anche le loro famiglie», ha dichiarato  il generale Delphin Kahimbi.

La Monusco dovrà iniziare la procedura di selezione e d’identificazione degli ex combattenti.

Da parte sua, la popolazione del sud di Lubero ha accolto con favore questo gesto delle FDLR, sperando in una diminuzione degli abusi contro la popolazione da parte delle FDLR. Ma la Società Civile di Lubero esita ad esprimersi e aspetta che questo annuncio si materializzi in forma chiara, perché, ha dichiarato, non è la prima volta che le FDLR fanno un annuncio del genere.

Il Generale Abdullah Wafi, numero due della missione della Monusco, ha dichiarato: «Incoraggiamo la procedura che si è avviata, abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse (militari e logistiche), ma ( … ) solo ciò che accadrà nei prossimi giorni potrà determinare la credibilità e l’affidabilità della procedura. Per ora, è troppo presto per dichiarare vittoria».[11]

Il 1° giugno, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i Grandi Laghi Mary Robinson, l’inviato speciale degli Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi e per la RDCongo Russ Feingold, il rappresentante speciale dell’Unione Africana Boubacar Diarra, il rappresentante dell’Unione Europea per la regione dei Grandi Laghi Koen Vervaeke e il Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella RDCongo Martin Kobler, hanno fatto un appello per la resa “completa” dei ribelli hutu ruandesi delle FDLR. Essi hanno dichiarato che «i membri delle FDLR che non si arrenderanno, che non rinunceranno alla violenza e che non aderiranno al programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione, continueranno ad essere oggetto dell’azione militare delle FARDC (l’esercito congolese) e della Monusco», aggiungendo che «i membri delle FDLR che si arrenderanno e che desidereranno ritornare in Ruanda saranno rimpatriati nel quadro del processo di DDR/RR (disarmo, smobilitazione, rimpatrio, reintegrazione e reinserimento) esistente nel loro paese». Gli inviati speciali e il capo della Monusco chiedono al governo congolese di consegnare alla giustizia tutti coloro che hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità».[12]

Il 1° giugno, in un comunicato, la Società Civile del Nord Kivu ha espresso i suoi dubbi circa la reale volontà delle FDLR di arrendersi e ha fatto notare che, nel solo Nord-Kivu ci sarebbero ancora circa 1.500 combattenti hutu delle FDLR. Il portavoce della società civile del Nord Kivu, Omar Kavota, teme che le FDLR si costituiscano in nuove milizie. Il rischio è che il gruppo delle FDLR possa annunciare di non esistere più quando, in realtà, si è già trasformato in milizie locali. La Società Civile del Nord Kivu ha quindi chiesto al governo e alla Monusco di «cominciare le operazioni militari previste contro le FDLR e di prendere in considerazione, se necessario, la creazione di un corridoio umanitario per evacuare coloro che, nel corso delle operazioni, si arrenderanno».[13]

Il 4 giugno, il capo della Monusco, Martin Kobler, ha lanciato un ultimo appello ai membri delle FDLR ad accettare un disarmo volontario, sotto pena di esservi costretti con la forza dalle truppe della Monusco e dell’esercito congolese.[14]

L’8 giugno, 84 miliziani delle FDLR e 225 membri delle loro famiglie si sono arresi a Kitogo, nel territorio di Mwenga (Sud Kivu). Saranno indirizzati al sito di raggruppamento provvisorio di Walungu.[15]

Notevolmente indebolite, i membri delle FDLR dovrebbero essere circa 1.500, secondo le Nazioni Unite, ma Kigali avanza la cifra di 4.000 membri. Sono per lo più sparsi nel Nord e Sud Kivu, dove sono accusati di commettere gravi soprusi contro i civili (stupri, omicidi, saccheggi, reclutamento di bambini …). Secondo altre fonti, i membri delle FDLR (combattenti e civili) sarebbero circa 5.600, 800 nel Nord Kivu e 600 nel Sud Kivu, cui si aggiungerebbero circa 4.200 famigliari. Il capo delle FDLR, Sylvestre Mudacumura, ricercato dalla Corte penale internazionale (CPI) per crimini di guerra, è tuttora latitante.

Verso la fine del 2013, le FDLR avevano annunciato che avrebbero deposto le armi, qualora si aprissero dei negoziati con il Ruanda. Ma Kigali ha sempre rifiutato tale possibilità.

Il 18 aprile, le FDLR hanno infine annunciato di voler rendere le armi e consegnare degli “importanti ex-combattenti” alla Comunità per lo Sviluppo dell’Africa australe (SADC), per “dedicarsi alla lotta politica”.[16]

Da un certo tempo, i ribelli hutu ruandesi delle FDLR sono sotto pressione internazionale.

Intanto, in un silenzio incomprensibile, la stessa comunità internazionale tace su Kigali, cui le FDLR chiedono di aprire dei negoziati inter-ruandesi. Una condizione che le autorità ruandesi non hanno mai voluto accettare. Le autorità ruandesi non sono oggetto di alcuna pressione per spingerle ad aderire alla richiesta delle FDLR, quella di un dialogo inter-ruandese. È il motivo per cui le FDLR sono riluttanti a ritornare in Ruanda. Chi può accettare di andare in un paese, anche se fosse il proprio, in cui le condizioni di accoglienza non sono state chiarite? Nessuno è pronto ad andare in un paese in cui la sua vita potrebbe essere in pericolo. Per risolvere la questione delle FDLR, gli alleati tradizionali del Ruanda, tra cui gli Stati Uniti e l’Inghilterra, dovrebbero insistere affinché le autorità ruandesi accettino di dialogare con le FDLR, per facilitare ai loro membri il ritorno in Ruanda.[17]

b. Per essere inviati in un “centro di permanenza temporanea”

Secondo il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, «l’obiettivo è quello di ottenere la resa di 1.400 membri delle FDLR, 800 nel Nord Kivu e altri 600 nel Sud Kivu, accompagnati dai loro familiari (circa 5.000 persone), di raggrupparli a Walikale, ad ovest di Goma, per continuare la procedura di disarmo e smobilitazione e di trasferirli, poi, in un centro di “permanenza temporanea” a Irebu, nella provincia dell’Equateur, nell’ovest della RDCongo, dove potranno scegliere di “tornare in Ruanda o di chiedere asilo». Alla domanda sul perché trasferirli all’ovest della RDC, Julien Paluku ha risposto che «è per non dare un “pretesto” a Kigali che, vedendoli rimanere nell’est, potrebbe accusare la RDC di “riorganizzare” le FDLR, per attaccare il Ruanda».[18]

L’11 giugno, il Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite responsabile delle operazioni nell’est della RDCongo, il generale Abdallah Wafy, ha dichiarato che i ribelli ruandesi delle FDLR che non vogliono essere rimpatriati saranno temporaneamente raggruppati in un campo militare a Irebu, nella provincia dell’Equateur, in attesa di essere inviati in un Paese che li accolga. «Per coloro che non vogliono tornare in Ruanda, si provvederà, per ovvie ragioni di sicurezza, ad allontanarli dalla frontiera con il Ruanda, nell’attesa che si possa trovare una loro destinazione finale, affinché possano lasciare la RDCongo», ha affermato il generale Wafy, aggiungendo che la Monusco continuerà a fornire il suo appoggio ai membri delle FDLR che vogliono tornare nel loro paese. Ha quindi spiegato che sono in corso dei contatti con le autorità ruandesi, per facilitare il loro rimpatrio volontario.[19]

c. Ma la popolazione chiede il loro rimpatrio immediato e diretto in Ruanda

Il 6 giugno, in un comunicato stampa, la Società Civile Walikale si è detta contraria all’accantonamento dei membri delle FDLR nel centro di raggruppamento di Walikale, perché si sono resi responsabili di molti casi di violazioni dei diritti umani, tra cui: stupro delle donne, saccheggio dei beni della popolazione e delle risorse naturali, incendi di villaggi, occupazione militare del territorio e monopolio del potere (tradizionale e giudiziario …).

Per questi motivi, la Società Civile di Walikale chiede il rimpatrio immediato e diretto in Ruanda di questi elementi, senza passare attraverso un qualsiasi centro di transit, tanto meno per il centro di raggruppamento di Walikale.[20]

Il 10 giugno, in una dichiarazione a Kinshasa, i deputati nazionali della provincia dell’Equateur si sono opposti al trasferimento, nella loro provincia, dei ribelli delle FDLR che hanno volontariamente deposto le armi nel Kivu. Questi deputati affermano di temere che la presenza degli ex miliziani delle FDLR possa incrementare l’insicurezza nella loro provincia.[21]

Il 14 giugno, il coordinamento provinciale della società civile dell’Equateur ha organizzato una marcia per protestare contro il trasferimento, in questa provincia, dei ribelli ruandesi delle FDLR che depongono le armi nel Nord Kivu e che non vogliono tornare nel loro paese. Secondo il coordinatore della società civile, Torro Mbangi, questi ribelli dovrebbero essere rimpatriati nel loro paese di origine o messi in carcere «per i crimini, gli stupri, i saccheggi e altre atrocità che hanno commesso contro le popolazioni dell’est della RDCongo».[22]

d. Troppo presto per dichiarare vittoria

Il 17 giugno, la Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (Monusco) ha espresso viva preoccupazione per le violazioni dei diritti umani commesse dai ribelli hutu ruandesi delle FDLR/Foca, soprattutto in alcune zone di Walikale, Lubero e Rutshuru, nel Nord Kivu. Tra le violazioni dei diritti umani, la Monusco cita arresti arbitrari, furti di prodotti agricoli, minacce di morte, incendi di villaggi e torture fisiche. «I responsabili di questi atti, individuati come FDLR/Foca, hanno tuttavia dichiarato di aderire al processo di pace», ha deplorato il capo ufficio della missione dell’ONU, Ray Virigilio, che ha chiesto a questi ribelli hutu ruandesi di porre immediatamente fine a queste angherie commesse contro la popolazione civile: «Se le FDLR dichiarano di impegnarsi per la pace, devono mettere fine a questi abusi».[23]

Il 17 giugno, durante la notte, almeno nove case sono state bruciate e molte altre derubate nei villaggi di Kisharu, Kiseguru e Buramba, a circa 40 chilometri a nord-est del capoluogo del territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Questi uomini armati hanno dapprima costretto le persone a uscire dalle loro case, poi le hanno saccheggiate e bruciate.

Secondo la società civile, alcuni contadini di Nyamitwitwi, mentre ritornavano a casa dai campi, hanno visto dei banditi che trasportano le loro cose saccheggiate ed affermano di averli identificati come ribelli ruandesi delle FDLR. L’amministratore di Rutshuru conferma questa informazione e ritiene che questi attacchi sarebbero un atto di ritorsione dopo lo smantellamento effettuato dall’esercito regolare, la settimana precedente, delle basi delle FDLR nei villaggi di Nyabanira, Makoka e  Kasave.[24]

3. MASSACRO A MUTARULE

a. L’orrore

Nella notte dal 06 al 07 giugno, a Mutarule, una località del raggruppamento di Luberizi, nella pianura del Rusizi (Sud Kivu), nei pressi della frontiera con il Burundi, 38 persone sono state uccise da uomini armati non identificati. Altre 24 sono rimaste ferite. Uomini armati hanno assediato il luogo di preghiera della Chiesa locale dell’8ª CEPAC (Comunità delle Chiese Pentecostali dell’Africa Centrale) e hanno sparato contro i fedeli presenti. Altri uomini armati dello stesso gruppo hanno attaccato anche un centro sanitario e alcune case private. Anche in agosto 2013, altre 8 persone di questa località erano state uccise da uomini armati sconosciuti.[25]

Secondo varie fonti, si tratterrebbe di una vendetta in seguito a un furto di bestiame e conclusasi con un massacro. Sembra che tutto sia cominciato quando un capo di un gruppo armato locale Maï-Maï ha rubato sei mucche ad un membro di una comunità etnica che vive a Mutarule. Per vendetta, quest’ultimo è ricorso a dei miliziani provenienti dal Burundi per impossessarsi di 80 bovini appartenenti all’etnia del capo del gruppo armato Maï-Maï. Ne è seguita una sparatoria tra miliziani e Maï-Maï. Poi si è scatenata la violenza. In serata, uomini armati sono arrivati a Mutarule. Hanno ucciso dei fedeli presenti nella chiesa protestante, degli abitanti nelle loro case e dei pazienti di un centro sanitario. Le vittime, tra cui 9 bambini e 14 donne, tutte appartenenti al gruppo etnico autoctono dei Bafuliru, sono state assassinate con armi da fuoco e armi bianche. Alcune sono decedute in seguito all’incendio delle loro case.[26]

Esiste un conflitto tra i Bafuliru da un lato e i Barundi e una parte dei Banyamulenge dall’altro, per questioni relative alla proprietà delle terre e all’autorità tradizionale. I Bafuliro sono autoctoni, originari del luogo. I Barundi e i Banyamulenge si sono installati nel Sud Kivu da diverse generazioni ma provengono rispettivamente dal Burundi e dal Ruanda. I Bafuliro vivono nella piana del Rusizi e i Barundi e i Banyamulenge sugli altopiani. I Bafuliro non li considerano come veri Congolesi e li accusano di usurpare le loro terre.[27]

b. Furti di bestiame, intrighi di potere e connessioni internazionali

Secondo l’Associazione Contro il Male e per l’Inquadramento della Gioventù (ACMEJ), un’organizzazione per la difesa dei diritti umani, nella zona della pianura del Rusizi, il vero problema è un conflitto di potere alimentato da alcuni politici in malafede, in vista dei propri interessi. In una sua dichiarazione, ACMEJ si dice sorpresa del fatto che alcuni abbiano presentato la strage di Mutarule come un atto di vendetta perpetrato da una comunità etnica contro un’altra in seguito ad un furto di bestiame. ACMEJ ricorda che il venerdì 6 giugno, verso le ore 14:00 e a 5 km dal villaggio di Mutarule, uomini armati sconosciuti hanno attaccato un gruppo di Maï-Maï che si sono impossessati di alcune mucche appartenenti a dei membri della comunità Bafuliru e non alla comunità dei Barundi.

I Maï-Maï non sono riusciti ad identificare i loro aggressori. Chi erano e da dove venivano?

In questa zona della pianura del Rusizi, ci sono dei ribelli burundesi del Fronte Nazionale di Liberazione (FNL) burundesi.

Prima del massacro, in prossimità di Muaba e Ndunda, sono stati visti dei giovani armati denominati “Imbonerakure”.

Tra gli “Imbonerakure” che si addestrano nella pianura del Rusizi ci sono degli ex militari smobilitati del FDD, un partito burundese, altri erano militari alleati del RCD-Goma in Congo. Alcuni di loro conoscono molto bene la pianura del Ruzizi e i suoi dintorni. Sul versante congolese, si trovano nella foresta di Rukoko, difficili da raggiungere e, quindi, possono fare quello che vogliono. La maggior parte dei “Imbonerakure” sono degli Burundesi hutu, altri sono vissuti nella pianura del Ruzizi come cittadini Barundi. C’è da chiedersi se non si tratta di una forza di riserva al servizio del partito al potere in Burundi.

Gli aggressori dei Maï-Maï sono membri di queste milizie straniere? A meno che le forze governative (esercito e polizia) dichiarino che sono state loro ad attaccare i Maï-Maï.
Quindi, ACMEJ chiede a tutti di non cadere nella trappola di interpretazioni etniche troppe affrettate, con il rischio di nascondere gli interessi di qualcuno. Con la popolazione di Mutarule, ACMEJ ribadisce la sua richiesta di un’inchiesta, a livello nazionale e internazionale, sul massacro.

ACMEJ ha da tempo affermato che la soluzione a questo conflitto intercomunitario sarebbe di trasformare questa entità amministrativa (chefferie) in settore, i cui animatori sarebbero quindi eletti direttamente dal popolo, il che potrebbe contribuire a disinnescare le tensioni.

Secondo alcune voci che circolano tra la popolazione e non ancora verificate, gli autori del massacro sarebbero dei terroristi Barundi al soldo di un certo Richard Niyijimbere e sarebbero armati dal generale Patrick Masunzu, comandante della regione militare del Sud Kivu. Essi avrebbero rubato anche più di 350 mucche. Da qualche tempo, questi terroristi vivono nel campo base costruito dall’Ong ADRA per i rifugiati tutsi di Vyura (Kalemie), a circa1 km dal luogo del massacro.
Secondo la popolazione, i Banyamulenge e i Barundi, con la complicità di alcune autorità politiche e militari congolesi, starebbero tramando per cacciare definitivamente i Bafuliru, popolazione autoctona, dalla pianura del Ruzizi, per occuparla completamente e farne un’entità amministrativa propria perché, nella RDCongo, non ne hanno nessuna.[28]

[1] Cf Radio Okapi, 11.06.’14; AFP – Africatime, 11.06.’14

[2] Cf RFI, 11-12.06.’14

[3] Cf RFI – Africatime, 13.06.’14

[4] Cf AFP – Africatime, 13.06.’14

[5] Cf Radio Okapi, 16.06.’14

[6] Cf AFP – Africatime, 14.06.’14

[7] Cf Marc Jourdier – AFP – Africatime, 16.06.’14

[8] Cf Albert Kambale – AFP – Africatime, 16.06.’13

[9] Cf RFI, 14.06.’14 ; Gaïus Kowene – Francine Mokoko Anadolu Agency / Kigali – Kinshasa, 12.06.’14 http://www.aa.com.tr/fr/u/344356–rdc-rwanda-des-quot-vaches-quot-au-coeur-des-affrontements

[10] Cf Radio Okapi, 30.05.’14; AFP – Africatime, 30.05.’14; Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 30.05.’14

[11] Cf AFP – Africatime, 31.05.’14

[12] Cf AFP – Africatime, 02.06.’14

[13] Cf AFP – Africatime, 02.06.’14

[14] Cf Radio Okapi, 04.06.’14

[15] Cf Radio Okapi, 09.06.’14

[16] Cf AFP – Africatime, 31.05.’14

[17] Cf Kléber Kungu – L’Observateur – Africatime, 03.06.’14

[18] Cf AFP – Africatime, 31.05.’14

[19] Cf Radio Okapi, 11.06.’14

[20] Corrispondenza privata

[21] Cf Radio Okapi, 11.06.’14

[22] Cf Radio Okapi, 14.06.’14

[23] Cf Radio Okapi, 17.06.’14

[24] Cf Radio Okapi, 18.06.’14

[25] Cf Radio Okapi, 07.06.’14

[26] Cf Latifa Mouaoued – RFI, 07.06.’14

[27] Cf AFP – Africatime, 10.06.’14

[28] Cf 7sur7.cd – Uvira, 10.06.’14 http://7sur7.cd/index.php/component/content/article/8-infos/5946-massacre-de-mutarule-une-commission-d-enquete-parlementaire-a-pied-d-oeuvre#comment-23062