Congo Attualità n. 325

INDICE

EDITORIALE: I MASSACRI DEL KASAI → SINTOMI DELLA CRISI POLITICA

  1. IL KASAÏ ANCORA IMMERSO NELLE VIOLENZE
  2. LA DICHIARAZIONE DEI VESCOVI MEMBRI DELL’ASSEMBLEA EPISCOPALE PROVINCIALE DI KANANGA
  3. L’APERTURA DEL PROCESSO CONTRO I MILITARI PRESUNTI AUTORI DELLA MATTANZA DI MWANZA LOMBA
  4. UN “GRUPPO DI ESPERTI INTERNAZIONALI” PER IL KASAI

 

EDITORIALE: I MASSACRI DEL KASAI → SINTOMI DELLA CRISI POLITICA

 

 

 

 

1. IL KASAÏ ANCORA IMMERSO NELLE VIOLENZE

 

Il 19 giugno, in una nota tecnica sulle violenze commesse nel Gran Kasai e, più in particolare, sui danni subiti dalle istituzioni ecclesiastiche, la Nunziatura Apostolica in RDCongo evoca, dal 13 ottobre 2016 (data del primo attacco a una parrocchia), la cifra di 3.383 “morti segnalati” e diverse strutture ecclesiastiche danneggiate o chiuse, tra cui 60 parrocchie, 34 case religiose, 31 centri sanitari cattolici, 141 scuole cattoliche, 5 seminari e 1 vescovado distrutto. La nota precisa inoltre che sono stati “completamenti distrutti” 20 villaggi, tra cui “10 dalle FARDC (l’esercito congolese), 4 dai miliziani e 6 da ignoti”. La nota riferisce di 30 fosse comuni, invece delle 42 segnalate dalle Nazioni Unite e di 3.698 case private incendiate o distrutte.[1]

 

a. Atti di violenza attribuiti alla milizia Kamwina Nsapu

 

Dall’inizio dell’anno, a Luiza e a Kazumba, nella provincia del Kasai centrale, una ventina di capi tradizionali sono stati decapitati da persone che affermano di appartenere alla milizia Kamuina Nsapu. A queste vittime si devono aggiungono anche altre persone, il cui numero rimane ancora sconosciuto. Le autorità tradizionali invitano gli abitanti di questa provincia a dissociarsi dagli autori di questi crimini e a promuovere la pace, per permettere lo svolgimento dell’operazione di registrazione degli elettori.[2]

 

Il 3 giugno, dei presunti miliziani Kamwina Nsapu hanno decapitato il capo tradizionale Mupoyi Mwanangana del raggruppamento Bena Kambulu (villaggio Luvula) e due suoi figli. Bena Kambulu si trova a 130 km a sud di Tshikapa, nel Kasai. Lo stesso giorno, i miliziani hanno decapitato anche un insegnante della scuola elementare del villaggio. Secondo un membro della società civile locale, la milizia Kamwina Nsapu controlla tutto il settore di Kasadisadi.[3]

 

Il 9 giugno, nel corso della mattinata, degli uomini armati non identificati hanno ucciso Kalala Muzembe, capo del raggruppamento di Bena Mpunga, nella chiefdom di Bakwa Kalonji, nel Kasai orientale. Secondo il presidente della società civile di Tshilenge, Jean-Claude Ngandu, «una ventina d’uomini armati sono arrivati a Bena Mpunga. Dapprima hanno incendiato le capanne del villaggio. Si sono poi recati dal capo del raggruppamento di Bena Mpunga, Kalala Muzemba. Quando quest’ultimo si è affacciato sulla porta, uno di loro ha sparato contro di lui, causandone la morte immediata. Chi gli ha sparato è un figlio di suo fratello. Un suo nipote, quindi, ma anche suo rivale, in quanto egli stesso aspira ad essere lui il capo tradizionale locale». Il presidente della società civile ha peraltro chiesto alle autorità locali di prendere tutte le misure necessarie e urgenti per garantire la sicurezza della popolazione locale e di impegnarsi a porre fine alle tensioni sociali relazionate alla contestazione del potere  tradizionale nella zona di Bakwa Kalonji.[4]

 

Il 10 giugno, a Diboko Kalala, una località del territorio di Luiza (Kasai-centrale), sono state  decapitate dodici persone provenienti dal territorio di Kapanga (Lwalaba). Secondo fonti locali, le vittime erano andate a Luiza per sensibilizzare i giovani della zona affinché abbandonassero  le file della milizia Kamwina Nsapu e promuovessero il ritorno della pace. Alcuni miliziani che non hanno visto di buon occhio questa iniziativa hanno circondato i dodici nuovi arrivati e li hanno decapitati. Fonti sul posto hanno dichiarato che, in seguito a questo incidente, l’esercito ha lanciato un’offensiva contro la milizia.[5]

 

Il 15 giugno, la società civile ha rivelato che tre giovani che, nel territorio di Tshilenge, Kasai orientale,  tre giovani, dipendenti di un centro di registrazione della Commissione elettorale, risultano dispersi da più di dieci giorni. Secondo il presidente della società civile di Tshilenge, Jean-Claude Ngandu, i tre giovani sarebbero stati sequestrati da miliziani di Kamuina Nsapu. I tre agenti della Commissione elettorale lavoravano nel centro di iscrizione della scuola elementare di Dinsanga, nel raggruppamento di Bena Tshiswaka. Secondo Jean-Claude Ngandu, «quando hanno saputo che il loro villaggio sarebbe stato attaccato dai miliziani, hanno tentato di fuggire. È all’uscita dal villaggio che si sono trovati di fronte ai miliziani che stavano arrivando. Sono stati catturati dai miliziani e condotti verso una destinazione finora sconosciuta».[6]

 

Il 21 giugno, dei presunti miliziani Kamwina Nsapu hanno decapitato due agenti dei servizi segreti militari e ne hanno feriti nove con dei machete a Nsaka Simon (Kasai centrale), un villaggio situato a 50 chilometri a sud della città di Luiza (territorio Luiza). Secondo fonti locali, le vittime si stavano recando a Masuika, a 350 chilometri a sud di Kananga. Il capo del settore di Loatshi, che ha confermato la notizia, ha attribuito l’attacco alla milizia Kamwina Nsapu. L’esercito, che sta effettuando un’operazione di “rastrellamento” sulla strada per Masuika, non h ancora confermato o smentito i fatti.[7]

 

Il 24 giugno, in seguito all’incendio di più di una sessantina di case per opera di presunti miliziani Kamuina Nsapu, gli abitanti del raggruppamento di Bena Mpunga, nel territorio di Tshilenge (Kasai-orientale), hanno abbandonato i loro villaggi. Il presidente della società civile di Tshilenge, Jean-Claude Ngandu, ha precisato che i miliziani hanno attaccato il raggruppamento verso le 14h00 (ora locale): «Al loro arrivo, gli agenti di polizia presenti sul posto sono fuggiti e i miliziani hanno incendiato più di sessantasei case». Questo attacco ha costretto le persone a lasciare i loro villaggi e a rifugiarsi nella foresta e nelle zone circostanti. Il governatore Ngoyi Kasanji si è recato a Bena Mpunga lo stesso giorno dopo l’attacco e ha deciso di rinforzare la sicurezza, mandando alcuni militari in appoggio agli agenti di polizia già presenti.[8]

 

b. Atti di violenza attribuiti a membri dell’esercito e alle autorità

 

Il 20 giugno, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha accusato le autorità della Repubblica Democratica del Congo di armare una milizia che commette “orribili attacchi” contro le popolazioni civili del Kasai. «Sono inorridito per la creazione e l’armamento di una milizia, i Bana Mura, che appoggerebbe le autorità nella lotta contro la ribellione Kamwina Nsapu ma che sta perpetrando degli orribili attacchi contro le popolazioni civili dei gruppi etnici Luba e Lulua», ha dichiarato Zeid Ra’ad Al Hussein in occasione della riunione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani a Ginevra. Secondo un portavoce delle Nazioni Unite, l’Alto Commissario per i diritti umani non  ha detto chiaramente quali sono le autorità che appoggerebbero questa milizia. Preoccupato per le notizie relative alle atrocità commesse e date le difficoltà e gli ostacoli incontrati per entrare nel Kasai, l’Alto Commissario ha deciso, la settimana precedente, di inviare un gruppo di osservatori nei paesi limitrofi alla RDCongo per incontrarvi i rifugiati fuggiti dalle violenze del Kasai.

In seguito ai rapporti ricevuti, Zeid Ra’ad Al Hussein a dichiarato che «i rifugiati fuggiti da diversi villaggi del territorio di Kamonya hanno indicato che, nel corso degli ultimi due mesi, i Bana Mura hanno ucciso, mutilato o bruciato varie centinaia di abitanti, compresi dei bambini di due anni e distrutto interi villaggi. Nel villaggio di Cinque, la milizia sarebbe stata creata da un capo locale ben noto che ha fornito dei machete, dei fucili da caccia e del carburante. Sembra che, negli ultimi due mesi, attacchi simili si siano verificati in più di 20 villaggi del territorio di Kamonya».

Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite, molte vittime e testimoni hanno affermato che «la milizia è organizzata e armata da delle autorità locali. Anche degli agenti dello Stato sono implicati nell’armamento e nella direzione della milizia, Infatti, durante gli attacchi dei Bana Mura, erano presenti anche dei membri delle unità locali dell’esercito e della polizia congolese e dei capi tribali tradizionali».

Secondo Thierry Monsenepwo, Presidente della Lega Giovanile della Convenzione dei Congolesi Uniti (CCU) e membro della maggioranza presidenziale, «l’Onu sarebbe in possesso di informazioni sbagliate, perché il nome di “bana Mouras” è quello attribuito a un ramo dell’esercito congolese che è stato formato precisamente a Moura. Non si tratta quindi di una milizia».[9]

 

Il 22 giugno, la deputata nazionale Eugénie Tshika Mulumba ha denunciato l’erezione di barriere tra la città di Mbuji-Mayi e il Territorio di Kabeya Kamwanga (Kasai Orientale), da parte di agenti dei servizi di sicurezza alla ricerca di miliziani Kamuina Nsapu. Secondo lei, le autorità dovrebbero porre fine a questa pratica, considerata come “un’angheria”. Ella ha affermato che «i militari addetti a questi posti di blocco molestano le persone in transito, incendiano le case saccheggiate e vi rubano anche il poco che vi trovano … Sulla strada tra Mbuji-Mayi e Munkamba, ci sono almeno dieci barriere e ogni persona in transito deve pagare 1.000 FC (6,66 $) e se non hai i soldi, ti picchiano. Anche quelli che viaggiano in camion, devono scendere e pagare». Eugénie Tshika Mulumba è stata eletta a Kabeya Kamwanga, nella lista dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS).[10]

 

c. Alcuni segni di speranza

 

L’8 giugno, a Kananga, l’esercito ha presentato al governatore ad interim del Kasai Centrale una certa quantità di “armi recuperate dalle mani dei miliziani Kamwina Nsapu“.

Il Generale Marcellin Issa Assumani, comandante del settore operativo, ha presentato un arsenale composto di 1.500 calibri da caccia, 268 Ak 47, 78 Gp, 72 fucili automatici d’assalto, 7 lanciarazzi, 7 scatole contenenti delle cartucce da caccia e delle munizioni da guerra. Questo materiale sarebbe stato trovato  in diverse località del Gran Kasai. Oltre a questo arsenale di armi, l’esercito ha ricuperato anche 11 moto e 4 veicoli, tra cui un camion militare.

Il vice Governatore Justin Milonga ha affermato che quest’atto è il risultato di un processo di “pacificazione dello spazio Gran Kasai” e ha colto l’occasione per chiedere ai miliziani di “consegnarsi alle autorità”. Questo punto di vista è stato condiviso anche dal generale Assumani, che ha parlato di un “ritorno progressivo alla normalizzazione della situazione del Kasai”.[11]

 

Il 14 giugno, a Nganza, novantasette (97) miliziani Kamuina Nsapu si sono arresi alle autorità del Kasai centrale. I miliziani hanno consegnato 4 fucili, tra cui 1 Kalashnikov, 1 fucile calibro 12, 2 fucili da caccia, una decina d’armi bianche e degli amuleti. Il governatore ad interim del Kasai centrale, Justin Milonga, si è detto soddisfatto di questo gesto che, secondo lui, contribuisce a consolidare la pace e ha consegnato ad ogni ex miliziano una certa quantità di soldi come ricompensa. Questi 97 miliziani si aggiungono agli altri 680 che avevano già deposto le armi prima di loro.[12]

 

Il 23 giugno, il vice governatore del Kasai Orientale, Jean-Pierre Mutanda, ha annunciato che «i tre dipendenti della Commissione elettorale nazionale Indipendente, sequestrati da presunti miliziani Kamuina Nsapu da oltre due settimane, saranno di ritorno entro quarantotto ore». Tuttavia, egli non ha fornito alcun dettaglio sulla loro liberazione.[13]

 

 

2. LA DICHIARAZIONE DEI VESCOVI MEMBRI DELL’ASSEMBLEA EPISCOPALE PROVINCIALE DI KANANGA

 

Il 31 maggio, in una dichiarazione, i Vescovi membri dell’Assemblea Episcopale Provinciale di Kananga (ASSEPKA) hanno affermato che, «sin dall’indipendenza, lo Stato congolese si è scarsamente interessato dello sviluppo del Kasayi. Le frustrazioni e la disperazione, conseguenze di questa emarginazione e di una cattiva amministrazione, si sono aggravate con l’apparizione del fenomeno Kamwina-Nsapu e con una sua eccessiva repressione da parte delle forze dell’ordine. Credenze e pratiche di stregoneria che attirano buona parte dei cittadini, il reclutamento di bambini e giovani nei gruppi armati, i massacri di molti compatrioti da parte sia dei sostenitori del Kamwina Nsapu che delle Forze dell’ordine, la distruzione di strutture ed edifici pubblici, l’incitamento agli antagonismi etnici, le intimidazioni e la generalizzazione dell’insicurezza, la fuga obbligata di diverse migliaia di persone, l’ostilità contro la Chiesa cattolica, che si manifesta attraverso dei maltrattamenti nei confronti di agenti pastorali e la distruzione di chiese, scuole, centri sanitari, ospedali, conventi … sono tanti fattori negativi che disintegrano i fondamenti spirituali, sociali e materiali della società».

Secondo i vescovi, «questa crisi è politica e la si può risolvere solo con l’avvento di un vero e proprio stato di diritto». Perciò esortano i dirigenti del paese e delle loro province a un vero amore per la patria: «Il loro dovere è quello di cercare il benessere della popolazione, risolvendo le cause profonde della povertà». A questo proposito, essi si dicono convinti che «la piena attuazione dell’accordo politico globale e inclusivo del Centro interdiocesano di Kinshasa, promosso dalla CENCO, è la via migliore per riconciliare il paese e porre le basi per un futuro rassicurante per tutti». Secondo i vescovi, «le false soluzioni messe in atto non contribuiscono al bene comune e non fanno che aumentare la sofferenza del popolo. La via scelta dai sostenitori di Kamwina-Nsapu è un vicolo cieco. Non è attraverso la violenza, né attraverso la cultura della morte che può si contribuire alla democratizzazione e allo sviluppo del Paese». Pertanto, essi chiedono a tutti quelli che hanno preso le armi di «ritornare alla ragione, rinunciare all’odio e alla violenza e impegnarsi sulla via della pace».

I Vescovi chiedono alla Giustizia di «accertare le responsabilità e punire i colpevoli». Per quanto riguarda l’esistenza di fosse comuni nella regione, essi ritengono che sia necessario e urgente «intraprendere un’inchiesta indipendente per far luce sui massacri commessi».

Infine, secondo i vescovi, «è indispensabile che i governanti si impegnino a creare le condizioni di sicurezza che possano permettere a tutta la popolazione del Kasayi di iscriversi nelle liste degli elettori e di partecipare al processo elettorale, ciò che è necessario per l’avvento dello Stato di diritto. Qualsiasi ostacolo posto a questo processo priverà la popolazione della possibilità di rinnovare la classe politica congolese e di scegliersi i propri governanti».[14]

 

 

3. L’APERTURA DEL PROCESSO CONTRO I MILITARI PRESUNTI AUTORI DELLA MATTANZA DI MWANZA LOMBA

 

Il 5 giugno, presso il tribunale militare provinciale di Mbujimayi, capitale del Kasai Orientale, si è aperto il processo in primo grado di nove militari dell’esercito congolese accusati di aver commesso dei massacri ai danni della popolazione civile di Mwanza Lomba, più precisamente di Bena Tshikasu, un villaggio situato nel territorio di Miabi (Kasai orientale).

Sul banco degli imputati: sette militari delle forze armate congolesi. Due, ancora latitanti, sono processati in loro assenza. Otto di loro sono accusati di crimini di guerra per omicidio, atti di mutilazione e trattamento crudele, disumano e degradante. Un nono militare è accusato di non avere denunciato un reato di competenza di giurisdizioni militari. Sarebbe il primo ad aver ricevuto il video della mattanza di Mwanza Lomba sul suo cellulare. Tutti questi reati sono punibili secondo l’articolo 223.3 della legge Nº 15/022 del 31 dicembre 2015, che modifica e completa il codice penale militare congolese. L’udienza del 5 giugno è stata dedicata principalmente alla identificazione degli imputati e alla lettura dei rispettivi capi di accusa. Alla presenza dei giudici, degli avvocati e degli imputati, si è proceduto alla proiezione, a porte chiuse, del video relativo al massacro di Mwanza Lomba. A questo proposito, i militari erano a conoscenza del video?

Le risposte sono contraddittorie. L’autore sostiene di aver informato i suoi colleghi e di averglielo addirittura mostrato. Falso, replicano gli altri.

Il 18 marzo, il revisore generale dell’esercito congolese, il generale Joseph Ponde Issambwa, aveva già annunciato che sette sospetti, tutti membri dell’esercito nazionale, erano stati arrestati in seguito alla divulgazione, su internet, di un video che presentava dei militari appartenenti all’esercito mentre stavano uccidendo dei seguaci di Kamuina Nsapu. Egli si era così espresso: «In seguito a questo video, abbiamo arrestato sette sospettati, tutti membri dell’esercito. Si tratta del maggiore Nyembo, che comandava le operazioni, del maggiore Bitshunda Pitshou Martin, vice comandante delle operazioni, del capitano Seraphin Palimbio, capo della prima sezione durante le operazioni, del tenente Silavuvu Dodokolo, fuciliere durante le operazioni, dell’aiutante capo Mohindo che, benché non abbia fatto parte della spedizione, è stato però trovato in possesso di una copia del video trasmessagli dal Sergente Maggiore Mameno Katembo, anche lui fuciliere della prima sezione, autore della registrazione del video e dell’aiutante di seconda classe, maresciallo Amani, fuciliere della prima sezione».[15]

 

Il 9 giugno, appena quattro giorni dopo l’inizio del processo, l’udienza dovrebbe essere dedicata alla requisitoria della procura della e all’esposizione della difesa.

Durante i primi due giorni del processo, l’accusa ha interrogato gli imputati. Il Maggiore Urbain Nyembo Bwanamoya, comandante delle operazioni, ha ammesso che i suoi militari avevano ucciso degli uomini e delle donne, ma si è rifiutato di riconoscerli come “civili“. Secondo lui, si tratta di “miliziani“. Si è detto incapace di dire quante persone siano state uccise. Ha insistito sul fatto che la 21ª regione miliare li aveva mandati nella zona di Mwanza Lomba, nel Kasai centrale, per neutralizzare i seguaci del capo tribale Kamuina Nsapu. Gli avvocati della difesa, che avevano chiesto più tempo per studiare il dossier, non sono stati ascoltati.[16]

 

Il 14 giugno, durante l’udienza del processo dei militari accusati della mattanza di Mwanza Lomba, nel Kasai-orientale, gli imputati hanno affermato di aver ucciso sette persone e di averle immediatamente sepolte fuori del villaggio. Il tribunale militare ha loro chiesto perché non hanno lasciato che fossero i familiari delle vittime a seppellire i cadaveri con dignità. Un imputato, il maggiore Nyembo, comandante delle operazioni di Mwanza Lomba, ha risposto che è la prassi normale e ha portato l’esempio di altre operazioni cui ha partecipato, tra cui quelle di Moba, nell’ex Katanga e quelle dell’est del  paese. Interrogati su questo tema, degli esperti dello Stato Maggiore dell’esercito, che si sono schierati dalla parte della difesa, hanno spiegato che la prassi militare normale è quella di seppellire immediatamente i corpi di qualsiasi persona morta sul campo di combattimento, sia per motivi di igiene pubblica, sia per non compromettere il morale delle truppe che arrivano in rinforzo. Il tribunale militare del Kasai orientale ha deciso, su richiesta della difesa, un sopralluogo a Mwanza Lomba, dov’è stato commesso il presunto massacro. La Corte ritiene infatti che, per una corretta istruzione del caso, sia utile recarsi personalmente a Mwanza Lomba. Da parte sua, l’accusa ritiene che sia superfluo recarsi a Mwanza Lomba. Secondo il Pubblico Ministero infatti, la corte e la difesa possono sempre consultare i rapporti degli esperti che vi si erano recati, dopo la pubblicazione sui social network del video in cui si vedono degli uomini in divisa militare, presentati quindi come soldati congolesi, mentre stanno uccidendo dei presunti sostenitori del capo tradizionale Kamuina Nsapu.[17]

 

Il 24 giugno, il tribunale militare di Mbuji-Mayi (Kasai Orientale) ha abbandonato le accuse di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità formulate precedentemente contro i sette militari accusati per il massacro di persone civili a Mwanza Lomba. L’avvocato della difesa, Jimmy Bashile, ha affermato che, «secondo la decisione del tribunale, i sette imputati non saranno perseguiti che per reati di diritto interno, cioè per omicidio, dissipazione di munizioni e oltraggio al buon comportamento».

L’avvocato difensore, Jimmy Bashilé, ha quindi chiesto l’assoluzione pura e semplice dei suoi clienti, poiché ritiene che la qualifica di crimini di guerra non poteva essere accettata. Secondo lui, i militari hanno agito per legittima difesa in seguito ad un’imboscata e il video, in se stesso, non permetterebbe di identificare chi, in quel giorno, era armato o no.

Secondo un suo collega, l’avvocato Daisy Mukebayi, che segue il processo come indipendenti, il video è invece molto esplicito: «Il tribunale vuole a tutti i costi dimostrare che non sono state commesse violazioni gravi dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Vuole chiaramente minimizzare la gravità dei fatti. In realtà, secondo quanto ripreso nel video, tutti gli atti commessi rientrano nella definizione di ciò che si intende per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità».[18]

 

Il 26 giugno, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Repubblica Democratica del Congo (BCNUDH) ha deplorato la decisione del tribunale militare del Kasai di non processare per crimini contro l’umanità i sette militari congolesi accusati dell’uccisione di persone civili a Mwanza Lomba. «Si può giustificare l’abbandono delle accuse di crimini di guerra, poiché nel Kasai non c’è alcun conflitto aperto», ha commentato il direttore del BCNUDH, José Maria Aranaz. Tuttavia, egli ha precisato che «sarebbe stato importante mantenere l’accusa di “crimini contro l’umanità”, perché sarebbe stato un segnale forte per tutti quelli che sono implicati nelle violenze perpetrate nel Kasai» e ha aggiunto che «processare i presunti responsabili di questi crimini è un modo per prevenire ulteriori violazioni dei diritti umani e l’uso eccessivo della forza da parte delle forze armate».

L’Onu accusa i ribelli Kamuina Nsapu di arruolare dei bambini soldato e di commettere delle atrocità nei confronti della popolazione. Denuncia anche l’uso sproporzionato e indiscriminato della forza da parte dell’esercito congolese. Condanna, infine, la creazione e l’armamento di milizie da parte delle autorità. Il BCNUDH ritiene che «gli ufficiali dell’esercito devono assicurarsi che i militari posto sotto il loro comando facciano un uso proporzionato della forza» e rigetta l’idea che si tratti di eccessi di membri isolati dell’esercito.[19]

 

Il 26 giugno, il procuratore militare ha chiesto l’ergastolo per due ufficiali maggiori, fra cui il comandante dell’operazione e il sergente maggiore che ha filmato il famoso video, e per altri due militari ancora latitanti. Ha chiesto vent’anni di carcere per un capitano e un luogotenente, dieci anni di carcere per un sergente e dodici mesi di carcere per un sergente maggiore.

Secondo la difesa, il tribunale dovrebbe annullare l’accusa di dissipazione di munizioni, perché i militari avrebbe usato solo un terzo delle cartucce in loro dotazione. Infine, gli avvocati della difesa hanno chiesto l’assoluzione dei loro clienti, poiché i militari in questione non hanno fatto che il loro dovere per difendere il territorio dagli attacchi dei miliziani.[20]

 

 

4. UN “GRUPPO DI ESPERTI INTERNAZIONALI” PER IL KASAI

 

a. L’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani chiede insistentemente una commissione d’inchiesta internazionale indipendente

 

Il 1° giugno, una coalizione di 262 Ong congolesi 9 Ong internazionali ha chiesto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite la creazione di una commissione speciale per condurre un’inchiesta internazionale sulle violenze perpetrate nel Kasai da settembre 2016. Secondo queste ONG, «è necessaria un’inchiesta internazionale indipendente che possa documentare gli abusi, identificarne i responsabili e rendere giustizia alle vittime».[21]

 

Il 5 giugno, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Nikki Haley, ha chiesto al Segretario Generale, Antonio Guterres, la creazione di una commissione d’inchiesta sull’assassinio dei due esperti delle Nazioni Unite e sulle violazioni dei diritti umani commesse nel Kasai.[22]

 

Il 6 giugno, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha dichiarato di aspettare ancora due giorni, per ottenere dal governo congolese degli impegni chiari su delle investigazioni precise circa le violenze commesse nel Kasai. «A meno che non riceva entro l’8 giugno delle risposte adeguate da parte del governo per un’inchiesta congiunta, insisterò sulla creazione di un meccanismo di inchiesta internazionale per il Kasai», ha dichiarato l’Alto Commissario Zeid Ra’ad al Hussein, in apertura della 35ª sessione del Consiglio dei diritti umani di Ginevra (6-23 giugno). Al termine di ogni sessione del Consiglio, i 47 Stati membri possono infatti decidere, attraverso una risoluzione, di istituire delle inchieste internazionali, com’è stato il caso della Siria.[23]

 

Il 6 giugno, la ministra congolese per i diritti umani, Marie-Ange Mushobekwa, ha replicato che «non si dà un ultimatum ad uno Stato sovrano». Tuttavia, ella ha affermato che il governo congolese è disponibile e accetta la collaborazione delle Nazioni Unite per un’inchiesta internazionale sulle violenze del Kasai. «Il governo congolese non ha nulla da nascondere e  rimane aperto a qualsiasi appoggio logistico e tecnico. Se l’Onu vuole inviare dei suoi esperti per appoggiare gli investigatori congolesi nel far luce sull’assassinio di Sharp e Catalan e di altri congolesi uccisi dalle milizie di Kamuina Nasapu, sono i benvenuti», ha affermato Marie-Ange Mushobekwa. Secondo la ministra dei Diritti Umani, la RDCongo non si oppone ad una “collaborazione delle Nazioni Unite”, ma dovrà mantenere la direzione delle indagini. Ella ha insistito sul fatto che «il governo della RDCongo manterrà la direzione dell’inchiesta».[24]

 

Il 7 giugno, la ministra per i diritti umani, Marie Ange Mushobekwa Likulia, ha confermato che la RDCongo ha accettato la proposta delle Nazioni Unite di condurre un’inchiesta congiunta sulle violenze perpetrate nel Kasai da diversi mesi. Ma ha anche ripetuto che il governo congolese vuole mantenere la direzione dell’inchiesta. Secondo la ministra, «la giustizia internazionale non può intervenire che nel caso di una cattiva volontà da parte dei politici, ciò che non è il caso in questa circostanza».[25]

 

Il 9 giugno, l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha riconosciuto che «è un diritto sovrano del governo congolese condurre delle inchieste giudiziarie sulle violazioni dei diritti umani commesse sul suo territorio». Tuttavia, egli ha accusato Kinshasa di non riuscire ad effettuare un’inchiesta seria e sufficiente sulle violenze del Kasai e ha chiesto un’inchiesta internazionale. Egli ha quindi esortato il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu di istituire una commissione incaricata d’indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse nel Kasai, in particolare sulle esecuzioni sommarie, l’uccisione di bambini, il reclutamento di bambini soldato e le violenze sessuali. «L’ampiezza e la natura di queste violazioni dei diritti umani e le risposte costantemente inadeguate delle autorità locali ci obbligano a chiedere un’inchiesta internazionale che possa completare gli sforzi nazionali», ha egli dichiarato in un comunicato.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha quindi chiaramente escluso la possibilità di un’inchiesta congiunta RDCongo-ONU e si è piuttosto dichiarato favorevole a un’inchiesta internazionale perché, secondo lui, la risposta di Kinshasa, che si è riservato la direzione delle indagini e ha limitato la partecipazione delle Nazioni Unite a un semplice appoggio tecnico è ampiamente insufficiente, tenuto conto della gravità e della natura delle violazioni dei diritti umani nel Kasai e dell’urgente necessità di rendere giustizia alle vittime.

Ciò non significa però che un’equipe di investigatori internazionali si rechi immediatamente nella RDCongo. Per il momento, questa richiesta di un’indagine internazionale è stata formalmente presentata ai 47 paesi membri del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Ora spetta al Consiglio decidere. Per arrivare a tale decisione, è necessario che più della metà, quindi 24 Stati membri, esprimano il loro accordo sull’invio di investigatori internazionali. Per il momento, non si è ancora arrivati a tale accordo. Inoltre, verso il 20 giugno, il governo congolese dovrà presentare il suo punto di vista sulla gestione della crisi del Kasai. Il Consiglio dei Diritti Umani dovrà quindi aspettare fino al 23 giugno per prendere una decisione finale.[26]

 

Il 20 giugno, in occasione dell’incontro del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e su richiesta dell’Unione Europea,  l’Alto Commissario dell’Onu, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha chiesto, ancora una volta, la creazione di una commissione d’inchiesta internazionale indipendente, ritenuta necessaria poiché il lavoro degli investigatori delle Nazioni Unite in Congo è regolarmente ostacolato dalle autorità congolesi. Anche il rappresentante degli Stati Uniti ha appoggiato la creazione di una commissione di inchiesta internazionale  e indipendente.

Da parte sua, il governo congolese si è detto assolutamente contrario alla creazione di tale commissione e ha minacciato di non concedere, ai membri che la compongono,  l’autorizzazione di accesso sul suo territorio nazionale. Il governo congolese ha ribadito la sua posizione sulla questione e ha proposto, invece, un’inchiesta congiunta condotta sotto la propria direzione e appoggiata tecnicamente dalle Nazioni Unite.[27]

 

Il 20 giugno, in un’intervista a Jeune Afrique, Marie-Ange Mushobekwa, ministra congolese per i diritti umani, ha dichiarato: «la RDC è un paese sovrano e, dunque, diciamo sì a un’inchiesta internazionale, ma non senza di noi! Da parte nostra, non rifiutiamo la collaborazione. Siamo infatti consapevoli del fatto che non abbiamo mezzi sufficienti per condurre queste indagini senza l’appoggio tecnico e logistico della MONUSCO e dell’Ufficio per la difesa dei diritti umani delle Nazioni Unite. Ci sono infatti zone in cui si può accedere solo in elicottero o con piccoli aerei che l’esercito congolese non possiede».

Circa l’esistenza di fosse comuni nel Kasai, la ministra congolese per i diritti umani, Marie-Ange Mushobekwa, ha affermato che è anche nei centri di iniziazione della milizia di Kamwina Nsapu che occorre cercarle e ha aggiunto: «Sono appena tornata da Kananga, nel Kasai. Ho potuto incontrare le autorità provinciali e ho constatato che, in alcuni casi, gli investigatori della Monusco non sempre sono chiari. Per esempio, nel comune di  Ngaza, essi avevano riferito di aver trovato circa sei fosse comuni. In realtà, l’equipe del governo provinciale ne ha trovate solo due: una con due morti, l’altra contenente un calibro 12 di fabbricazione locale. Ma la Monusco non ne ha mai parlato alla radio, per rettificare ciò che aveva precedentemente riportato. Dieci giorni fa, gli investigatori congolesi hanno aperto una presunta fossa comune in cui c’era solo una moto, probabilmente appartenente agli accompagnatori congolesi dei due esperti assassinati, Michael Sharp e Zaida Catalán. Perché la Monusco non ne ha parlato? Sembra si ripeta la storia dell’Iraq di Saddam Hussein. Ci era stato detto che vi erano state trovate delle armi di distruzione di massa, tutti i media ne avevano parlato e il presidente iracheno è stato impiccato. Pochi anni dopo, si scopre che queste armi non sono mai esistite. Ma intanto il popolo iracheno ha pagato, e continua a pagare, un caro prezzo per tutto quello che si è detto. È per questo che, nel caso del Kasai, le indagini devono essere trasparenti e imparziali, affinché non ci si trovi nella stessa situazione dell’Iraq».[28]

 

Il 20 giugno, a Ginevra, Ida Saywer, direttrice di Human Rights Watch per l’Africa centrale, ha chiesto al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (HRC) di aprire urgentemente un’inchiesta internazionale indipendente sulle violenze commesse nel Kasai, per i seguenti motivi: 1. Fallimento del governo: “Il governo congolese ha mancato ai suoi obblighi di indagare sugli atti di violenza commessi nel Kasai”.

  1. Il governo vuole nascondere i suoi crimini: “Se il governo congolese ha nulla da nascondere, non dovrebbe opporsi a tale inchiesta”.
  2. Una giustizia agli ordini del regime e non indipendente: “Il governo congolese si è spesso intromesso in casi giudiziari politicamente sensibili e il sistema giudiziario è stato finora incapace di svolgere indagini credibili in materia di crimini”.
  3. Per garantire giustizia alle vittime: “Il Consiglio deve urgentemente aprire un’inchiesta internazionale indipendente, al fine di contribuire a rendere giustizia alle vittime delle violenze commesse nel Kasai”.[29]

 

b. Ma il Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani approva un semplice “gruppo di esperti internazionali”

 

Il 23 giugno, a Ginevra, il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha adottato una risoluzione che chiede all’Alto Commissario per i Diritti Umani di nominare un gruppo di esperti internazionali, tra cui anche degli esperti regionali, per raccogliere informazioni sulle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commesse nel Kasai, determinare i fatti, precisare le circostanze in cui tali violazioni dei diritti umani si sono verificate e individuare gli autori e i mandanti di tali violenze.

Secondo la risoluzione, questi esperti forniranno le conclusioni delle loro indagini al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e alle autorità giudiziarie congolesi dopo un anno di lavoro, al fine di stabilire la verità e assicurare che i responsabili siano citati in giustizia.

Il Consiglio ha inoltre chiesto all’Alto Commissario per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, di presentare un rapporto orale dei progressi delle indagini nel mese di settembre 2017, in occasione della prossima sessione ordinaria.

Infine, il Consiglio ha chiesto che l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani fornisca al governo congolese un’assistenza tecnica per lo svolgimento delle sue indagini sulle violazioni dei diritti umani e i crimini commessi nella regione del Kasai.[30]

 

Si tratta quindi di un gruppo di esperti internazionali, non di una commissione d’inchiesta internazionale indipendente, come era stato auspicato da alcuni paesi europei, tra cui la Francia, la Gran Bretagna e il Belgio insieme all’Unione europea. In realtà, ciò che è stato approvato rappresenta un compromesso con i paesi africani, tra cui la Tunisia, l’Egitto, il Sudafrica e l’Angola insieme all’Unione africana che hanno appoggiato la posizione della Repubblica Democratica del Congo. Da parte loro, le autorità congolesi si sono impegnate ad accogliere questi esperti internazionali, ma hanno già avvertito che è solo per un appoggio tecnico e logistico al sistema giudiziario congolese, perché la Repubblica Democratica del Congo intende conservare la direzione delle indagini in corso. Il fatto che la RDCongo mantenga la direzione delle indagini preoccupa gran parte dei difensori dei diritti umani perché, secondo loro, non sarebbe opportuno che le autorità congolesi fossero implicate nelle indagini, in quanto esse stesse sono di fare un uso eccessivo della forza. «Non è possibile essere parte in causa e giudice nello stesso tempo»,  afferma la Federazione Internazionale per i diritti umani che parla di una risoluzione ai minimi termini che rischia di “non essere sufficiente per mettere fine ai massacri”. Secondo questa organizzazione, solo un’inchiesta totalmente indipendente potrebbe far luce su ciò che è accaduto.[31]

 

Un gruppo di “esperti internazionali” per indagare sulle gravi violenze del Kasai piuttosto di una commissione di inchiesta internazionale indipendente. È il compromesso che i 47 paesi membri del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno concordato. Si tratta di un compromesso che provoca molta incertezza circa il potere che questi esperti delle Nazioni Unite potranno avere per condurre una vera e propria indagine nella regione del Kasai.

– Primo interrogativo: come potranno questi esperti condurre un’indagine in modo indipendente dalle autorità congolesi?

Secondo Kinshasa, il loro mandato è limitato all’appoggio tecnico e logistico  alle indagini congolesi in corso. Invece, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani assicura che i suoi esperti opereranno “in piena indipendenza”. Ma questo tipo di mandato non risulta “scritto” nella risoluzione, semplicemente intitolata “assistenza tecnica alla RDCongo”.

– Un’altra questione concerne le risorse finanziarie necessarie per svolgere un’indagine così vasta: 42 fosse comuni, 3.200 civili uccisi e più di 1 milione di sfollati … Quali fondi e quanti esperti l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani potrà avere a sua disposizione? La risoluzione non risponde a questa domanda.

– Infine, c’è anche la critica questione relativa all’accesso ai siti in cui i crimini sono stati commessi. Fino ad oggi, questa è la principale difficoltà incontrata dal personale delle Nazioni Unite. Da mesi, infatti, i suoi agenti devono affrontare ostacoli quasi quotidiani che impediscono loro di intraprendere indagini approfondite  in questa regione del Kasai.

Da parte loro, le autorità congolesi si sono impegnate ad accogliere questi esperti sul loro territorio e a lasciarli lavorare, a condizione però di conservare la Direzione dell’inchiesta. Ma questo è il problema: essendo le autorità congolesi esse stesse accusate di uso eccessivo della forza, la loro partecipazione a un’indagine internazionale rischia di minare la credibilità dell’inchiesta stessa.

Secondo Jason Mack, rappresentante degli Stati Uniti presso il Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani, il ​​compromesso approvato è molto inferiore alla commissione di inchiesta internazionale indipendente inizialmente auspicata. È per questo che egli dice di «aspettarsi che il governo congolese cooperi pienamente con questo gruppo di esperti e dia loro libero accesso su tutto il suo territorio». Il linguaggio non è “così forte e chiaro” come avremmo voluto, riconosce Ida Sawyer, di Human Rights Watch, ma è un “buon inizio” e occorre «mantenere la pressione sulle autorità congolesi, affinché accettino di permettere a questo gruppo di esperti di fare il loro lavoro di inchiesta in modo indipendente».

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha dichiarato: «Contiamo sulla piena cooperazione delle autorità, per concederci un accesso illimitato a tutti i luoghi, documenti e persone che saranno ritenuti utili per l’inchiesta».[32]

[1] Cf AFP – Africatime, 20.06.’17; Patrick Maki – Actualité.cd, 20.06.’17  https://actualite.cd/2017/06/20/rdc-3300-personnes-mortes-debut-violences-aux-kasai-eglise-catholique/

[2] Cf Radio Okapi, 31.05.’17

[3] Cf Sosthène Kambidi – Actualité.cd, 05.06.’17

[4] Cf Radio Okapi, 09.06.’17

[5] Cf Radio Okapi, 15.06.’17

[6] Cf Radio Okapi, 15.06.’17

[7] Cf Sosthène Kambidi – Actualité.cd, 23.06.’17

[8] Cf Radio Okapi, 26.06.’17

[9] Cf AFP – Africatime, 20.06.’17; 7sur7.cd, 21.06.’17

[10] Cf Radio Okapi, 23.06.’17

[11] Cf Sosthène Kambidi – Actualité.cd, 08.06.’17

[12] Cf Sosthène Kambidi – Acualité.cd, 14.06.’17

[13] Cf Radio Okapi, 23.06.’17

[14] Cf http://fr.allafrica.com/stories/201706040054.html

[15] Cf Radio Okapi, 06.06.’17; RFI, 09.06.’17

[16] Cf RFI, 09.06.’17

[17] Cf Radio Okapi, 14.06.’17

[18] Cf AFP – Radio Okapi, 25.06.’17; RFI, 26.06.’17

[19] Cf AFP – Radio Okapi, 26.06.’17

[20] Cf RFI, 27.06.’17; Radio Okapi, 28.06.’17

[21] Cf Zabulon Kafubu – 7sur7.cd, 01.06.’17

[22] Cf AFP – Radio Okapi, 06.06.’17

[23] Cf AFP – Radio Okapi, 06.06.’17

[24] Cf Radio Okapi, 06.06.’17

[25] Cf Ange Kasongo – Jeune Afrique, 07.06.’17

[26] Cf AFP – Africatime, 09.06.’17; RFI, 09.06.’17

[27] Cf AFP – Jeune Afrique, 20.06.’17

[28] Cf Trésor Kubangula – Jeune Afrique, 20.06.’17

[29] Cf Israël Mutala – 7sur7.cd, 20.06.’17

[30] Cf Radio Okapi, 23.06.’17

[31] Cf RFI, 23.06.’17

[32] Cf RFI, 24.06.’17; Christine Tshibuyi – Actualité.cd, 23.04.’17