Congo Attualità n. 270

INDICE:

EDITORIALE: SENZA ELEZIONI NEL 2016, SEDE VACANTE ALLA PRESIDENZE DELLA REPUBBLICA

  1. IL PROCESSO ELETTORALE
    1. Commissione elettorale: elezioni impossibili entro i tempi previsti dalla Costituzione
  2. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE INTENSIFICA LA PRESSIONE
    1. Gli Stati Uniti si pronunciano
    2. Il comunicato congiunto dell’ONU, UA, UE e OIF
    3. Le reazioni congolesi
  3. UN POSSIBILE RISCHIO DI SEDE VACANTE ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
    1. IL PROCESSO DEI SEI MEMBRI DI LUCHA: CONDANNATI

EDITORIALE: SENZA ELEZIONI NEL 2016, SEDE VACANTE ALLA PRESIDENZE DELLA REPUBBLICA

 

1. IL PROCESSO ELETTORALE

a. Commissione elettorale: elezioni impossibili entro i tempi previsti dalla Costituzione

Il 18 febbraio, a Kinshasa, nel corso di una riunione del comitato di collegamento tra la CENI e i partiti politici, il presidente della Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI), Corneille Nangaa, ha presentato le varie difficoltà che rendono impossibile l’organizzazione delle elezioni entro i tempi previsti dalla Costituzione. Il suo intervento si è concentrato sulla questione della revisione delle liste degli elettori, un’operazione che, secondo lui, potrebbe durare almeno sedici mesi. Corneille Nangaa ha affermato che non è ormai possibile organizzare delle elezioni credibili entro i tempi previsti dalla costituzione, ma ha aggiunto che la Commissione elettorale è pronta ad organizzare le elezioni entro i tempi costituzionali, se i politici decidessero di andare alle elezioni con le liste elettorali del 2011.

Inoltre, Corneille Nangaa ha annunciato che, per l’organizzazione delle elezioni, il 17 febbraio, il governo ha proceduto a un secondo versamento (per il mese febbraio) di oltre 18 milioni di dollari. Il primo (per il mese di gennaio) era stato effettuato il 29 gennaio 2016, per un importo di 22 milioni di dollari. L’importo finora erogato è, in tal modo, salito a 40 milioni di dollari.[1]

Il 19 febbraio, Corneille Nangaa, presidente della Ceni, ha confermato a Jeune Afrique che le elezioni presidenziali, inizialmente previste per la fine di novembre, non potranno essere organizzate senza aver dapprima effettuato la revisione delle liste degli elettori, un’operazione ormai “impossibile” da finalizzare entro il 30 settembre, data entro la quale la Commissione elettorale dovrebbe procedere, secondo l’articolo 73 della costituzione, alla convocazione degli elettori. In effetti, alcune “simulazioni” effettuate all’interno della CENI hanno recentemente indicato che una revisione parziale delle liste degli elettori durerebbe 13 mesi e 10 giorni, con un preventivo di circa 123.000.000 di $.

Secondo Corneille Nangaa, «per convocare l’elettorato, occorre avere le liste degli elettori, ma la revisione di queste liste non può essere completata entro il 30 settembre. Quindi: senza revisione delle liste elettorali, non ci può essere alcun corpo elettorale; senza corpo elettorale, non si potranno organizzare le presidenziali entro i tempi previsti dalla Costituzione».[2]

Il presidente della Commissione elettorale, Corneille Nangaa, pone i politici davanti a un vero e proprio dilemma: o si vuole un database elettorale che includa anche i nuovi maggiorenni o si vuole rispettare i tempi stabiliti dalla Costituzione.

Nel mese di novembre 2015, una missione dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF) aveva presentato un rapporto d’audit del registro elettorale. L’OIF vi aveva spiegato che il 20% circa dell’elettorato, i nuovi maggiorenni, ne era escluso. In quel tempo, l’inviato speciale dell’OIF per i Grandi Laghi aveva ritenuto che era ancora possibile, a condizione che ce ne fosse stata la volontà politica, di avere un registro elettorale accettabile e di riuscire a rispettare i tempi costituzionali, anche se con un leggero ritardo di uno o due mesi.

Ma, in quel tempo, l’appalto relativo alle operazioni di aggiornamento del database elettorale era già stato assegnato, mediante trattativa diretta e privata, alla società belga Zetes. Il contratto avrebbe dovuto essere firmato nel mese di gennaio, ma la Commissione elettorale l’ha denunciato e respinto, affermando che l’UDPS non avrebbe mai accettato questo operatore. Essa ha quindi preferito lanciare, il 10 febbraio, un nuovo bando di gara d’appalto aperto e pubblico. Ne è conseguito un prolungamento di quattro o cinque mesi di tempo supplementare per l’acquisto del materiale necessario per la revisione del database elettorale. Secondo documenti interni della Commissione elettorale, questa operazione di revisione potrebbe richiedere dai 13 ai 16 mesi, a partire dall’annuncio della gara d’appalto.[3]

Secondo Samy Badibanga, uno di quelli che hanno criticato la società Zetes, si tratta di un “errore intenzionale” della Commissione elettorale, per provocare il rinvio delle elezioni. Il presidente del gruppo parlamentare dell’UDPS presso l’Assemblea nazionale dei deputati ribadisce che tutte le difficoltà sollevate dal presidente della Ceni erano già note: il problema dell’integrazione dei nuovi maggiorenni, le critiche nei confronti di Zetes, il furto delle scorte dei certificati elettorali non ancora compilati e il rischio che siano messi in circolazione in modo illegale.[4]

Il 19 febbraio, il Fronte Cittadino 2016 ha chiesto al presidente della Commissione elettorale, Corneille Nangaa, di «cessare di fare il gioco del potere», adottando la strategia del rinvio. Il portavoce di questa organizzazione, Jean-Claude Katende, si è detto sorpreso del fatto che la CENI parli di 17 mesi per la revisione delle liste degli elettori: «Secondo il calendario elettorale globale contenuto in un rapporto presentato dalla CENI all’Assemblea Nazionale, la revisione delle liste elettorali era programmata tra gennaio e marzo 2016. Gli esperti dell’OIF avevano assicurato che l’operazione avrebbe potuto richiedere 4 mesi. La CASE aveva previsto 6-7 mesi. Com’è arrivata la Ceni ai 17 o 18 mesi?».[5]

2. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE INTENSIFICA LA PRESSIONE SU KABILA

a. Gli Stati Uniti si pronunciano

Il 5 febbraio, in una lettera indirizzata al Segretario di Stato John Kerry, il senatore Edward Markey ha espresso «profonda preoccupazione per la situazione nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) dove, secondo le disposizioni costituzionali, quest’anno il presidente Joseph Kabila arriverà alla fine del suo mandato presidenziale, ma non ha ancora preso le misure necessarie per pianificare e organizzare le elezioni presidenziali. Il persistente ritardo e la percezione pubblica che il presidente Kabila si aggrappi al potere hanno creato il rischio di una violenta sollevazione popolare o, addirittura, di una ripresa della guerra.

Da un anno e mezzo, il presidente Kabila sembra aver adottato certe manovre per evitare le elezioni nazionali previste nel mese di novembre 2016, al fine di eludere i limiti costituzionali del suo mandato. Inizialmente, egli aveva proposto una revisione costituzionale, poi un censimento generale della popolazione che sarebbe durato tre anni, il che avrebbe comportato il prolungamento del suo mandato presidenziale. Infine ha sempre cercato di ritardare le misure necessarie per preparare le elezioni.

Oltre ai ritardi procedurali, Kabila ha tentato di ostacolare il processo democratico, chiudendo lo spazio politico e prendendo provvedimenti per reprimere la libertà di espressione.

Egli ha poi proposto un “dialogo”, per risolvere i problemi che lui stesso ha creato, ma i membri dell’opposizione lo considerano come un cinico tentativo di ritardare il processo elettorale, nascondendo la sua evidente intenzione di violare i limiti costituzionali del suo mandato.

Con il tempo che passa senza che ci sia la possibilità di organizzare elezioni libere, gli Stati Uniti e gli altri partner internazionali devono agire ora, per evitare un’altra catastrofe nella RDCongo. Nell’ultimo anno, Lei e il Presidente Obama avete personalmente trasmesso alcuni messaggi forti, esortando Kabila a rispettare la Costituzione della RDC. Tuttavia, ora sembra che Kabila non abbia alcuna intenzione di organizzare le elezioni, a meno che non si renda conto che la mancanza di elezioni avrà un serio impatto su di lui e sul suo entourage.

Penso che il modo migliore per convincere Kabila a cambiare rotta sia quello di comunicargli in modo chiaro ed inequivocabile i seguenti tre punti:

(1) Il presidente Joseph Kabila deve immediatamente, chiaramente e pubblicamente dire che non rimarrà al potere dopo la fine, quest’anno, del suo secondo e ultimo mandato presidenziale. (2) Gli Stati Uniti e i partner internazionali contribuiranno a finanziare il processo elettorale e incoraggeranno gli investimenti privati nella RDCongo solo se, localmente, si possono verificare dei precisi progressi nell’organizzazione, entro quest’anno, di elezioni nazionali libere ed eque. Tra questi progressi richiesti va incluso anche lo sforzo di porre fine agli attuali tentativi di chiudere lo spazio politico e di reprimere il dissenso pacifico.

(3) Qualora il Presidente Kabila non rispondesse positivamente a questi precisi criteri, che gli esigono di organizzare elezioni libere e democratiche entro quest’anno, gli Stati Uniti e gli altri partner dovranno applicare delle sanzioni. Tali sanzioni dovrebbero comprendere: il rifiuto del rilascio di permessi di espatrio (visto), il congelamento dei beni in applicazione del decreto dell’8 luglio 2014 sulla RDCongo, la revisione e la riduzione della collaborazione bilaterale e multilaterale sulla sicurezza e degli aiuti economici che passano attraverso il governo e, infine, la sospensione degli investimenti privati.

Per quindici anni, il presidente Kabila ha contribuito a traghettare la RDCongo dalla guerra a una relativa stabilità, ma questa relativa stabilità è ora minacciata dalla sua evidente intenzione di violare il fondamento costituzionale del suo paese. È indispensabile convincerlo del fatto che la stabilità della RDCongo e la sua stessa sorte dipendono dal passaggio democratico del potere entro quest’anno».[6]

Il 10 febbraio, in suo discorso davanti alla Commissione per gli affari esteri del Senato degli Stati Uniti, l’inviato speciale degli Stati Uniti nella regione dei Grandi Laghi, Thomas Perriello, ha affermato che «la RDCongo è attualmente in una situazione in cui è ancora possibile assicurare, nel 2016, il primo passaggio di potere, democratico e pacifico, della sua storia.

Purtroppo, mentre sta preparando, o piuttosto non riesce a preparare, le elezioni del prossimo novembre, rischia di cadere in un’ennesima crisi politica.

Una scontro frontale tra il Presidente Kabila e quelli che chiedono elezioni trasparenti, credibili e organizzate entro i tempi fissati dalla Costituzione è ancora evitabile, ma sta diventando sempre più probabile, nella misura in cui il paese si avvicina sempre più alle scadenze elettorali fissate dalla Costituzione.

I tentativi fatti dal governo di Kabila per chiudere lo spazio politico e per ritardare i preparativi elettorali fanno temere che Kabila voglia rimanere al potere oltre il suo mandato costituzionale, che terminerà in dicembre 2016.

A ciò si aggiungono l’intensificazione della repressione sistematica delle pubbliche manifestazioni e la riduzione sempre più accentuata dello spazio politico, iniziate già nel 2015. Il governo congolese ha più volte arrestato dei membri dell’opposizione e dei giovani attivisti, equiparando pubblicamente l’opposizione a dei nemici dello Stato, chiudendo i mezzi di comunicazione e gli organi di stampa e reprimendo delle manifestazioni pacifiche. Il 19 gennaio 2016, le forze di sicurezza hanno impedito, con la forza, ai fedeli di riunirsi nelle chiese e di partecipare alle celebrazioni, minacciando i sacerdoti, confiscando i telefoni cellulari e procedendo a vari arresti. Da quanto detto sopra, si può constatare che i principali ostacoli allo svolgimento delle elezioni entro la fine del 2016 sono politici, non tecnici. Se molti sono i problemi logistici e tecnici, tra cui quelli relativi all’aggiornamento delle liste degli elettori, essi possono essere risolti, a condizione che il governo e le altre parti implicate si impegnino ad organizzare le elezioni in modo trasparente e credibile entro le scadenze prescritte dalla Costituzione. Fortunatamente, il governo non ha ancora oltrepassato il fatidico “punto di non-ritorno” ed è, quindi, ancora possibile organizzare delle elezioni credibili, in linea con le scadenze previste nella Costituzione del Paese».[7]

Il 18 febbraio, in un comunicato, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha chiesto al Governo congolese di rispettare le libertà sancite dalla Costituzione promulgata 10 anni fa. Il governo degli Stati Uniti si è detto preoccupato per gli arresti e le detenzioni di attivisti pacifici e di leader dell’opposizione, compresi quelli detenuti in occasione della giornata “città morta” del 16 febbraio.

Gli Stati Uniti ritengono che questi arresti e detenzioni soffocano la libertà di espressione di quelli che hanno opinioni politiche diverse e contribuiscono al restringimento dello spazio politico, mettendo in dubbio la credibilità del governo di Kinshasa proprio in un periodo pre-elettorale. Il comunicato afferma che «erigere in infrazioni le contestazioni e le manifestazioni costituisce una violazione della Costituzione e una minaccia per lo stesso presidente Kabila». Per questo, gli Usa chiedono alla RDCongo di adempiere ai suoi obblighi in materia di diritti umani e di «liberare immediatamente tutte le persone detenute per avere esercitato il loro diritto alla libertà di opinione, di espressione e di manifestazione o, almeno, di assicurare loro la protezione e le garanzie di un giusto processo cui hanno diritto». Infine, il comunicato raccomanda a tutti i politici di esercitare i loro diritti in modo pacifico e li invita ad astenersi da ogni discorso che inciti alla violenza.[8]

b. Il comunicato congiunto dell’ONU, UA, UE e OIF

Il 16 febbraio, in una dichiarazione congiunta, l’Unione Africana (UA), le Nazioni Unite (ONU), l’Unione Europea (UE) e l’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF) hanno chiesto ai politici congolesi di fare ogni sforzo possibile per assicurare, nell’ambito della Costituzione, il corretto svolgimento delle elezioni, preservare la pace e rafforzare la democrazia. Nella loro dichiarazione, le quattro organizzazioni hanno sottolineato «l’importanza del dialogo e della ricerca di un accordo tra i politici, nel rispetto della democrazia e dello stato di diritto».

Il comunicato sottolinea che lo svolgimento delle elezioni in condizioni di pace, di trasparenza, di regolarità e in data opportuna, contribuirà notevolmente al consolidamento dei progressi compiuti dalla RDCongo da oltre un decennio. Le quattro organizzazioni hanno peraltro esortato tutti i politici congolesi ad apportare la loro piena cooperazione a Edem Kodjo, l’inviato dell’Unione Africana, che sta consultando i responsabili politici e sociali della RDCongo, in vista dell’organizzazione di un dialogo politico nazionale.

Se i partiti della maggioranza presidenziale stanno appoggiando pienamente l’azione di Edem Kodjo, la maggior parte dei partiti di opposizione hanno finora espresso all’emissario africano il loro rifiuto di partecipare a qualsiasi tipo di dialogo, da loro percepito come una manovra del Presidente Kabila, il cui secondo e ultimo mandato costituzionale terminerà in dicembre 2016, per mantenersi ulteriormente alla guida del paese.[9]

c. Le reazioni congolesi

Il 13 febbraio, convinto delle gravi minacce che pesano sul processo elettorale e per evitare il peggio, Laurent Batumona, deputato nazionale e presidente del Movimento Solidarietà per il Cambiamento (MSC), ha lanciato un appello urgente alla Comunità internazionale, affinché intervenga, sin da adesso, a finanziare le elezioni per un 70 %, giacché il Governo congolese ha già dimostrato i suoi limiti nel finanziamento del processo elettorale.[10]

Il 20 febbraio, il G7, il gruppo dei deputati dei 7 partiti esclusi dalla maggioranza, ha reagito al comunicato congiunto delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia. Secondo un comunicato stampa pubblicato dal G7, vi è una convergenza tra il comunicato di queste organizzazioni internazionali e la posizione del G7 e della Dinamica dell’opposizione. Il G7 nota, infatti, che l’UA, l’ONU, l’UE e l’OIF hanno sottolineato l’importanza del dialogo politico tra i politici, per raggiungere un accordo tra di loro, nel rispetto della democrazia e dello Stato di diritto per la riuscita delle elezioni. Tuttavia, il gruppo conferma la sua posizione di non partecipare al dialogo così come previsto e concepito dal presidente Kabila. Per organizzare delle elezioni credibili e entro le scadenze fissate dalla Costituzione, questa piattaforma propone piuttosto dei «negoziati diretti tra i responsabili politici» dell’opposizione e della maggioranza.

Secondo il comunicato, «il G7 ritiene che l’organizzazione delle elezioni in “data opportuna” vuol dire tenere queste elezioni entro le scadenze costituzionali».[11]

Il 23 febbraio, in seguito ad una loro riunione straordinaria, i membri del coordinamento del Fronte popolare, una piattaforma che riunisce le forze politiche e sociali simpatizzanti di Etienne Tshisekedi, hanno reagito al comunicato congiunto dell’Unione Africana, delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia, pubblicato il 16 febbraio.

I membri del Fronte popolare hanno criticato le quattro organizzazioni internazionali per non avere fatto riferimento, nel loro comunicato congiunto, né all’Accordo quadro di Addis Abeba (24 febbraio 2013), né alle due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (2098 e 2211). L’accordo di Addis Abeba prevede, al punto 6, che il governo congolese si impegni a “promuovere la riconciliazione nazionale, la tolleranza e la democrazia”. Le due risoluzioni (del 28 marzo 2013 e del 26 marzo 2015) chiedono al Governo congolese di “promuovere il consolidamento della pace e un dialogo politico trasparente che coinvolga tutte le parti interessate, per favorire la riconciliazione e la democratizzazione, proteggere le libertà e i diritti fondamentali e preparare le elezioni”. In un altro paragrafo di queste due risoluzioni, si chiede al governo congolese e ai suoi partner nazionali di “garantire la trasparenza e la credibilità del processo elettorale, dato che sono i primi ad avere la responsabilità di creare le condizioni favorevoli allo svolgimento delle prossime elezioni e di farne una priorità, essendo le elezioni presidenziali e legislative previste, secondo la Costituzione, nel mese di novembre 2016”.

Il Fronte popolare ha ribadito che il dialogo dovrà svolgersi sotto la mediazione internazionale, in conformità con questi strumenti internazionali.

Secondo il Fronte Popolare, l’espressione “in data opportuna”, riferita allo svolgimento delle elezioni e contenuta nel comunicato congiunto delle quattro organizzazioni internazionali, si riferisce alle scadenze elettorali previste dalla Costituzione, cioè all’organizzazione delle elezioni nel mese di novembre 2016.

Inoltre, il Fronte popolare ha disapprovato il modo con cui le quattro organizzazioni hanno fatto riferimento all’inviato speciale, perché si aspettava “la designazione, da parte della comunità internazionale, di un facilitatore con un mandato speciale, per organizzare e condurre il dialogo politico, con un programma preciso e vincolante, secondo le scadenze elettorali previste dalla costituzione”. Credendo nel dialogo politico, nel rispetto della costituzione e delle sue scadenze elettorali e nella possibilità di un’alternanza politica in novembre 2016, il Fronte Popolare considera inopportuni i negoziati diretti tra Maggioranza e Opposizione proposti dal G7.[12]

3. UN POSSIBILE RISCHIO DI SEDE VACANTE ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA

Il 20 febbraio, nel suo comunicato stampa, il G7 ricorda che, «dopo la scadenza costituzionale, ai vertici dello Stato si creerà un vuoto di potere, di cui solo il Presidente della Repubblica sarà responsabile. In queste condizioni, si dovranno organizzare delle elezioni sotto la responsabilità di un presidente ad interim e ciò entro 120 giorni, conformemente agli articoli 75 e 76 della vigente Costituzione».[13]

Il 23 febbraio, nel corso di una conferenza stampa, il presidente del Movimento Lumumbista Progressista (MLP), Frank Diongo, ha dichiarato che, in qualsiasi caso, che le elezioni presidenziali si tengano entro i tempi costituzionali o no, Joseph Kabila cesserà di essere presidente della Repubblica il 20 dicembre 2016. Secondo lui, il secondo paragrafo dell’articolo 70 della Costituzione presuppone la convocazione delle elezioni 90 giorni prima della fine del mandato del Presidente della Repubblica.

In tal senso, egli ha dichiarato che, «il 20 dicembre 2016, se le elezioni presidenziali non saranno ancora state organizzate, le forze del cambiamento riunite nel Fronte cittadino 2016 e favorevoli all’alternanza democratica, prenderanno atto della sede vacante ai vertici dello Stato», sottolineando che, nello spirito dell’articolo 70 della Costituzione, l’attuale Capo dello Stato potrà rimanere in carica fino all’effettiva installazione del suo successore, solo nel caso in cui le elezioni presidenziali si tengano entro la data fissata dalla stessa Costituzione e ripresa nel calendario elettorale globale e inclusivo pubblicato dalla Commissione elettorale nel mese di febbraio 2015. Secondo Franck Diongo, nel caso in cui le elezioni presidenziali non potessero svolgersi il 27 novembre 2016, la maggioranza presidenziale dovrebbe ritenerne tutte le conseguenze costituzionali. In tal caso, il presidente del MLP ha chiesto al Capo dello Stato di prendere esempio dal suo omologo haitiano che si è ritirato dalla scena per non essere riuscito ad organizzare il secondo turno delle elezioni presidenziali nel suo paese. Franck Diongo ha fatto osservare che, nel caso di fine mandato del Presidente della Repubblica, la Costituzione congolese non prevede alcun periodo di transizione. Per riempire il vuoto istituzionale di una sede vacante ai vertici dello Stato, si dovrebbe designare, in conformità con la Costituzione, un presidente ad interim, per organizzare le elezioni entro un periodo che non dovrebbe superare i 120 giorni.[14]

Per evitare un vuoto ai vertici dello Stato – ciò che sarebbe estremamente pericoloso per il paese – il legislatore ha previsto dei meccanismi di transizione.

L’articolo 75 della Costituzione stabilisce che: «In caso di sede vacante per decesso, dimissioni o qualsiasi altra causa di impedimento definitivo, le funzioni di Presidente della Repubblica, ad eccezione di quelle citate negli articoli 78, 81 e 82, sono temporaneamente esercitate dal Presidente del Senato».

Più esplicitamente, l’articolo 76 prevede: «La sede vacante alla Presidenza della Repubblica è dichiarata dalla Corte costituzionale su proposta del Governo. Il Presidente ad interim della Repubblica sovrintende all’organizzazione della elezione del nuovo Presidente della Repubblica, secondo le condizioni e i tempi previsti dalla Costituzione. In caso di sede vacante o quando l’impedimento è dichiarato definitivo dalla Corte Costituzionale, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica ha luogo, su convocazione della Commissione elettorale nazionale indipendente, almeno sessanta giorni e non oltre i novanta giorni, dopo l’inizio della sede vacante o la dichiarazione del carattere definitivo dell’impedimento. In caso di forza maggiore, questo periodo può essere prolungato fino a centoventi giorni al massimo, da parte della Corte costituzionale su richiesta della Commissione elettorale nazionale indipendente. Il presidente eletto inizia un nuovo mandato».

Tuttavia, queste disposizioni costituzionali possono scontrarsi con certi argomenti politici perniciosi e intriganti. In primo luogo, non è ovvio che il Governo e la Corte costituzionale si pronuncino a favore di un “impedimento definitivo” conseguente alla fine del secondo e ultimo mandato presidenziale. È quasi impossibile! In secondo luogo, la Maggioranza Presidenziale non metterà subito da parte l’argomento di un presidente che rimane in vigore fino all’installazione del suo successore, anche se si tratta di un’interpretazione selettiva della Costituzione, quando si sa che, nel caso specifico, il presidente uscente rimane in carica fino all’installazione del nuovo presidente neo-eletto, ciò che non vale nel caso di vuoto di potere causato dal superamento dei tempi previsti dalla stessa Costituzione.[15]

Il 22 febbraio, infatti, in un comunicato stampa, facendo riferimento all’articolo 70 della Costituzione, il Comitato politico della Maggioranza Presidenziale (MP) ha affermato che, anche nel caso in cui non si riuscisse ad organizzare le elezioni presidenziali entro le scadenze elettorali previste dalla costituzione, dopo il 20 dicembre 2016, ai vertici dello Stato non ci sarà alcuna sede vacante, poiché l’attuale Capo dello Stato, Joseph Kabila rimarrà in carica fino all’investitura del suo successore.[16]

Inoltre, secondo il punto di vista del Fronte popolare, una piattaforma delle forze politiche e sociali simpatizzanti di Etienne Tshisekedi, sulla questione di una Presidenza della Repubblica ad interim, essendo il Senato diventato illegale e illegittimo, il suo presidente non potrà assumere cariche pubbliche ai vertici dello Stato nel caso di un’eventuale situazione di sede vacante.[17]

4. IL PROCESSO DEI SEI MEMBRI DI LUCHA: CONDANNATI

Il 18 febbraio, presso il Tribunale di grande istanza di Goma, è iniziato il processo “in flagranza” di sei attivisti del movimento cittadino Lotta per il Cambiamento (Lucha). Erano stati arrestati la notte tra il 15 e il 16 febbraio, poche ore prima della giornata “città morta” organizzata dall’opposizione. Nello stesso tempo, il tribunale ha ordinato la detenzione preventiva di questi giovani accusati, in particolare, per tentata rivolta popolare, ma anche per appartenenza ad associazione a delinquere, incitamento all’odio tribale, disobbedienza civile e rivolta contro le autorità. I loro avvocati respingono queste accuse e hanno chiesto un confronto con gli agenti di polizia autori dell’arresto. Secondo l’avvocato Lumbulumbu, portavoce del collettivo degli avvocati difensori dei militanti, «il confronto con questi agenti di polizia serve per dimostrare in tribunale che l’arresto è stato effettuato in modo completamente illegale. Sono andati ad arrestare questi militanti di notte: era circa le 3h00 o le 4h00 del mattino. Hanno dovuto scavalcare un muro di cinta e non avevano con sé alcun mandato ufficiale di cattura. Pensiamo che si tratti di un arresto arbitrario».

«Tra gli oggetti sequestrati durante l’arresto e presentati dall’accusa, abbiamo trovato solo dei cartelloni su cui i giovani avevano scritto sia dei messaggi di sostegno alla squadra nazionale di football, i “Leopardi”, che arrivava a Goma proprio il quel giorno, sia dei messaggi a favore dell’organizzazione delle elezioni nel 2016. Ciò che è un diritto fondamentale. La libertà di opinione e la libertà di espressione attraverso delle immagini e degli scritti sono delle libertà sancite dall’articolo 23 della Costituzione», ha affermato l’avvocato. La difesa ha condannato il fatto che, per un’infrazione “che non è di carattere flagrante”, si sia seguita procedura di flagranza e ha aggiunto che, semmai, questi giovani avrebbero dovuto essere processati nell’ambito di un procedimento giudiziario del tutto ordinario. L’udienza è stata sospesa fino all’indomani. Finora in custodia cautelare, gli imputati sono stati posti in detenzione provvisoria.[18]

Il 19 febbraio, il presidente del Tribunale di grande istanza di Goma ha annunciato che i sei militanti di Lucha non saranno processati in flagranza di reato. Jean-Paul Lumbu Lumbu, portavoce degli avvocati difensori degli imputati, ha accolto con favore la decisione del Tribunale di mutare la procedura in flagranza in procedura normale: «Il vantaggio di questa decisione del tribunale è che ci permette, come gruppo di avvocati, di avere più tempo per preparare una difesa efficace dei nostri clienti. Questo ci dà anche il diritto di inoltrare una richiesta di libertà provvisoria a loro favore, ciò che non era possibile nel regime di flagranza». Tra gli agenti di polizia che avevano effettuato l’arresto dei militanti, se n’è presentato solo uno: il maggiore Mbatu Mulo.

All’udienza erano presenti una trentina di membri di Lucha. A sostenere i giovani accusati, erano arrivate anche molte altre persone. Dopo l’udienza, gli imputati sono stati accompagnati, con canti, dai loro compagni, verso la prigione del tribunale. I membri di Lucha si sono poi fermati nel recinto del tribunale per pregare. I sei membri di Lucha processati sono: John Anibali, Serge Sivya, Melka Kamundu, Kambale Mutshunga Croco, Kavuo Rebecca e Ghislain Muhirwa.[19]

Il 22 febbraio, si è svolta la terza udienza del processo contro i sei attivisti di Lucha, accusati di associazione a delinquere e d’incitamento alla disobbedienza civile. Interrogato, l’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva ordinato l’arresto, parla di “cartelli sovversivi” trovati sul luogo dell’arresto e di un informatore anonimo che avrebbe denunciato i sei giovani qualificati di “criminali”, perché avrebbero fatto “rumore”.

Gli avvocati della difesa mettono in causa la sua versione: una perquisizione in una casa senza elettricità, alle 4 del mattino, dei giovani con le mani legate, come dimostrato dai segni rimasti su di loro … «Non erano ancora stati arrestati», ha replicato l’ufficiale, provocando un’ondata di fischi tra un pubblico visibilmente a favore degli imputati.

Il presidente del tribunale ha poi chiesto ai giovani attivisti di indicare, tra i molti cartelli e manifesti presentati, quelli che essi riconoscono di aver preparato. Ce ne sono una quaranta, scritta su fogli di carta o su pezzi di cartone: “Abbiamo vinto la coppa, vinceremo anche la lotta per la democrazia, l’alternanza democratica e il rispetto delle scadenze elettorali costituzionali”. Uno dei giovani attivisti spiega ai giudici: «Volevamo solo rispondere all’appello dell’Autorità Provinciale che aveva chiesto alla popolazione di andare ad accogliere la squadra di calcio che aveva vinto la coppa Chan 2016 e che veniva a Goma». Il processo è stato sospeso e riprenderà il 24 febbraio.[20]

Il 24 febbraio, il Tribunale di Grande Istanza di Goma (Nord Kivu) ha condannato i sei membri del movimento cittadino Lotta per il Cambiamento (Lucha) a due anni di carcere, per “disobbedienza all’autorità” e “incitamento alla rivolta”. L’accusa aveva chiesto dieci anni. Il tribunale ha tuttavia ritenuto infondata l’accusa di appartenenza ad organizzazione criminale e l’ha quindi respinta. Uno degli avvocati della difesa, Georges Kapyamba, ha dichiarato la sua intenzione di presentare ricorso in appello.

A Kinshasa, la capitale, altri due attivisti di Lucha, Bienvenu Matumo e Marc Héritier Kapitene sono stati arrestati e messi in detenzione. Erano stati dati per dispersi dalle prime ore del mattino del 16 febbraio, quando si trovavano in un hotel del comune di Bandal e condotti in tribunale tre giorni dopo. Con Victor Tesongo, membro di un partito di opposizione, i due attivisti sono stati posti sotto mandato di arresto provvisorio per “incitamento alla disobbedienza civile, divulgazione di false notizie e attentato alla sicurezza interna dello Stato”. Human Rights Watch ha dichiarato che si tratta di false accuse, aggiungendo che «le autorità congolesi sembrano voler sopprimere sia la libertà di espressione che il diritto a protestare pacificamente».[21]

Il 25 febbraio, dopo la condanna dei sei attivisti pro-democrazia, la Francia e il Belgio hanno chiesto alle autorità congolesi di rispettare la libertà di espressione e di garantire un tranquillo dibattito democratico.

In un comunicato, il ministero degli Esteri francese ha «chiesto alle autorità congolesi di rispettare le libertà fondamentali, in conformità con gli impegni internazionali che la RDC ha sottoscritto», aggiungendo: «Con l’avvicinarsi di importanti elezioni che dovranno essere organizzate in conformità con la Costituzione, è essenziale che la società civile possa prendere parte ad un sereno dibattito democratico e che i responsabili politici non siano ostacolati nelle loro attività».

In un altro comunicato, anche il ministro degli Esteri belga, Didier Reynders, si è detto preoccupato per la condanna dei sei studenti membri di un movimento cittadino non violento. Secondo il Belgio, «la libera espressione di opinioni diverse è una condizione necessaria per l’organizzazione di un dialogo che permetta di avanzare sulla strada di elezioni pacifiche», ha aggiunto Reynders, dicendosi preoccupato per le restrizioni dei diritti e delle libertà alla vigilia di importanti elezioni.

Attraverso il suo inviato speciale per la Regione dei Grandi Laghi, Washington si è detto profondamente deluso da questa sentenza di condanna. In questo senso, Tom Perriello ha affermato che «reazioni così eccessive siano segno di debolezza e non di forza», aggiungendo che la criminalizzazione della legittima opposizione non può che portare ad una radicalizzazione che né il governo né l’opposizione possono desiderare.

Un portavoce dell’Unione Europea ha semplicemente ricordato che «il dialogo può portare frutto solo se è rispettato il diritto di parlare in maniera libera e responsabile».

Di fronte a queste reazioni, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha denunciato una nuova forma di neocolonialismo: «Riteniamo sorprendente e addirittura scandaloso che dei governi stranieri che hanno il massimo rispetto per le loro istituzioni giudiziarie si permettano di mostrare un tale disprezzo per quelle congolesi». Movimento di giovani indignati, Lucha si definisce come movimento apolitico e non violento. Per Mende, invece, Lucha è «un movimento non registrato che incita apertamente all’anarchia e al caos».[22]

[1] Cf Radio Okapi, 19.02.’16

[2] Cf Trésor Kibangula – Jeune Afrique, 19.02.’16

[3] Cf RFI, 20.02.’16

[4] Cf RFI, 20.02.’16

[5] Cf Radio Okapi, 20.02.’16

[6] Cf democratiechretienne.org, 08.02.’16 http://democratiechretienne.org/2016/02/08/senateur-edward-markey-demande-au-secretaire-detat-kerry-dimposer-les-sanctions-sur-kabila-et-son-entourage-si-necessite-delection-libre-oblige/

[7] Cf Radio Okapi, 12.02.’16 – Texte intégral: http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2016-02/press_release_-_feb_12_2016_-_testimony_of_segl_perriello_before_senat_.pdf

[8] Cf Radio Okapi, 19.02.’16 http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2016-02/press_release_-_feb._19_2016_-_exercise_of_the_right_to_freedom_of_expr.pdf

[9] Cf Radio Okapi, 16.02.’16; Forum des As – Kinshasa, 18.02.’16 http://www.forumdesas.org/spip.php?article6745

[10] Cf Peter Tshibangu – La Prospérité – Kinshasa, 15.02.’16

[11] RFI, 21.02.’16; Radio Okapi, 21.02.’16 http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2016-02/untitled.pdf

[12] Cf La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 24.02.’16

[13] Cf RFI, 21.02.’16; Radio Okapi, 21.02.’16 http://www.radiookapi.net/sites/default/files/2016-02/untitled.pdf

[14] Cf Eric Wemba – Le Phare – Kinshasa, 24.02.’16

[15] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 23.02.’16

[16] Cf Eric Wemba – Le Phare – Kinshasa, 24.02.’16

[17] Cf La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 24.02.’16

[18] Cf Radio Okapi, 18.02.’16; RFI, 19.02.’16

[19] Cf Radio Okapi, 20.02.’16

[20] Cf RFI, 23.02.’16

[21] Cf Radio Okapi, 24.02.’16

[22] Cf AFP – Africatime, 26.02.’16; RFI, 27.02.’16