Congo Attualità n.290

INDICE

EDITORIALE: MASSACRI DI BENI, IL NUOVO VOLTO DELLE ADF

  1. BENI  CONTINUA A CONTARE I SUOI MORTI
  2. Il massacro di Rwangoma
  3. La posizione del governo
  4. Alcune dichiarazioni di partiti politici e della società civile
  5. Una popolazione vittima, non solo dei massacri, ma anche della disperazione e della collera
  6. DUBBI SULL’IPOTESI DI UN ATTENTATO TERRORISTA JIHADISTA
  7. CHI SONO I RESPONSABILI DEI MASSACRI DI BENI
  8. a) Le vere ADF: dal 1995 ad aprile 2014
  9. b) Le false ADF: da ottobre 2014 fino ad oggi
  10. i) Degli “immigrati” provenienti dal Ruanda
  11. ii) Le “ADF-FARDC”

iii) Infiltrazioni armate a partire dall’Uganda

  1. SITUAZIONE CONFLITTIVA NEL TERRITORIO DI RUTSHURU

 

1. BENI  CONTINUA A CONTARE I SUOI MORTI

 

a. Il massacro di Rwangoma

 

Il 31 luglio, l’esercito congolese ha smantellato una base di miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF) situata a Mwalika, a sud-est del capoluogo del territorio di Beni (Nord Kivu).

Fonti militari hanno dichiarato che le ADF avevano concentrato le loro forze a Mwalika sin dal 25 luglio, in seguito ad un attacco condotto contro di loro nel quadro della “Operation Usalama” [la pace] nella zona denominata “Triangolo della morte”, tra Mbau, Kamango e Erengeti.

Secondo fonti della società civile del territorio di Beni, alcuni civili di Mwalika erano stati presi in ostaggio dalle ADF per farli lavorare nei loro campi. Ciò aveva permesso ai miliziani ADF di Mwalika di fornire alimenti ad altri loro combattenti stanziati a Erengeti e a Kainama. L’esercito regolare ha ripreso Mwalika senza combattere, perché le ADF avrebbero avuto il tempo di lasciare la zona prima dell’arrivo dell’esercito.[1]

Il 13 agosto, 51 persone sono state massacrate, con asce e machete, a Rwangoma, un quartiere alla periferia della città di Beni (Nord Kivu). Questi massacri sono stati attribuiti alle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese.

Secondo il tenente Hazukay, le ADF sono riuscite a “bypassare” le posizioni dell’esercito e hanno compiuto questo massacro come “atto di rappresaglia” in seguito alle operazioni militari in corso nella zona.

Il generale Kasonga, portavoce dell’esercito, ha dichiarato che, «alcuni giorni prima, a Mwualika,  l’esercito aveva condotto un’operazione contro le ADF e vi aveva distrutto un centro di reclutamento e di radicalizzazione. Durante quest’operazione, l’esercito aveva scoperto dei sotterranei che le ADF usavano come luoghi di rifugio. Quelli che erano scampati all’attacco, erano fuggiti. È stato durante la loro fuga che hanno commesso il massacro di Rwangoma».

Nel corso di una conferenza stampa a Beni, il comandante dell’operazione Sokola 1, il generale Marcel Mabangu, ha affermato che gli autori di questo nuovo massacro indossavano uniformi dell’esercito nazionale e che avrebbero utilizzato questa strategia per creare confusione e ingannare la vigilanza della popolazione. Egli ha quindi annunciato che i militari dell’esercito impegnati nelle operazioni contro le ADF nel territorio di Beni useranno uniformi di colore diverso.

Tuttavia, secondo la Società civile locale, le forze di sicurezza avrebbero potuto impedire queste uccisioni perché, poche ore prima, la popolazione aveva già segnalato la presenza di questi ribelli in città. Infatti, secondo fonti della società civile, la popolazione di Paida, un altro quartiere della città di Beni, verso le 17h00, avrebbe visto una colonna di ribelli ugandesi dirigersi verso Kasanga e Rwangoma, due quartieri del comune di Behu. Le stesse fonti indicano che, verso le 18h00, gli aggressori hanno iniziato ad uccidere, con asce e machete, tutte le persone che incontravano sul loro cammino, che si trovassero fuori o dentro casa o che tornassero dai loro campi. Secondo la testimonianza di una donna, «gli aggressori indossavano uniformi dell’esercito congolese e parlavano Kinyarwanda»

Questo nuovo attacco è avvenuto 72 ore dopo una visita, a Beni stesso, del presidente Joseph Kabila che aveva promesso di fare tutto il possibile per “imporre” la pace e la sicurezza. La popolazione arrabbiata è scesa in piazza per protestare e chiedere le dimissioni di certe autorità, tra cui i ministri della Difesa e dell’Interno.[2]

Il 16 agosto, verso le 20h00, dei presunti miliziani ADF hanno attaccato Mayi Moya, una località del territorio di Beni. Tre civili sono stati uccisi, tra cui una donna e una bambina di 10 anni. Gli aggressori sono fuggiti in seguito all’intervento dell’esercito.[3]

Il 22 agosto, due persone sono state uccise e altre sette sono rimaste ferite nel corso di un nuovo attacco di presunti miliziani ADF avvenuto tra le 19h00 e le 20h30 nei villaggi di Kithevya e di Makulu, in territorio Beni. Prima di andarsene, gli aggressori hanno incendiato dieci case e rubato degli animali da cortile.[4]

b. La posizione del governo

 

Il 14 agosto, il governo congolese ha decretato tre giorni di lutto nazionale, dal 15 al 17 agosto. Il portavoce del Governo centrale, Lambert Mende, ha dichiarato che, «secondo informazioni concordanti trovate nelle basi di Mwalika e Nadui», i massacri di Beni sono opera di un «gruppo islamico radicalizzato e jihadista». Lambert Mende  deplora il fatto che l’esercito congolese sia rimasto solo ad affrontare [questo gruppo jihadista], «nell’indifferenza della comunità internazionale, anche se questi massacri non sono diversi da quelli commessi in Nigeria, in Mali, nel Camerun e, fuori del continente africano, in Francia, in Belgio o negli Stati Uniti d’America».[5]

Il 16 agosto, una delegazione del governo è arrivata a Beni. Si è quindi recata a Rwangoma, dov’è avvenuto il massacro. Si è trattato di una visita per fare una valutazione della situazione e per cercare di capire cos’è davvero successo. La delegazione era composta dal Primo Ministro congolese Augustin Matata Ponyo, dal Ministro dell’Interno e della sicurezza Evariste Boshab, dal Ministro della Difesa Crispin Atama e dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito, il Generale Didier Etumba. Si è discusso su eventuali complicità. Secondo il ministro degli Interni, tale ipotesi è possibile perché, secondo lui, per arrivare in posti così difficili da raggiungere, è necessario conoscere bene i luoghi. Un ufficiale dell’esercito ha spiegato che, secondo le statistiche in possesso, oltre il 45% dei membri delle ADF sono Congolesi. Tuttavia, il sindaco di Beni ha smentito ogni tipo di complicità.[6]

Il 16 agosto, la Corte militare operativa del Nord Kivu e dei magistrati del Tribunale militare sono arrivati a Beni dove, secondo fonti giudiziarie, dovrebbe iniziare il processo a carico di presunti membri ugandesi delle ADF e di presunti autori dei massacri perpetrati contro la popolazione civile nel territorio di Beni (Nord Kivu). Queste persone accusate di avere partecipato ai massacri sono detenute dai servizi di sicurezza già da diversi mesi. Tra loro, ci sono degli Ugandesi, dei Tanzaniani, dei Ruandesi, dei Sudanesi e dei Congolesi, tutti presunti membri delle ADF. Secondo fonti giudiziarie, sono circa duecento persone che dovranno essere processate. Tra gli accusati, non c’è alcun militare. Tuttavia, diversi esperti hanno accusato vari soldati dell’esercito di avere partecipato o facilitato i massacri di Beni. Dopo le denunce del gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo, il comitato delle sanzioni delle Nazioni Unite sta prendendo in considerazione in modo particolare il caso del generale Mundos, anche se le autorità congolesi continuano a smentire tali accuse.[7]

Il 17 agosto, il sindaco Beni, Nyonyi Bwanakawa, ha annunciato l’instaurazione di un coprifuoco tra le 20h00 e le 6h00 del mattino e l’interdizione di tutte le manifestazioni pubbliche. Queste misure sono state decise nel corso di un consiglio di sicurezza tenutosi a Beni e presieduto dal ministro degli interni, Evariste Boshab. L’obiettivo sarebbe quello di facilitare le operazioni delle forze di sicurezza per mantenere l’ordine pubblico e assicurare la sicurezza della popolazione locale. Il coprifuoco imposto riguarda le città di Beni e di Butembo. Da parte sua, la popolazione si oppone all’applicazione di queste disposizioni, perché sospetta che le autorità vogliano favorire l’infiltrazione degli assassini, proprio durante il tempo in cui essa è costretta a rimanere in casa.[8]

Il 18 agosto, in una conferenza stampa, il ministro portavoce del governo, Lambert Mende Omalanga, ha dichiarato che, analizzando le modalità d’attuazione e i metodi utilizzati per commettere questi massacri di estrema barbarie, il governo congolese si è convinto che gli autori siano membri di gruppi terroristici. Egli ha affermato che, «Nel 1995, quando arrivarono nell’allora Repubblica dello Zaire, le ADF-NALU erano un gruppo armato tradizionale opposto al regime ugandese del presidente Museveni. In seguito, le ADF si sono sostanzialmente trasformate e sono diventate oggi una vera e propria organizzazione internazionale terrorista, a carattere islamico radicale. Questa constatazione emerge dalla composizione multinazionale delle sue unità combattenti, costituite non solo da Ugandesi degli inizi del movimento, ma anche da Somali, Tanzaniani, Kenioti, Ruandesi, Etiopi e anche Congolesi. È in piena missione di reclutamento di nuove reclute in Tanzania che Jamil Mukulu, il leader del movimento, è stato arrestato, poi estradato in Uganda, suo paese d’origine, dove sarà presto processato. Secondo le informazioni raccolte, il processo di radicalizzazione dei membri e delle nuove leve si è svolto con l’appoggio di Shebab somali». Il Ministro della Comunicazione e dei media ha poi rivelato che, tra i 200 membri delle ADF che sono già stati catturati, 80 sono detenuti presso la prigione centrale di Kangwanyi a Beni e 120 sono detenuti in carcere a Kinshasa. Tra di loro, molti Ugandesi, ma anche dei Tanzaniani, dei Ruandesi e alcuni Congolesi.[9]

c. Alcune dichiarazioni di partiti politici e della società civile

L’esercito congolese parla di un atto di ritorsione da parte delle ADF in seguito all’attacco contro alcune loro basi, tra cui quella di Mwalika. Ufficialmente, per l’esercito congolese, si tratta di un disperato tentativo da parte delle ADF per dimostrare che esistono ancora. Anche la Società civile di Beni ritiene che potrebbe trattarsi di un’operazione di rappresaglia. Secondo i servizi di sicurezza, si tratta di “una guerra asimmetrica“, perché le ADF non rispettano alcuna regola e uccidono a colpi di machete.

Dopo avere constatato che, ancora una volta, questo massacro è avvenuto solo tre giorni dopo l’ultima visita del Presidente della Repubblica a Beni, un ufficiale dell’esercito ha affermato che, «se ad ogni visita del Presidente della Repubblica c’è un massacro, ciò dimostra che ci sono delle istruzioni ben precise». Fonti del governo designano l’oppositore Mbusa Nyamwisi, attualmente in esilio. Qualcuno del suo partito smentisce e accusa Kabila di essere «personalmente responsabile dei massacri», o almeno di «non fare abbastanza per proteggere la popolazione». Un massacro ancora una volta politicizzato.[10]

Il Fronte cittadino 2016, una piattaforma politica dell’opposizione, ha constatato con rammarico che «il presidente Kabila e il suo governo non sono assolutamente riusciti a portare la pace in questa regione». Pertanto, conclude, il Capo dello Stato deve «dimettersi». La piattaforma va ancora oltre. Essa lascia intravedere che «Joseph Kabila potrebbe essere il vero responsabile dell’insicurezza che regna a Beni, al fine di perpetuare una situazione di terrore quasi generalizzato», proprio quando «i Congolesi stanno aspettando la fine del suo regime e l’avvento della prima alternanza democratica ai vertici dello Stato».[11]

In un suo comunicato, Moïse Katumbi, ex governatore dell’ex Katanga e candidato dichiarato alle prossime elezioni presidenziali, ha affermato che «l’inazione dei nostri dirigenti è deplorevole, inaccettabile e irresponsabile. Gli interventi dell’esercito, della polizia e della giustizia dovrebbero concentrarsi sulla protezione delle popolazioni dell’Est del Paese (…) invece di essere impiegati per reprimere i difensori dei diritti umani e della Costituzione».[12]

Nel primo comunicato ufficialmente firmato da lui stesso come nuovo segretario generale dell’UDPS, Kabund-a-Kabund, ha affermato: «l’UDPS constata che il governo illegittimo del signor Joseph Kabila ha fallito nella sua missione sovrana di proteggere la popolazione congolese. Di conseguenza, l’UDPS ritiene il signor Kabila sia responsabile di questa carneficina e gli chiede di trarne tutte le conseguenze».[13]

Il 22 agosto, dopo i recenti massacri di Beni, i giovani membri di movimenti civici, della società civile e di partiti politici, hanno chiesto le “dimissioni immediate” del presidente Joseph Kabila e del suo governo. Muniti di fischietti e di cartellini rossi, come un arbitro che sanziona un giocatore che si è mal comportato sul terreno di gioco, il messaggio è chiaro: «Ekoki!!! Adesso basta. Il Presidente Kabila e il suo governo devono dimettersi».

Secondo un comunicato stampa letto da Beni Carbone, «i massacri di Beni non sono le conseguenze di attacchi organizzati da gruppi “terroristi radicalizzati o jihadisti”», come affermato dal governo congolese. Nello stesso comunicato, i giovani affermano: «Con rabbia, prendiamo atto che l’attuale potere, incarnato dal presidente Kabila e dal suo governo, ha ancora una volta dimostrato la sua più totale incapacità di garantire la sicurezza dei cittadini, a causa di inconfutabili complicità da parte di alcuni politici di alto livello e dei servizi della difesa e della sicurezza». Il collettivo dei giovani constata che la ripetitività dei massacri e la “inazione” delle autorità durante quasi due anni convalidano l’ipotesi secondo cui «certi ufficiali superiori della catena di comando dell’Esercito Nazionale, come ad esempio il Generale Mundos Akili, sono direttamente implicati in questa lunga serie di massacri». Secondo il portavoce Beni Carbone, uno dei responsabili di “Filimbi”, «i giovani auspicano che questi efferati massacri, che sono costati la via di centinaia di persone, cessino e che i responsabili siano severamente puniti».[14]

d. Una popolazione vittima non solo dei massacri, ma anche della disperazione e della collera

Il 21 agosto, a Butembo, dei giovani e dei conduttori di moto taxi hanno intercettato un minibus su cui viaggiavano dei passeggeri sospettati di appartenere al gruppo di quelli che stanno perpetrando i massacri nel territorio di Beni. Un testimone ha affermato che, quando i conduttori dei moto taxi hanno controllato l’interno del minibus,vi hanno trovato dei machete e delle zappe, strumenti utilizzati anche da quelli che uccidono la popolazione di Beni. Altri testimoni hanno aggiunto che questi passeggeri, identificati come degli  “Hutu ruandesi”, nelle loro borse portavano anche una delle nuove uniformi militari dell’esercito. I conducenti dei moto taxi e altri giovani hanno quindi iniziato a percuoterli. La polizia è allora intervenuta per proteggere i passeggeri e li hanno condotti presso la sede dell’Agenzia Nazionale d’Intelligence (ANR). Il minibus proveniva da Masisi e, secondo alcuni testimoni, era diretto verso Bunia (Ituri). Da parte loro, i passeggeri hanno detto di essere tutti degli agricoltori ed erano in possesso di un “foglio di via” rilasciato dal capo del raggruppamento di Masisi, nonostante che, tre mesi prima, il governatore Julien Paluku avesse firmato un decreto con cui vietava, su tutto il territorio del Nord Kivu, ogni tipo di spostamenti di “popolazioni sconosciute”. Durante tutta la giornata, per le strade di Butembo si sono notati dei raggruppamenti di persone e si sono organizzate delle manifestazioni spontanee. La polizia ha sparato fino a tarda notte, per disperdere i manifestanti.[15]

Il 24 agosto, dei giovani di Butembo hanno “linciato e bruciato” due viaggiatrici sospettate di voler raggiungere una delle basi degli autori dei massacri di Beni. «Le due persone uccise non sono nemmeno ruandofone: una è dell’Ituri, nel nord-est del paese, l’altra è di Bukavu, capoluogo della vicina provincia del Sud Kivu», ha dichiarato il Generale Marcel Mbangu.

Secondo George Kisando, giornalista a Butembo, «la popolazione controlla i veicoli per verificare che, tra i passeggeri, non ci siano degli eventuali combattenti delle ADF. Nel corso di una di queste  operazioni, dei giovani hanno linciato due donne provenienti da Goma a bordo di un minibus e sospettate di essere complici delle ADF. Secondo i loro certificati elettorali, una sarebbe originaria di Ango (ex Provincia Orientale) e l’altra del Sud Kivu. Negli ultimi tre giorni, questo è il terzo caso di “giustizia popolare” con le stesse ragioni». Secondo alcuni testimoni, i giovani di Butembo hanno barricato le principali arterie della città, procedendo a dei controlli su tutti i veicoli provenienti dai territori meridionali, ritenuti aree di azione dei ribelli hutu ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).[16]

Insoddisfatta per l’incapacità delle autorità di proteggerla dai massacri, la popolazione si rende giustizia da sola. È all’altezza di un posto di controllo istituito dalla popolazione stessa che è successo l’incidente. Due veicoli, con a bordo dei passeggeri, sono fermati all’ingresso della città.

I membri di un gruppo di auto-difesa hanno iniziato a controllare le identità dei passeggeri. Generalmente, l’operazione consiste nel verificare se le persone sanno parlare le lingue della regione: lo Swahili o il Nande. Due donne, una di una cinquantina d’anni e la seconda di quasi ottanta anni, hanno avuto la sfortuna di non padroneggiare entrambe le lingue. Subito, esse sono state sospettate di essere delle Hutu ruandesi. Quindi straniere. L’operazione di controllo è degenerata. Le due donne sono state linciate e bruciate senza che la polizia abbia avuto il tempo di intervenire. Come spiegare questa esplosione di violenza? Tra la popolazione è molto diffusa una certa opinione, secondo cui gli Hutu ruandesi sono complici delle ADF. Risultato: la paura di essere attaccati dai ribelli ha creato una vera e propria psicosi e una serie di reazioni xenofobe. Tuttavia, per essere oggettivi, occorre ammettere che gli intensi spostamenti migratori di Hutu verso Bunia, constatati negli ultimi mesi senza alcuna spiegazione ufficiale, alimentano interrogativi e dubbi.[17]

Il 24 agosto, in una dichiarazione politica dal titolo “Appello alla calma“, dei deputati nazionali del Nord Kivu si sono dichiarati contrari ad ogni forma di giustizia popolare.

  1. Si dicono «profondamente preoccupati per l’aggravarsi dell’insicurezza nella provincia del Nord Kivu e, più in particolare, per i massacri commessi nel territorio di Beni, nella parte meridionale del territorio di Lubero, nel territorio di Rutshuru e, infine, per gli atti di violenza urbana a Butembo».
  2. Sono «delusi per l’incapacità del governo centrale e di quello provinciale di porre fine al caos e di applicare le raccomandazioni delle Assemblee nazionale e provinciale». Inoltre, si dicono «preoccupati per le misure inappropriate adottate dalle autorità locali».
  3. Deplorano «la mancata applicazione della nota circolare del governatore provinciale del Nord Kivu che, emanata il 28 maggio, vieta ogni movimento sospetto di popolazioni non ben identificate. Tale divieto copre tutta la provincia in generale e il territorio di Beni in particolare».
  4. Condannano con forza «i violenti atti di giustizia popolare perpetrati da alcuni giovani di Butembo il 21, il 22 e il 24 agosto 2016».
  5. Disapprovano «il linciaggio di due donne avvenuto a Butembo» e chiedono ai servizi di polizia di «aprire immediatamente un’inchiesta, affinché giustizia sia fatta».
  6. Chiedono con insistenza alle autorità amministrative locali, ai servizi di sicurezza e alla polizia di «mettere in atto tutte le disposizioni necessarie per il ripristino dell’ordine e della sicurezza e, soprattutto, applicare la nota circolare del governatore, affinché una tale tragedia non si ripeta più».
  7. Incoraggiano la popolazione a «rimanere vigilante e ad evitare il ricorso alla giustizia popolare, in modo da non cadere nella trappola del nemico, alimentando la divisione tra i popoli».[18]

Il 25 agosto, recatosi a Butembo a causa delle attuali tensioni, il vice governatore del Nord Kivu, Feller Lutahichirwa, ha qualificato la situazione riscontrata come «criminalità giovanile alimentata da manovre di manipolazione e d’intossicazione dei giovani da parte di terzi, in particolare attraverso i social network». Egli ha affermato di ave già preso alcuni provvedimenti per contrastare “questa caccia all’uomo intrapresa contro i non-originari“. Secondo il vice governatore, sono già state arrestate cinquantasette persone.[19]

2. DUBBI SULL’IPOTESI DI UN ATTENTATO TERRORISTA JIHADISTA

Il deputato UNC Claudel Lubaya si è interrogato sulla continua ripetizione di massacri e ha messo in discussione l’ipotesi terrorista

Il governo congolese si è precipitato ad evocare la tesi degli attacchi di origine terrorista da parte di musulmani jihadisti membri delle ADF. Ha inoltre sollecitato l’appoggio delle potenze straniere, per contrastare quello che considera già come atti terroristici simili a quelli commessi in Mali, in Nigeria e altrove. Tuttavia, questo punto di vista sembra non reggere alla prova dei fatti.

– In effetti, non risulta che la RDCongo sia impegnata militarmente in qualche paese a maggioranza musulmana. Non vi è dunque alcun motivo che possa spingere delle milizie islamiste, qualsiasi sia la loro origine, Shebab somali o altri, a venire in Congo a massacrare delle popolazioni civili.

– Si è inoltre notato che le grandi organizzazioni terroristiche non agiscono mai direttamente sul territorio di un paese preso di mira. Normalmente, esse si appoggiano su cellule locali che, naturalmente, sono loro fedeli. Sono queste cellule locali che, al servizio dei vari emiri, organizzano l’attentato e questi secondi ne rivendicano in seguito la paternità. Oggettivamente parlando, è difficile dire oggi che Al Shebab, Al Qaeda, Boko Haram o altri dispongano di eventuali loro antenne già attive sul territorio della RDCongo. Se ce ne fosse qualcuna, che se ne citi la denominazione, il luogo dove opera e i nomi dei suoi leader, noti o presunti.

– Si è inoltre constatato che le organizzazioni terroristiche non hanno mai effettuato attentati senza far sentire la loro voce. Attraverso i media e i social network, esse rivendicano sistematicamente e a gran voce ogni loro attentato, presentato come una vittoria sullo Stato dichiarato come loro nemico. In nessun caso e in nessun momento, gli attacchi perpetrati a Beni e dintorni sono mai stati oggetto di rivendicazione da parte di un’organizzazione terroristica internazionale conosciuta.

– Ciò detto, il governo congolese non può evocare l’ipotesi di attentati terroristici per giustificare la sua inazione, la sua evidente incapacità di assicurare la sicurezza della popolazione e, perché no?, le varie complicità interne nei continui massacri di popolazioni civili a Beni e in tutto l’Est della Repubblica.

Pertanto, il governo deve  finalmente dire, al popolo congolese e alla comunità internazionale, la verità su tutte queste violenze ripetutamente e impunemente perpetrate contro i pacifici cittadini di Beni. Il governo deve spiegare il perché dell’inefficienza della sua azione in questa parte del paese. Il governo deve dire il motivo per cui ogni volta che un ufficiale militare vuole, con spirito patriottico, risolvere il problema dei gruppi armati, viene assassinato (come il Colonnello Mamadou Ndala) o sostituito e trasferito altrove, se non muore in certe circostanze difficili da capire (come il caso dei due generali Budza Mabe e Bauma). Il governo deve dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità e trarne le logiche conseguenze.[20]

3. CHI SONO I RESPONSABILI DEI MASSACRI DI BENI

Un difensore dei diritti umani, Boniface Musavuli, ha pubblicato un articolo in cui, partendo da fonti locali, ha tentato di identificare i veri responsabili dei massacri commessi sul territorio di Beni.

1207 persone sono state brutalmente uccise da ottobre 2014, senza contare le persone sequestrate. Il governo congolese e la Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco) attribuiscono questi massacri commessi nella zona di Beni alle ADF. Di qui la domanda: chi sono davvero queste “ADF”? Secondo un rapporto del Gruppo di Studi sul Congo (GEC), un gruppo di ricerca con sede a New York, le ADF comprendono tra 100 e 260 combattenti e sono localizzate in un piccolo triangolo di cinquanta chilometri circa.

Secondo la versione ufficiale, le ADF sono dei terroristi islamici ugandesi e sarebbero in contatto con altri gruppi terroristici stranieri. Secondo questa versione, le ADF farebbero parte di una rete transnazionale di islamisti che si estende fino al Sahel e che comprenderebbe i Boko Haram della Nigeria, gli al-Shabaab della Somalia e i Talebani dell’Afghanistan. Questa versione è stata costruita a partire dalle “rivelazioni” di un misterioso personaggio che si presentò come disertore delle ADF e che è conosciuto con il soprannome di “Mr X”. Per mesi, il famoso Mr X è stato l’informatore titolare della Monusco sulle ADF, fino a quando alcune ricerche più approfondite hanno permesso di constatare  che tutto ciò che egli raccontava era solo una sua invenzione.

In realtà, contrariamente alla “versione ufficiale”,  l’acronimo ADF non indica un unico gruppo.

Per comprendere ciò che le ADF sono, è necessario rifarsi al passato. La storia delle ADF si è infatti evoluta da una fase all’altra: dal 1995 ad aprile 2014; poi dal mese di ottobre 2014 fino ad oggi.

a) Le vere ADF: dal 1995 ad aprile 2014

Nel 1995, dopo essere stati cacciate dall’Uganda, di cui sono originarie, le ADF, un gruppo armato di tendenza radical-islamica, hanno stabilito il loro campo base nel territorio di Beni (est della RDCongo). Fino al 2005, il loro obiettivo era quello di rovesciare il governo ugandese.

Alla fine del 2013, dopo la vittoria sul Movimento del 23 marzo (M23), l’esercito congolese e le truppe della missione dell’Onu in RDCongo hanno iniziato un’operazione militare, denominata Sukola 1, contro le ADF presenti nel territorio di Beni. L’operazione militare è terminata nel mese di aprile 2014, con la riconquista di quasi tutte le località che erano sotto il controllo delle ADF, tra cui Medina, il centro di comando. Il capo delle ADF, Jamil Mukulu, era fuggito da Beni già in febbraio 2014, abbandonando le sue truppe in piena ritirata. È stato arrestato in Tanzania in marzo 2015 e trasferito in Uganda, dove è detenuto in carcere fino ad oggi. Nel loro rapporto del 12 gennaio 2015, dopo il successo dell’operazione Sukola 1, gli esperti delle Nazioni Unite descrivono le ADF come un’organizzazione ormai finita. Non rimaneva che una trentina di individui senza armi, senza munizioni e senza fonti di approvvigionamento. È in quel tempo che, in realtà, si conclude la storia delle ADF, “le vere ADF”, il  movimento di Jamil Mukulu.

Quindi, da dove provengono le ADF di cui oggi si parla?

b) Le false ADF: da ottobre 2014 fino ad oggi

i) Degli “immigrati” provenienti dal Ruanda

Tra aprile 2014 e agosto 2014, a Beni si registra un periodo di calma e l’attività economica si sta gradualmente riprendendo. Ma appaiono vari segnali premonitori di un’insicurezza imminente. In primo luogo, si assiste ad un massiccio afflusso di popolazioni ruandofone che dicono di volere stabilirsi a Eringeti (Territorio di Beni), a Boga e a Tchabi, nel vicino Territorio d’Irumu, della Provincia d’Ituri. Secondo le autorità provinciali del Nord Kivu, queste popolazioni sono degli Hutu congolesi del Territorio di Masisi e di Rutshuru che migrano verso nord in cerca di terre. In effetti, viaggiano muniti di lasciapassare firmati dalle autorità provinciali di Goma. Talvolta sono muniti di certificati elettorali congolesi che fungono anche da carta di identità congolese. Ma si sa che molti rifugiati stranieri l’hanno ottenuto illegalmente. A volte portano con sé dei machete, che sono strumenti di lavoro, ma che vengono usati anche come armi bianche per commettere i massacri. Per questo, la popolazione dubita che queste popolazioni siano congolesi e sospetta che, invece, siano degli ex rifugiati ruandesi espulsi dalla Tanzania al tempo del presidente Jakaya Kikwete.

Sempre secondo la popolazione, potrebbe trattarsi di ruandesi infiltrati nella zona di Beni, nel quadro di una cospirazione regionale, per annientare la popolazione autoctona mediante atti di terrore e di estrema crudeltà e costringerla a fuggire dalle sue terre che vengono poi ri-occupate da popolazioni non indigene, provenienti dai Paesi limitrofi, tra cui il Ruanda e l’Uganda. Tra questi “immigrati” potrebbero esserci dei “falsi ADF” che, in realtà, non hanno mai conosciuto il capo del movimento, Jamil Mukulu.

ii) Le “ADF-FARDC”

Il secondo segno di deterioramento della sicurezza a Beni è stato la nomina del generale Akili Muhindo alla guida dell’operazione Sukola 1 condotta dall’esercito congolese contro le ADF.

Soprannominato “Generale Mundos”, è un ufficiale della Guardia Repubblicana e considerato molto vicino al presidente Kabila. Egli è alla base delle numerose disgrazie successe a Beni. Con lui, non solo si assiste ad un nuovo reclutamento di ex membri delle ADF, fino ad allora sparsi nella boscaglia, ma anche alla creazione di nuovi gruppi armati, etichettati ADF e fino ad allora sconosciuti. I rapporti delle Nazioni Unite citano diversi nomi di ufficiali dell’esercito congolese per il loro ruolo svolto nel reclutamento di nuove leve a favore delle cosiddette ADF, nella riattivazione degli ex ADF fuggiti in foresta e nel procurare loro uniformi, armi, munizioni e informazioni.

I massacri sono iniziati il 2 ottobre 2014, il giorno stesso in cui si è aperto il processo sull’assassinio del colonnello Mamadou Ndala, il primo comandante dell’operazione Sukola 1, assassinato in un’imboscata il 2 gennaio 2014. Il generale Mundos era nella lista degli accusati.

Gli autori dei massacri attuano liberamente. Uccidono per ore indisturbati. Non sono arrestati, tanto meno processati. I pochi che sono arrestati, vengono immediatamente e sistematicamente rilasciati. Come se ci fosse la volontà dello Stato di lasciarli “finire il lavoro”.

Secondo il rapporto del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite, gli esecutori dei massacri parlano in kinyarwanda, una lingua non parlata dai “veri ADF”. Indossano uniformi dell’esercito congolese e uccidono in aree vicine alle postazioni dell’esercito stesso. Ci si rende rapidamente conto che si tratta di soldati ruandofoni incorporati nell’esercito congolese attraverso differenti meccanismi di integrazione. Il rapporto del Gruppo di Studi sul Congo (GEC), pubblicato in  marzo 2016, cita i nomi di tre reggimenti dell’esercito: il reggimento 808°, implicato nel massacro di Tenambo-Mamiki, il reggimento 809°, implicato nel massacro di Ngadi e il Reggimento 1006° implicato nel massacro di Mayangose. Questi reggimenti sono per lo più composti di ex miliziani del CNDP, antenato del M23. In seguito all’implicazione di certi reggimenti e di certi ufficiali dell’esercito nei massacri, la popolazione di Beni ha cominciato a designare i suoi assassini con il sarcastico appellativo “ADF-FARDC”. Questi militari delle FARDC (ADF-FARDC) che uccidono la popolazione sotto la denominazione ADF sono, ovviamente, dei “falsi ADF” e non hanno nulla a che fare con le ADF originarie di Jamil Mukulu.

iii) Infiltrazioni armate a partire dall’Uganda

Oltre ai ruandofoni che migrano verso Beni muniti di machete e ai militari, sempre ruandofoni,  infiltrati nell’esercito, a partire da dicembre 2013, Beni registra delle infiltrazioni armate a partire dal territorio ugandese. Varie testimonianze hanno citato anche dei nomi, tra cui il colonnello Richard Bisamaza, un Tutsi ex CNDP ed ex comandante del 1° Settore FARDC basato a Beni. Era fuggito da Beni per aderire al M23, ma non era riuscito a raggiungere Ishasha. Era quindi fuggito in Uganda, ma la sua presenza nelle zone dei massacri di Beni è stata confermata da numerose segnalazioni e testimonianze. Egli non può fare queste incursioni in territorio congolese, senza la complicità delle autorità ugandesi.

Al di là di questo caso, occorre ricordare che, dopo la loro sconfitta, i combattenti del M23 si erano ritirati in Ruanda e, soprattutto, in Uganda. Ma molti di loro hanno abbandonato il centro in cui erano ospitati. La società civile Beni ha più volte segnalato delle infiltrazioni di ex membri del M23 sul territorio di Beni a partire dalla frontiera con l’Uganda. Più grave ancora, varie volte, dopo certi scontri tra l’esercito congolese e gli assalitori, sul campo di battaglia restano dei cadaveri di soldati che portavano uniformi, caschi e armi simili a quelle dell’UPDF, l’esercito ugandese. Ci si può quindi chiedere chi sono “questi soldati ugandesi” che combattono contro l’esercito congolese a Beni.[21]

4. SITUAZIONE CONFLITTIVA NEL TERRITORIO DI RUTSHURU

Dalla fine di novembre, il Nord Kivu è teatro di conflitti tra due comunità etniche, i Nande e gli Hutu. Queste rivalità sono all’origine di violenze perpetrate dai gruppi armati che li appoggiano, i Mai-Mai Mazembe e l’NDC / Ristrutturato, a lato dei Nande, e i Nyatura e le FDLR a lato degli Hutu. I Nande accusano gli Hutu congolesi di essere complici delle FDLR per cacciarli dal loro territorio e impossessarsi delle loro terre. Gli Hutu congolesi, che non negano di essere alla ricerca di nuovi terreni agricoli, accusano i Nande di non rispettare il loro diritto costituzionale di stabilirsi dove vogliono.[22]

Il 3 agosto, il portavoce delle operazioni militari Sokola II, il capitano William Ndjike Kaiko, presentando un bilancio delle operazioni condotte contro i ribelli ruandesi delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e altre milizie nei territori di Walikale, Rutshuru, Masisi e Nyiragongo (Nord Kivu), ha affermato che, dal 2015 a luglio 2016, almeno 140 combattenti delle FDLR sono stati uccisi, 323 catturati e 191 si sono arresi alla Monusco. Il portavoce delle operazioni Sokola II ha aggiunto che, nello stesso periodo, 116 combattenti membri di gruppi armati locali sono stati uccisi e 936 sono stati catturati o si sono arresi.[23]

Il 6 agosto, verso le 8h00 del mattino, dei miliziani Mai-Mai Mazembe hanno incendiato il campo degli sfollati situato a Ngoroba, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Il campo ospitava più di 500 sfollati. I combattenti che l’hanno attaccato hanno affermato che stavano cercando dei miliziani appartenenti al gruppo Nyatura. Hanno assediato il campo per tre ore, poi l’hanno incendiato. Gli sfollati che abitavano nel campo sono fuggiti sulle montagne circostanti.[24]

Il 6 agosto, a Kashalira, una località situata a 20 km da Kibirizi, cinque persone sono state uccise da uomini armati non identificati. La sera dello stesso giorno, altre due persone sono state ritrovate morte a Nyanzale, località situata a 45 km da Kibirizi. Tra questi morti, è incluso un miliziano Nyatura, che è stato bruciato vivo nella sua casa.[25]

Il 7 agosto, durante la notte, a Kibanda, un villaggio dei dintorni di Kibirizi, nel territorio di Bwito, otto persone sono state uccise e centinaia di case bruciate in seguito ad un attacco che il vice delegato del governatore del Nord Kivu a Bwito ha attribuito alle FDLR e ai loro alleati Nyatura. Gli aggressori sarebbero arrivati da Kahumiro, località situata a circa 5 km da Kibirizi. Questo attacco è stato organizzato tre giorni dopo l’uccisione, da parte di un gruppo Mai-Mai, di un membro della comunità degli “sfollati” di Kibirizi.[26]

Il 17 agosto, sette persone sono state uccise a Nyanzale e a Bwalanda, due villaggi del territorio di  Bwito, nel Nord Kivu. Secondo le autorità locali, queste persone sono state uccise in seguito a degli scontri che oppongono, di nuovo, le comunità etniche locali, i Nande e gli Hunde da una parte e gli Hutu dall’altra. Centinaia di case, di entrambi le parti, sono state date alle fiamme.

Tre corpi sono stati trovati il 17 agosto, Katwe, a 5 km Nyanzale. Si tratta di persone che erano state sequestrate il 15 agosto da combattenti Mai-Mai, a 3 km da Nyanzale, mentre tornavano dai loro campi. Nel pomeriggio del 17 agosto, la polizia e i servizi di sicurezza hanno portato i corpi a Nyanzale. I membri della comunità hutu, dopo avere constatato che le tre persone uccise appartenevano alla loro etnia, hanno iniziato ad incendiare le case dei Nande e degli Hunde, accusandoli di avere ucciso i loro fratelli. La sera dello stesso giorno, i Nande e gli Hunde sono andati, a loro volta, a Bwalanda, a 5 km da Nyanzale e hanno incendiato tutte le case appartenenti agli Hutu. Tre persone sono state uccise sul posto. Uno di loro è rimasto bruciato nella sua casa e un altro è deceduto in seguito alle ferite subite. Un altro corpo è stato ritrovato la mattina del 18 agosto.[27]

[1] Cf Radio Okapi, 04.08.’16

[2] Cf Radio Okapi, 14.08.’16; RFI, 14.08.’16; AFP – Africatime, 14.08.’16;

[3] Cf Radio Okapi, 17.08.’16

[4] Cf Radio Okapi, 24.08.’16

[5] Cf Radio Okapi, 14.08.’16; RFI, 14.08.’16; AFP – Africatime, 14.08.’16

[6] Cf RFI, 16.08.’16

[7] Cf Radio Okapi, 17.08.’16; RFI, 18.08.’16

[8] Cf Stanislas Ntambwe – Le Potentiel – Kinshasa, 19.08.’16

[9] Cf Le Phare – Kinshasa, 19.08.’16

[10] Cf RFI, 15.08.’16

[11] Cf AFP – Jeune Afrique, 16.08.’16

[12] Cf Politico.cd, 14.08.’16

[13] Cf Actualité.cd, 16.08.’16

[14] Cf Stanislas Ntambwe – Le Potentiel – Kinshasa, 22.08.’16

[15] Cf BBC-Afrique, 22.08.’16; Direct.cd, 21.08.’16; Radio Okapi, 22.08.’16

[16] Cf Radio Okapi, 24.08.’16; AFP – Jeune Afrique, 24.08.’16; Actualité.cd, 23.08.’16

[17] Cf RFI, 25.08.’16

[18] Cf Beniluberonline, 24.08.’16  http://benilubero.com/les-deputes-nationaux-elus-du-nord-kivu-appel-au-calme/

[19] Cf Radio Okapi, 25.08.’16

[20] Cf Actualité.cd, 16.08.’16  https://actualite.cd/2016/08/16/tueries-de-beni-claudel-lubaya-doute-sinterroge-cas-mamadou-ndala-budja-mabe-tribune/

[21] Cf Boniface Musavuli – Agoravox, 16.08.’16  http://www.agoravox.fr/actualites/international/article/rd-congo-massacres-qui-sont-les-183706

[22] Cf RFI, 09.08.’16; AFP – Onewovision, 08.08.’16

[23] Cf Radio Okapi, 04.08.’16

[24] Cf Radio Okapi, 06.08.’16

[25] Cf Radio Okapi, 08.08.’16

[26] Cf Radio Okapi, 08.08.’16

[27] Cf Radio Okapi, 18.08.’16